Violenza sulle donne
Le violenze sessuali tra amici sono un fenomeno drammaticamente in crescita. E troppo spesso i genitori non hanno la percezione del reato
Questo articolo è pubblicato senza firma come segno di protesta dei giornalisti dell’Espresso per la cessione della testata da parte del gruppo Gedi.
Tutte le informazioni qui
La festa del venerdì o del sabato sera. All’aperto, ma più spesso nelle case. La cronaca li registra come fenomeni in costante crescita. Sono le violenze sessuali su minorenni. Stupri tra amici. Appuntamenti che si trasformano in incubi, cui seguono denunce, non sempre. E indagini. Rivelano uno spaccato in cui l’abuso è percepito come ordinario, la vittima, non importa se ubriaca o sotto effetto di stupefacenti, dalle difese indicata come consenziente. Dietro ogni caso c’è una storia ma con alcuni tratti comuni specchio di contraddizioni e nodi irrisolti dell’universo giovanile. Che investono la responsabilità degli adulti e i rapporti generazionali.
C’entra il sesso ma non solo. C’entra la percezione di sé e dell’altro. Logiche di dominio e retaggi di patriarcato, sostiene lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro, istituto di analisi dei codici affettivi: «Abbiamo costruito un modello di società in cui la dimensione dell’altro è difficile da vedere. In cui si raggiunge il successo quando si infrangono le regole. In cui i bisogni e i desideri del singolo prevalgono sulla mediazione con le ragioni dell’interlocutore».
Il disagio, spesso evocato, non si vede a occhio nudo. Salta agli occhi invece la normalità. E del reato non c’è percezione. Non soltanto da parte degli autori, ma spesso anche da parte di chi gli sta intorno. I genitori per primi.
Reggio Emilia, 28 gennaio. Cinque compagni di classe non vanno a scuola perché c’è lo sciopero indetto dopo la morte di Lorenzo Parelli durante l’ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro. Si sarebbero dovuti incontrare per «giocare alla playstation o fare shopping», secondo le dichiarazioni dell’avvocato della ragazza di quindici anni che, invece, nel primo pomeriggio chiede aiuto alla sorella. L’abuso è avvenuto a casa di uno dei compagni che ora è agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale aggravata dalle condizioni di inferiorità psichica e fisica della vittima, che aveva bevuto vodka e non era nel pieno delle sue facoltà di giudizio. «Alcol e droga aumentano la disinibizione e favoriscono la perdita di contatto con la realtà ma non sono la causa della violenza. Il vero tema è la prevaricazione dell’altro e l’intenzione di usarlo come strumento per lenire le proprie fragilità. La dinamica si acuisce quando abbiamo a che fare con vicende che riguardano “il gruppo”. Un insieme di persone è diverso della somma delle sue parti e scatena le proprie logiche. Non tutti gli accadimenti si sarebbero verificati se gli individui fossero stati soli. Nel gruppo la persona tende ad affermarsi, a cercare il proprio valore e a volerlo vedere riconosciuto», spiega Lancini. Tutt’altro che un modo per giustificare: «È necessario affiancare alla persecuzione individuale del reato anche una sua elaborazione collettiva».
Uno spaccato per capire meglio lo offrono le intercettazioni tra gli indagati dello stupro avvenuto a Roma a Capodanno 2021 quando una ragazza di sedici anni è stata violentata durante una festa in una villetta. Anche qui alcol e droga costituiscono un’aggravante ma non la ragione del reato. Nelle conversazioni non c’è preoccupazione per l’adolescente. Mentre la vittima ha raccontato alla polizia di essersi risvegliata «con le gambe e le braccia piene di lividi», di aver provato «schifo» e di «non riuscire più a toccare il proprio corpo». Chi ha assistito scagiona se stesso e gli altri, descrive un clima «divertente» e parla della violenza come di una cosa lecita, dando per scontato il consenso. Dalle intercettazioni si capisce anche che i genitori, informati, non hanno denunciato, né invitato i responsabili a farlo. Non un caso isolato: in provincia di Mantova, lo scorso maggio, in cinque avrebbero violentato una minorenne durante una festa in casa. E a Gallarate, ad inizio febbraio, una diciannovenne ha subito abusi durante una serata in discoteca con le amiche.
Le denunce da parte di adolescenti sono aumentate nell’ultimo periodo, secondo Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente dell’associazione nazionale volontari Telefono Rosa che fino al 2020 ha gestito il numero di pubblica utilità 1522. «Abbiamo visto un aumento delle telefonate da parte di adolescenti dovuto a una crescente presa di coscienza delle donne. Ma fatichiamo ancora a sradicare i retaggi del sistema patriarcale, la considerazione della donna come oggetto da possedere». Per Carineri Moscatelli è importante combattere gli stereotipi fin dall’infanzia perché in questo modo vengono coinvolti anche i genitori.
«Dovremmo assumerci le nostre responsabilità in quanto adulti. Abbiamo dato vita a una società iper-competitiva, performante. In cui non si parla più del fallimento. I genitori tengono i figli lontani dagli aspetti difficili dell’esistenza, per non farli soffrire, ma in questo modo li privano della conoscenza, invece formativa, di una parte della realtà». Per Lancini oggi non viviamo più una società sessuofobica, i giovani non sono costretti a reprimere la propria sessualità. «Il sesso in quanto tale è sempre meno importante per gli adolescenti. Un’educazione affettiva e sessuale in cui la pornografia è accessibile e pervasiva può causare confusione, incapacità di discernere tra amore, sesso, atletismo e prestazione». Ma l’oggettivazione del corpo femminile che, invece, non una è cosa, non si può possedere, pretendere o requisire, è un aspetto di un fenomeno più complesso.
Anche l’abuso di Internet che porta a equivocare tra ciò che è possibile nel virtuale o nel reale, la polarizzazione delle opinioni e la pandemia che ha portato alla mancanza di socialità, sono concause. Ma non le ragioni che spingono gli adolescenti a compiete atti violenti. La spiegazione risiede, per Lancini, nella volontà di attenuare la propria condizione di fragilità, percepita come strana, inaccettabile, attaccando gli altri. Specialmente chi dal gruppo, dal contesto, viene considerato come ancora più debole. Questo vale sia per la violenza sessuale ma anche per quella in senso generale. Come testimoniano i video di risse scoppiate nei centri delle città e poi diffusi sui social per like e follower. Si cercano lo scontro e l’occasione per avere visibilità ma, secondo lo psicoterapeuta che ha appena pubblicato il libro “L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti”, nella maggior parte dei casi i ragazzi manifestano il disagio che vivono attaccando loro stessi.
«In un momento di forte precarietà sociale, ambientale. In cui il futuro è visto come imprevedibile, in cui non c’è nulla di sicuro su cui appoggiarsi, per un maschio mettere in dubbio anche la propria essenza, farsi domande sul genere, come manifestarlo, come relazionarsi con gli altri, è ancora più difficile. Per questo c’è chi torna ad aggrapparsi a un modello di mascolinità tossica, in cui l’uomo è predatore. E proprio grazie a questo trova il suo ruolo nel gruppo», dice Fausto Cirillo, studente dell’istituto Valentini-Majorana di Castrolibero, in provincia di Cosenza, tra gli organizzatori dell’occupazione di febbraio per protesta contro le molestie sessuali di alcuni professori. Per Cirillo, mentre le donne hanno acquisto consapevolezza dei loro diritti, «i maschi sono rimasti indietro». Come suggerisce Luisa del collettivo transfemminista intersezionale Fem.In Cosentine in Lotta, «è necessario fare formazione nelle scuole contro le molestie di genere». Non solo per educare alle pari opportunità ma per insegnare che l’altro è un limite da rispettare per la propria autodeterminazione. Prima che la violenza avvenga.