Mafia

A 30 anni dall’ultima lezione di Giovanni Falcone, gli studenti portano la Quarto Savona Quindici all’Università di Pavia

di Anna Dichiarante   14 novembre 2022

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L’automobile della scorta del giudice, su cui viaggiavano i tre poliziotti uccisi a Capaci, è stata esposta per la prima volta in città. A volerla ospitare all’interno dell’ateneo sono stati i giovani. Perché qui il magistrato fece la sua ultima uscita pubblica dieci giorni prima della strage

Lo sguardo marmoreo di Alessandro Volta si posa sulla teca di metallo e vetro. È esposta lì, nel cortile dell’Università di Pavia dove campeggia la statua dell’inventore della pila, come simbolo di memoria: al suo interno, sono conservati i resti della Quarto Savona Quindici. Con questo nome in codice è rimasta nella storia la Fiat Croma blindata, targata 72677, che il 23 maggio 1992 apriva il convoglio della scorta di Giovanni Falcone.

A bordo viaggiavano Antonio Montinaro, assistente della polizia di Stato e caposcorta, assieme agli agenti Rocco Dicillo e Vito Schifani, che era alla guida. Furono travolti per primi e in pieno dall’esplosione che si scatenò sull’autostrada tra Punta Raisi e Palermo, all’altezza dello svincolo di Capaci. Morirono tutti sul colpo. La vettura fu scagliata a centinaia di metri di distanza.

Dietro di loro, l’automobile con Falcone e sua moglie, il magistrato Francesca Morvillo: impattarono contro il muro di detriti sollevato dallo scoppio dei 500 chilogrammi di tritolo che erano stati sistemati sotto al manto stradale e morirono poco dopo. Si salvò l’autista, che aveva lasciato il volante al giudice ed era seduto sul sedile posteriore. E si salvarono i tre poliziotti a bordo della terza macchina, che chiudeva il corteo.

La Quarto Savona Quindici arriva per la prima volta a Pavia; a volerla ospitare all’interno dell’ateneo sono stati i giovani del sindacato universitario Coordinamento per il Diritto allo Studio. Da 18 anni, ogni autunno, organizzano una rassegna di iniziative sui temi della lotta alle mafie, convinti che l’accademia sia l’ambiente naturale in cui fare cultura. Compresa la cultura antimafia.

E l’impressionante impatto con quell’ammasso di lamiere, pneumatici e sedili accartocciati a cui è ridotta l’automobile della scorta di Falcone può spiegare meglio delle parole fino a quale punto si sia spinta la barbarie umana. Come fissare nell’immaginario di generazioni nate dopo la strage che cosa sia la mafia? Come catturare la loro attenzione perché capiscano che si tratta di un problema non remoto, ma insinuato nella nostra quotidianità? Il trauma di trovarsi di fronte alla teca e a ciò che materialmente rimane della vita di tre uomini riesce forse nell’intento.

«L’atmosfera dell’università è quella più idonea per confrontarsi sui temi che sono al centro di vivaci polemiche», disse Falcone durante la sua ultima apparizione pubblica. L’ultima lezione, che tenne proprio qui, nell’aula intitolata a Ugo Foscolo, il 13 maggio 1992. Dieci giorni prima dell’attentato. Su invito del professor Vittorio Grevi, studioso di Procedura penale tra i più autorevoli in Italia, Falcone parlò del coordinamento delle indagini nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata. Una sorta di testamento incentrato su una delle sue principali intuizioni: la “Superprocura”, quella Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che è diventata un modello consolidato e ammirato a livello internazionale.

Le «vivaci polemiche» si concretizzarono allora in una feroce campagna di delegittimazione contro Falcone, isolato, accusato di voler trovare un espediente per assoggettare i pm al potere esecutivo e attaccato per aver accettato l’incarico di direttore degli Affari penali al ministero della Giustizia. A dare fastidio era la sua visione innovativa degli strumenti giuridici da fornire a magistratura e forze dell’ordine per combattere la mafia. E ancora oggi le polemiche si trascinano – si pensi all’ergastolo ostativo – su alcuni capisaldi di quella legislazione speciale rivelatasi necessaria per adeguare la reazione dello Stato alle specificità del fenomeno criminale.

Il principio che Falcone poneva alla base della “Superprocura”, infatti, era di «fronteggiare le organizzazioni criminali attraverso l’organizzazione delle indagini» e di evitare che i fascicoli si disperdessero tra procure diverse. Solo con un quadro globale degli elementi probatori si possono comprendere i meccanismi complessi con cui agiscono le cosche.

La lezione pavese fu un’occasione, per lui, per respingere le critiche e fu fortemente voluta da Grevi. In quei mesi il professore stava curando il volume “Processo penale e criminalità organizzata”, che sarebbe stato pubblicato nel 1993. L’uscita venne ritardata di un anno rispetto al progetto originario: anche Falcone avrebbe dovuto essere tra gli autori e con la sua morte il lavoro subì un contraccolpo. Durante l’incontro in aula Foscolo, il giudice promise di consegnare il suo contributo nelle settimane successive e appuntò l’impegno nella sua famosa agenda elettronica. Impegno che non poté mai mantenere.

Perciò gli studenti hanno deciso di celebrare il trentennale di questi avvenimenti ospitando la Quarto Savona Quindici. Sia perché la loro rassegna è dedicata alla memoria di Grevi, che della stessa fu nume tutelare fino alla sua prematura scomparsa nel 2010, sia per ricordare gli anniversari di cui è stato denso il 2022: il 40° degli omicidi di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, di Carlo Alberto dalla Chiesa, Emanuela Setti Carraro e Domenico Russo; il 30°, appunto, delle stragi di Capaci e di via Mariano d’Amelio, dove furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina e Vincenzo Fabio Li Muli.

Se i rottami della Quarto Savona Quindici hanno schivato l’abbandono e l’incuria è stato grazie alla volontà di Tina Martinez Montinaro, vedova di Antonio e madre dei suoi due figli. È lei ad accompagnare instancabilmente la teca in viaggio per l’Italia, offrendo la sua testimonianza soprattutto ai più giovani e agli allievi delle scuole di polizia. Nella convinzione che questo sia il modo per continuare a far correre idealmente il contachilometri della Fiat Croma, fermo a 100.287 km dal 23 maggio 1992.