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L’aria inquinata uccide ma dimostrarlo in tribunale è una lotta

Torna lo smog. Ripartono nuovi divieti contro auto e allevamenti. Che, soprattutto nella Pianura Padana, non bastano a riportare i veleni nei limiti di legge. Ora una coppia di Torino ha chiesto i danni. Per spingere la Regione a combattere davvero

È un anniversario che nessuno vuole ricordare. Il 5 dicembre di settant’anni fa il cielo di Londra fu oscurato da una nuvola di smog più velenosa del solito. Quando si diradò, cinque giorni più tardi, aveva provocato tra cinquemila e 12 mila morti. La forbice tra queste due cifre mostra quanto sia difficile attribuire malattie e decessi all’inquinamento atmosferico. In Italia, secondo i dati più recenti, ogni anno muoiono per colpa dell’aria inquinata 53 mila persone. O forse 80 mila. Il problema è che legare all’inquinamento il singolo caso è praticamente impossibile.

Può sembrare un paradosso, visto che da sempre i medici consigliano “aria buona” a chi ha malattie respiratorie: «Ma non lo è», risponde Roberto Romizi, presidente dell’associazione Medici per l’Ambiente. «Il rapporto causa-effetto tra inquinamento e aumento della frequenza di numerose malattie respiratorie è stato ampiamente dimostrato. Quello che non si riesce a fare è imputare il singolo caso (attacco di asma, bronchite, tumore del polmone...) accaduto tra le persone esposte all'inquinamento, perché ve ne sono (seppure con frequenza inferiore) anche tra i non esposti».

Si spiega così che solo una volta una richiesta di danni in questo senso è stata accettata da un tribunale. È successo a Londra nel 2020, quando i genitori di una bambina morta di asma hanno ottenuto un risarcimento che ha fatto storia. Sperano di scrivere un pezzo di storia anche i due torinesi, appoggiati dagli ambientalisti di Torino Respira e di ClientEarth, che hanno deciso di portare in tribunale la Regione Piemonte perché il loro figlio di sei anni soffre di bronchite cronica. Per colpa dell’aria avvelenata che ha respirato quasi ogni giorno della sua vita, e quindi della Regione, che non ha fatto rispettare i limiti di legge sull’inquinamento atmosferico.

In effetti dall’inizio di quest’anno, ha calcolato MeteoExpert, i cittadini di Torino, Milano e Venezia hanno respirato per due mesi interi aria inquinata (soprattutto dalle polveri sottili, le famigerate PM10 e PM2,5). E non è un problema solo delle metropoli: all’inizio del 2021, secondo fonti dello Health Effects Institute di Boston e della rivista Lancet, la Pianura Padana era il luogo in Europa in cui si moriva di più di inquinamento. In particolare, tra le venti città a più alta concentrazione di MP2,5 si contavano Brescia, Bergamo, Vicenza, Saronno, Verona, Treviso, Milano, Padova, Como, Cremona, Busto Arsizio… Al ventunesimo posto c’era Pavia, poco oltre Torino.

Gli allarmi si ripetono, le misure d’emergenza scandiscono gli inverni. Chi cerca le previsioni del tempo si vede segnalare per prima cosa la qualità dell’aria: molte città della Pianura Padana collezionano una quantità di “inquinata”, “mediocre”, “scadente” (e ci si chiede a che serve saperlo: se piove prendo l’ombrello ma se l’aria è sporca che faccio, respiro di meno?). Un numero crescente di cittadini sceglie comportamenti virtuosi: i ciclisti aumentano anche se i medici sconsigliano lo sport all’aperto, i trasporti pubblici svuotati dal Covid-19 sono di nuovo affollati, l’aumento dei vegani mira a ridurre gli allevamenti, il caro-gas si allea con l’ecologia per far abbassare i riscaldamenti.

Ma la buona volontà dei singoli non basta. Quando L’Economist ha pubblicato una piantina dell’Europa che sanciva il record negativo della Pianura Padana, le cause erano attribuite ad «agricultural waste, factory emissions and car exhausts». Allevamenti, fabbriche e motori: la seconda voce però compare a stento nel dibattito sulle misure per ripulire l’aria. Come se tutti avessero introiettato in anticipo la filosofia del nostro presidente del Consiglio: «Non disturbare chi produce». Romizi (che è di Arezzo) invece elenca tra le cause «l’industrializzazione e l’alta densità di popolazione, oltre a traffico su strada, termovalorizzatori, riscaldamento a legna e allevamenti intensivi».

Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, conferma che «le misure prioritarie devono riguardare la limitazione del traffico, automobilistico e commerciale, sapendo che i risultati più incisivi derivano dal superamento della motorizzazione diesel. L'altro pilastro su cui occorre lavorare è la riduzione delle emissioni agricole di ammoniaca, che in Pianura Padana sono la fonte più rilevante, e fino ad oggi fortemente sottovalutata, di particolato secondario».

Chi si aspettava richieste più stringenti, in una delle zone più martoriate al mondo dal Covid, sarà rimasto deluso: ma il rapporto tra pandemia e aria avvelenata «non è stato dimostrato in modo definitivo», continua Meggetto. «Sicuramente l'inquinamento è un fattore debilitante della salute respiratoria e cardio-circolatoria. Ma sembra da escludere che ci sia un ruolo delle particelle sottili come agenti in grado di facilitare il contagio».

I ricercatori intanto allargano il campo della ricerca. «Negli ultimi quindici anni», spiega Romizi, «sono emerse, a livello sia sperimentale che epidemiologico, relazioni ben definite anche con malattie metaboliche, neurologiche, endocrinologiche, gastroenterologiche e persino psichiatriche. Per non dimenticare le neoplasie maligne». I danni colpiscono anche prima della nascita: «Una volta si riteneva che il sacco amniotico fosse in grado di “schermare” molte sostanze potenzialmente tossiche, ma ora si sa che non è così: particolato e microplastiche sono stati ritrovati nella placenta». E la situazione è destinata a peggiorare: «Le modificazioni climatiche in corso ci ricordano che non abbiamo più tempo per indecisioni o per rischiose “transizioni”. Abbiamo la urgente necessità non solo di un rapido e completo abbandono delle fonti fossili a beneficio di energie rinnovabili e sostenibili ma anche di un completo ripensamento di modelli alimentari e produttivi che si sono dimostrati nocivi per ambiente, animali ed esseri umani».

Una spinta all’azione la danno le multe previste per il superamento dei limiti stabiliti dalle leggi europee, che diventano sempre più restrittivi: «Per rientrare nei limiti previsti dalla nuova direttiva», osserva Meggetto, «che più o meno dimezza i valori-soglia ammessi, occorre lavorare per togliere auto nelle città, ridurre le velocità, far viaggiare le merci sui treni e le persone in bici o sul trasporto collettivo. Ridurre il numero degli animali allevati. E rendere più efficienti gli edifici»

Difficile chiedere di più in una regione in cui l’assessore all’ambiente, Raffaele Cattaneo, ha dichiarato che rispettare i nuovi limiti europei non sarebbe stato possibile nemmeno «deportando tutti i lombardi», e ha festeggiato la pioggia che ha interrotto il primo blocco del traffico di stagione a Milano notando che «la qualità dell’aria risente molto di più delle condizioni meteo-climatiche» che delle misure antismog. Il problema insomma non è l’inquinamento ma il clima. Sembra di risentire la battuta chiave di “Johnny Stecchino”: «Palermo ha un grosso problema. La mafia? No: il traffico!» Ma come nel film di Roberto Begnini, anche questa volta si ride amaro.

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