Diritti
Chiamami con il mio nome: chi ostacola la carriera Alias nelle scuole
«I miei compagni mi avevano accettato ma il corpo docenti no. Continuavano a usare il femminile. Per loro la mia identità era un capriccio». Dalla politica alla burocrazia, chi si oppone alla procedura che permette agli studenti transgender di vedere riconosciuta la loro identità di genere
«Ho smesso di andare a scuola per settimane. C’era un muro tra me e gli insegnanti». Marco è un ragazzo di 16 anni, “ftm” cioè female to male. Si dice così quando si transita dal genere femminile al maschile. Studente di un liceo dell’Emilia-Romagna insieme a sua madre è riuscito con fatica a ottenere la carriera alias, un’ancora di salvezza per le persone transgender che presso gli istituti (scuole, liceo, università) vogliono vedere riconosciuta la propria identità di genere.
«Avevo portato un foglio della psicologa che riconosceva la mia incongruenza di genere. Ma niente era cambiato: i miei compagni mi avevano accettato ma il corpo docenti no. Continuavano a usare il femminile. Per loro la mia identità era un capriccio»
La carriera alias è in realtà uno strumento che esiste dal 2003, inquadrato come un profilo burocratico, alternativo e temporaneo. Un nome scelto sostituisce, ad esempio sul libretto elettronico, il nome anagrafico, quello scritto nei documenti ufficiali e dato alla nascita in base al sesso biologico. «Non essere riconosciuti per quello che si è in tutti i campi della vita crea problemi -spiega Marco- La voglia di frequentare la scuola cala drasticamente. Per me era l’ennesima situazione della vita in cui non riuscivo a essere serenamente me stesso, non riuscivo a concentrarmi, avevo priorità sballate. Molti non capiscono che per una persona trans l’essere riconosciuti è un bisogno primario»
Telefonate costanti alla dirigente scolastica da parte della madre. Contatti con le associazioni Lgbt. E ancora psicologi e legali. «Finalmente sul registro elettronico appare il mio nome, finalmente posso scrivere quello che sono anche nelle verifiche e nelle prove».
In Italia le opposizioni ai ragazzi e alle ragazze che chiedono semplicemente riconosciuta la propria identità arrivano dall’esterno, sono ben organizzate: «Quasi da lobby», racconta Michele Spicca, portavoce di Rete Studenti Medi, l'associazione studentesca italiana configurata come sindacato studentesco che all’interno dei licei cerca di sensibilizzare sul tema: «I presidi spesso si fanno intimidire dalla reazione dei genitori. Nella nostra esperienza il più grande ostacolo è sempre rappresentato da due o tre genitori vicini a reti come Pro-Vita che pur di non dare agli studenti il diritto di essere chiamati come vogliono, scrivono lettere infuriate, bombardano le caselle mail dei licei parlando di cancellazione della cultura italiana e teoria gender».
Tra le mail che L’Espresso ha potuto visionare spiccano quelle firmate Articolo 26-Generazione Famiglia, il braccio operativo di Pro Vita: riferimenti alla teoria gender nelle scuole, la carriera alias bollata come scelta ideologica e inoltre richieste precise sulle persone da invitare durante le assemblee per avere “altre forme di testimonianza sulla transizione di genere”.
In Italia le richieste di carriere alias raggiungono anche le università. Secondo il sito universitrans.it, progetto che ha mappato l'accessibilità della carriera alias in tutti gli atenei italiani, quelli pubblici che hanno attivato questo servizio sono 42 su 68. La prima università è stata quella di Torino nel lontano 2003, seguita dalla Federico II di Napoli, da Bologna.
Derek 25 anni, provincia di Latina è stato il primo ragazzo transgender ad aver avviato e ottenuto la carriera Alias all’interno dell’Accademia di Belle Arti di Roma: «Ho provato a lungo il disagio a non esistere per quel contesto, non avendo la documentazione. Avevo il diritto allo studio, ma non alla mia identità. Inizialmente non mi presentavo negli incontri con i prof, avevo paura, avevo ansia soprattutto di vedere il mio deadname e che i prof sbagliassero nome e pronomi. Poi con l’aiuto dei professori e della dirigente abbiamo creato un modulo per l’attivazione. In opposizione ho avuto la segretaria che, nonostante le sollecitazioni della dirigente e dei miei professori mi ha fatto attendere da settembre fino a oggi le credenziali di accesso al portale che utilizziamo per connetterci»
Di recente il sottosegretario all’Istruzione Rossano Sasso (Lega) si è schierato contro le iniziative nei licei: «Le scuole non si devono produrre in fughe in avanti che strizzano l’occhio a percezioni di sé e della propria sessualità immature, estemporanee e, troppo spesso, passeggere- e aggiunge- Il faro per tutti noi deve essere quello del rispetto delle norme di legge attualmente in vigore».
Una dichiarazione che non tiene molto conto della realtà scolastica, secondo Paola Cardarelli, dirigente del Liceo M.T Cicerone di Frascati (RM) : «Capisco i bisogni del sottosegretario ma l’attivazione di questo tipo di moduli mi sembra una cosa non solo legittima, risponde anche una domanda che nella scuola ha la sua priorità: l’inclusione. Nel momento in cui uno studente fa questo tipo di richiesta non parte un iter immediato ma un meccanismo che coinvolge genitori, servizi sociali e l’equipe degli psicologi. Non ci si sveglia la mattina e si avvia il servizio. Le famiglie sono coinvolte»
Per quanto riguarda il rispetto delle norme vigenti, raggiunto da L’Espresso Angelo Schillaci, professore associato di Diritto pubblico comparato all’Università Sapienza di Roma spiega: «L’introduzione nelle scuole della cosiddetta carriera Alias è espressione dell’esercizio dell’autonomia della comunità scolastica. Non c’è nessuna violazione di norme perché ha efficacia esclusivamente interna. Non c’è nessuna violazione del patto di corresponsabilità educativa perché le famiglie sono coinvolte sia in fase di adozione dei regolamenti alias attraverso i loro rappresentanti e soprattutto la famiglia è necessariamente coinvolta trattandosi di persone minorenni. Ma soprattutto è uno strumento fondamentale per assicurare il benessere alle giovani persone trans: l’alias, infatti, assicura il riconoscimento dell’identità di genere di elezione nella vita scolastica quotidiana, da parte di docenti e pari. Questo è fondamentale, a fronte dei tempi molto lunghi richiesti dalla legge 164/1982, che andrebbe urgentemente superata a favore di strumenti più adatti alla reale condizione di vita delle persone trans di ogni età»