Fenomeni

L’Italia digitale arranca ancora: il Pnrr è l’ultimo treno

di Alessandro Longo   24 ottobre 2022

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Il nostro Paese è al 37esimo posto nel mondo dietro Grecia e Polonia per i servizi forniti grazie alle nuove reti. Dalla telemedicina alla burocrazia, negli anni del Covid sono stati fatti passi avanti, ma non abbastanza. E i 45 miliardi del Piano europeo non vanno sprecati

Per capire quello che l’Italia ha perso finora a causa dei ritardi nel digitale si può partire dal Covid-19. «I dati pubblicati da Lancet, storica rivista scientifica, sono emblematici: nei Paesi più digitali sono morte meno persone durante la pandemia». E in Italia? «Da noi invece c’è stato un aumento record della mortalità, non solo per il Covid-19 ma anche per tutte le altre malattie». Sergio Pillon è un medico, tra i più noti in ambito digitale. Dieci anni fa ha creato le prime linee guida per la telemedicina, per l’allora governo. Dieci anni sprecati e il risultato si calcola in vite umane, perché «da noi, con la telemedicina ancora inutilizzata nel 2020-2021 la gente aveva solo una scelta: o farsi visitare dal medico di persona o non farsi visitare affatto. In un caso rischiava di prendersi il Covid-19, nell’altro di morire per altre malattie. Negli Stati Uniti invece le visite durante la pandemia sono state al 70 per cento in telemedicina», aggiunge.

 

Altro settore, altri danni. La burocrazia inutile toglie 57 miliardi di euro alle aziende italiane (secondo uno studio Cgia, Ambrosetti e Deloitte di quest’anno); una pubblica amministrazione più digitale sarebbe al contrario più agile, come dicono studi, anch’essi decennali, del Politecnico di Milano.

 

Oppure, più banalmente: se la banda ultra larga di livello migliore (“gigabit”) fosse diffusa in Italia quanto negli altri Paesi europei forse tanti tifosi non avrebbero penato per un calcio in streaming che andava a singhiozzo.

 

Il nuovo rapporto annuale delle Nazioni Unite sulla classifica digitale di tutti i Paesi al mondo (uscito a settembre scorso) dà all’Italia il posto 37, sotto Grecia e Polonia, con Spagna e Francia ben più in alto.

 

L’altra faccia, positiva, della medaglia è che negli ultimi due anni abbiamo fatto grossi passi avanti e «ancora di più ne faremo nei prossimi, grazie ai fondi e alle azioni collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che al digitale destina 45 miliardi di euro di fondi pubblici europei», dice Michele Benedetti, direttore Osservatorio digitale del Politecnico di Milano. «Se pensiamo che prima al digitale i Governi davano poco o nulla…».

 

Siamo in un momento delicato, di spartiacque, secondo gli esperti. Se l’Italia utilizzerà bene quei fondi diventerà un Paese moderno e risolverà un ritardo storico che incide su tutti gli aspetti della vita, dalla competitività internazionale, all’occupazione, alla salute. Se fallirà l’impresa – che ha una scadenza dettata dall’Europa al 2026 – non ci saranno probabilmente più treni disponibili.

 

Insomma, ci giochiamo tutto e questa responsabilità ora è in capo al nuovo governo di centrodestra. In un documento pubblicato a metà ottobre dal governo si può leggere «il testamento di quanto fatto finora in questo ambito», spiega Stefano da Empoli, presidente dell’osservatorio I-Com. L’ha firmato Vittorio Colao, ministro (uscente) all’Innovazione e una storia di manager nelle telecomunicazioni. Il documento (Italia Digitale 2026. Risultati 2021-2022 e azioni per il 2023-2026) dice con grande trasparenza anche quanto resta da fare, da subito e senza perdere tempo, con il nuovo esecutivo. Dà persino qualche consiglio su come fare ed errori da evitare, a conferma di quanto la situazione sia delicata. Tra le cose fatte nell’ultima legislatura, si può citare «il decollo dello Spid, l’identità digitale, a cui la pandemia ci ha costretti tutti. O la possibilità di pagare ormai moltissimi servizi della pubblica amministrazione in modo comodo e online», dice Benedetti. Oppure l’arrivo della banda ultra larga al 97 per cento della popolazione, anche se quella di livello superiore (gigabit) è ancora poco presente (44 per cento), secondo l’ultimo rapporto Desi della Commissione europea (uscito ad agosto 2022 su dati 2021).

 

«Solo negli ultimi due anni l’Italia ha cominciato a lavorare davvero sulla Sanità digitale», dice Pillon. «Solo adesso, finalmente, abbiamo un modello di Fascicolo sanitario elettronico funzionale. E lo sappiamo quanto ci sarebbe stato prezioso in pandemia, per curare meglio anche con televisite», aggiunge.

 

Il Fascicolo – un documento accessibile online via piattaforme pubbliche – dovrebbe avere tutta la storia clinica di ognuno di noi e ospitare ogni referto medico, risultati di esami. Peccato che solo una minoranza di strutture pubbliche e private vi partecipino, con il risultato che il fascicolo è stato a lungo vuoto oppure con documenti in un formato inutilizzabile. Il Governo ha cominciato a sbloccare la situazione con alcune Regioni pilota, ottenendo i primi risultati concreti e «ora le strutture saranno obbligate a collaborare per ottenere i fondi del Pnrr», dice Pillon.

 

Al 2026, si legge nel documento di Colao, tutte le Regioni dovranno partecipare appieno e dovrà anche nascere una piattaforma nazionale di telemedicina e tele-monitoraggio dei pazienti. Quanto alle infrastrutture, il governo ha fatto in tempo tutti i bandi con cui portare la migliore rete Internet veloce fissa e mobile a tutti gli italiani entro il 2026: famiglie, aziende, scuole, pubbliche amministrazioni, ospedali. Una rivoluzione, a patto di riuscirci materialmente: a ottobre tutte le aziende di rete hanno lanciato l’alert; non trovano abbastanza manodopera specializzata per fare le nuove reti, per colpa delle storiche lacune italiane in competenze tecniche.

 

Si tenga conto che il precedente piano pubblico banda ultra larga, ancora in corso, viaggia ora con tre anni di ritardo sugli obiettivi fissati (se va bene finirà nel 2023), secondo i dati del ministero Sviluppo economico. Un’altra bella grana per il nuovo Governo, tra le tante.

 

Qualche esperto nota che sì l’ultimo governo ha fatto molto, almeno rispetto ai precedenti, ma non abbastanza: «Colao si è limitato in fondo a seguire il solco dei Governi Letta e Renzi, senza nessuna vera discontinuità, sfruttando solo il vento in poppa dato dal Covid-19 alla digitalizzazione del Paese», dice Francesco Sacco, professore all’università Insubria e tra i consulenti governativi alla stesura della prima Agenda digitale italiana (governo Monti, 2012).

 

Sacco nota che dal governo dei tecnici non c’è stato quello scarto, quella visione di futuro che ci si aspetterebbe da loro. E così ad esempio, «costringiamo ancora le nuove aziende innovative a spendere soldi da un notaio per l’apertura della società, con costi indebiti. Non c’è vera semplificazione: una delle poche novità di amministrazione digitale per i cittadini, peraltro rinviata per anni, è la possibilità di fare il cambio di residenza online. Capirai; e in ogni caso ci ho provato, a Milano, ad agosto e sto ancora aspettando».

 

È d’accordo Eugenio Prosperetti, avvocato esperto di amministrazione digitale: «Il nostro Stato non rispetta ancora il principio dello once only (“una volta sola”), sebbene previsto dalle norme e quindi continua a chiedere più volte gli stessi documenti, che pure dovrebbe già avere nei propri archivi. Lo fa ad esempio l’Agenzia delle Entrate, con le cartelle esattoriali, facendo perdere tempo ai cittadini, e alle imprese». È anche questo il peso della burocrazia inutile di cui parlava lo studio Cgia.

 

Da un altro punto di vista, «si può dire che negli ultimi due anni abbiamo posto le basi per cambiamenti importanti futuri», dice Benedetti. Ad esempio, sulle competenze digitali: il vero nostro tallone d’Achille, secondo la Commissione europea. Non si è fatto quasi nulla per anni, ma nel 2020 è arrivato il piano per le competenze digitali, nel 2021 i primi programmi pubblici gestiti da volontari per i cittadini più svantaggiati, il 13 ottobre 2022 i primi bandi (del Fondo per la Repubblica digitale) per formare lavoratori in questo ambito, partendo da donne e giovani. Anche questi obiettivi rientrano nei fondi Pnrr al 2026, così come la costruzione di una piattaforma pubblica di dati (per permettere tra l’altro il famoso once only).

 

Tante cose critiche da fare in poco tempo; di qui consigli del vecchio governo al nuovo (nel documento di Colao), tra cui spicca l’invito a conservare una regia forte e centrale, com’è stato ora il ministro per l’Innovazione. E anzi rafforzarla, perché ce n’è ora bisogno più che mai. Ma di questi temi l’attuale maggioranza ha parlato pochissimo, né accenna a un possibile ministro dedicato, che quindi potrebbe sparire. E, per tutti i motivi fin qui visti, sarebbe un grosso errore, come dicono - oltre al governo uscente - esperti indipendenti del calibro di Carlo Mochi Sismondi (decano degli studi sulla pubblica amministrazione, fondatore di ForumPa) e Gianpiero Ruggiero del Consiglio nazionale delle ricerche.