Diritti
Cosa dice la legge sul diritto all'identità di genere approvata in Scozia
Adesso ogni persona può liberamente determinare il proprio genere senza dover passare da tribunali e psichiatri. Ecco cosa cambia, perché è stata così discussa e come funziona invece il riconoscimento in Italia
Il disegno di legge più discusso della storia del Parlamento scozzese è da ieri la legge più libera d’Europa sulla riaffermazione di genere. Il Gender Recognition Reform Bill sancisce il principio di libertà di genere, intesa come diritto all'identità di genere.
Gli obbiettivi sono molteplici: bloccare la spirale di violenza ai danni delle persone transgender. Permettere il cambio di nome e di genere sui documenti a prescindere da vari interventi burocratici e medici. Informare, dissipare la spessa cortina di ignoranza che vede delle persone trans solo «il corpo muto» negando il valore alto del concetto di identità. La discussione è andata avanti per due giorni fino alla tarda serata di mercoledì ed è stata approvata con 86 voti favorevoli e 39 contrari.
In Scozia dal 2005 i cittadini hanno il diritto di cambiare il proprio genere legale da maschile a femminile, per il Governo una procedura nata vecchia, costosa, medicalmente invadente e angosciante, in grado di scoraggiare le persone dal fare richiesta di un certificato di riconoscimento di genere (GRC).
Cosa prevede la legge?
Le persone sopra i 16 anni (e non più 18) potranno presentare richiesta per un certificato ufficiale che attesti il genere in cui si riconoscono senza bisogno di una diagnosi di incongruenza genere (cioè quando per una serie di fattori biologici, psicologici e sociali il genere percepito non corrisponde al sesso biologico), presentando solo un’autocertificazione. La legge riduce inoltre le tempistiche della pratica: prima era obbligatorio aver vissuto almeno 2 anni come donne (nel caso di donne trans) o come uomini (nel caso di uomini trans) per poter fare la richiesta, mentre ora saranno sufficienti tre mesi, o sei per le persone di 16 e 17 anni. Previsto anche un "periodo di riflessione" di tre mesi durante il quale potranno cambiare idea e sarà un reato rendere una dichiarazione falsa o una domanda falsa, chiunque lo faccia a rischio fino a due anni in carcere. La legge si muove sulla scia di altri paesi europei come Irlanda, Danimarca, Norvegia, Portogallo e Svizzera. Dovrebbe entrare in vigore all’inizio del prossimo anno, ma il governo britannico guidato da Rishi Sunak valuta l’opposizione, opzione possibile nel Regno Unito nel caso in cui le leggi di uno Stato entrino in conflitto con quelle del governo centrale.
Una legge che divide
Trattandosi di un argomento classicamente divisivo (sì/no), ne seguono discussioni a volte appassionate, a volte meno, comunque vivaci. Dalle quali si ricava che anche tra progressisti non vi è, sulla questione, un'opinione univoca. Molti sono perplessi. Molti rigidamente contrari. Questa divisione riguarda un passaggio abbastanza straordinario per la legge approvata, ma ampiamente ordinario all'interno della comunità scientifica che negli anni ha molto discusso sul tema: l’autodeterminazione del proprio genere. La ministra della Giustizia sociale Shona Robison ha presentato la versione definitiva del disegno di legge in parlamento definendola «un passo importante per una Scozia più equa».
Passata con una larga maggioranza, nel più importante partito al governo, l’SNP, sono stati nove i voti contrari, tra cui quello della ex ministra della Sicurezza Ash Regan, che si era dimessa a ottobre proprio in segno di protesta per questa riforma. La più grande rottura interna al partito da quando l’SNP è andato al potere nel 2007.
Gli attivisti contrari alla riforma, sostenuti tra gli altri dall’autrice di “Harry Potter” J.K. Rowling, sostengono che facilitare il cambio dei documenti alle persone trans possa dare libero accesso a uomini malintenzionati in luoghi e servizi destinati alle donne. Un pregiudizio, ribattono dalla comunità Lgbt, che vede le donne trans come predatrici sessuali o uomini travestiti. Argomento contestato anche da Victor Madrigal-Borloz – avvocato delle Nazioni Unite esperto sulla protezione contro la violenza e la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere: «Le donne trans sono donne e gli ostacoli arbitrari al riconoscimento legale dell'identità di genere violano gli obblighi dello Stato in materia di diritti umani. Oltre 350 milioni di persone vivono in sistemi di auto-identificazione e non ci sono riscontri giudiziari o amministrativi di abusi da parte di maschi predatori».
A queste parole si aggiungono quelle di Amnesty International e di sei delle più importanti associazioni scozzesi per i diritti delle donne: «I percorsi verso la realizzazione dei diritti umani per le donne e le persone trans dipendono dagli sforzi condivisi per smantellare i sistemi di discriminazione».
Come funziona in Italia?
Il dibattito resta aperto e la questione scozzese ha messo nei motori della discussione italiana tutta la benzina di cui aveva bisogno per esplodere, ma come funziona oggi nel nostro Paese il riconoscimento di genere? Da più di dieci anni in Italia non è più necessario sottoporsi agli interventi chirurgici di riattribuzione del sesso per chiedere il cambio del nome e del genere anagrafico. La giurisprudenza maggioritaria di tutti i Tribunali italiani si attiene ai principi di diritto enunciati dalla sentenza della Corte di Cassazione (n. 15138/2015) e dalla sentenza della Corte Costituzionale (n. 221/2015). Una possibilità per tutte le persone che restano comunque costrette a rivolgersi ai Tribunali per avere documenti coerenti con la propria identità e che (non sempre) vogliono modificare chirurgicamente il proprio corpo ed essere dunque costrette ad una sterilizzazione forzata.
In particolare la sentenza della Corte Costituzionale ha espressamente dichiarato “irragionevole” subordinare l’esercizio di un diritto fondamentale, personalissimo e costituzionalmente tutelato quale il diritto all’identità di genere, all’esposizione della persona a trattamenti sanitari – chirurgici o ormonali – non voluti ed eventualmente anche pericolosi per la salute. Tuttavia, il percorso giuridico appare tortuoso. Fra tutte, la nomina di CTU (un “esperto”) da parte del Giudice, che accerti la condizione di “Disforia di Genere” e l’irreversibilità del percorso. Questo nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia da tempo riconosciuto che la transessualità non è una malattia, si parla infatti di incongruenza di genere e di identità transgender. Tali condizioni, considerate un tempo patologiche (come del resto anche l’omosessualità), oggi, dopo anni di ricerche, sono riconosciute come normali varianti identitarie, che non vanno interpretate come disturbi mentali. Tuttavia in Italia, rimane necessario consultarsi con legali esperti in queste tematiche. L’esito rimane strettamente legato ad una documentazione endocrinologica e psicologica che sia completa ed esaustiva.