L’inchiesta
Armi, gran bazar Italia: flussi di denaro per oltre 14 miliardi di euro
Raddoppiano le operazioni bancarie di materiale bellico che entra, che esce e che transita. Roma si conferma uno snodo mondiale. Le esportazioni crescono utilizzando le procedure semplificate. Qatar è il primo cliente. Affari anche con la Cina e la Serbia (inviato esplosivo). E una piccola commessa finisce in Vaticano. Ecco tutti i numeri del 2021
La palla è tonda. A volte pure la notizia lo è. L’Italia non sarà campione del mondo in Qatar, però sappiate, se vi consola, che il Qatar è campione del mondo in Italia. Il paese del golfo Persico, meno popolato di Roma e meno esteso della Calabria, è il primo cliente dell’industria bellica italiana con 813,5 milioni di euro spesi nel 2021.
Il Qatar scalza l’Egitto in cima alla classifica. Cioè una monarchia assoluta prevale su un regime militare. Il risultato è provvisorio. La competizione è serrata. L’Egitto ha ceduto la posizione ai qatarini dopo un biennio con oltre 1,8 miliardi di euro di compere in Italia (e scivola al 18esimo posto). S’era detto, mai le fregate al generale Abdel Fattah al Sisi se non le baratta con la verità sull’uccisione di Giulio Regeni. Le navi da guerra sono arrivate puntuali, la verità su chi ha massacrato e torturato il giovane italiano è imbottigliata chissà dove.
Il Qatar è affezionato ai prodotti italiani. L’esercito di Doha è griffato tricolore con 7,5 miliardi di euro di acquisti dopo gli accordi con il governo di Matteo Renzi, costante e comprensivo frequentatore dei reali del Golfo.
Ogni anno il governo deposita alle Camere una voluminosa relazione sulle vendite di armi - L’Espresso l’ha anticipata la scorsa settimana - in ossequio alla legge numero 185 del 1990, una serie di norme invecchiate male con una serie di divieti calpestati bene: per esempio, non cedere mezzi da guerra a stati che non tutelano i diritti umani.
Ogni anno ci si indigna per qualche settimana, negli ultimi tempi basta qualche minuto, pacifisti, lobbisti, analisti, politici, ciascuno si esibisce con lievi ritocchi al proprio rodato copione. «Se non lo facciamo noi, lo fanno i francesi e i tedeschi». «Se non lo facciamo noi, bisogna licenziare migliaia di dipendenti». E così via. Il governo italiano ha autorizzato nel 2021 l’esportazione e l’importazione di materiale bellico per un totale di 5,340 miliardi di euro (4,821 nel 2020) di cui 4,661 miliardi in uscita (4,647 nel 2020) e 679 milioni di euro in entrata (174 nel 2020). I 14 miliardi di euro del 2016 (di cui metà erano caccia europei per il Kuwait) fanno ancora emozionare i lobbisti, epoche ricche, ma le premesse sono tornate buone. Gli affari crescono se li traina la paura. E la guerra in Ucraina fa correre la paura. I trenta membri Nato stanno per rovesciare sul banco decine di miliardi di euro. Si chiama fase espansiva. Spaventa, però il ruolo della paura l’abbiamo capito.
I vincoli rallentano, le leggi respingono. Invece l’Italia ha bisogno di “semplificare”, che parola, la solita parola, sempre evocata dai governi, promessa per la burocrazia, chimera per i cittadini. Con le armi funziona già. Trasferire una flotta di aerei da combattimento ai dittatori del Turkmenistan - è successo - è complicato e addirittura sfiancante per i servizi commerciali e logistici, attivare le «licenze globali e generali», non le «licenze individuali», è molto più comodo. La “semplificazione” fu introdotta fra il 2016 e il 2017. Il governo se ne vanta nel documento inviato ai parlamentari: «Rispetto al 2020 si è registrato un calo del 7,1 per cento del valore delle autorizzazioni individuali nonostante l’incremento (da 2.054 a 2.189) dei provvedimenti rilasciati. Questa diminuzione è compensata dal numero delle licenze globali e generali, le quali confermano la tendenza di crescita dei valori dei materiali esportati già osservata negli anni precedenti e riconducibile al fatto che tali autorizzazioni rappresentano uno strumento di semplificazione. Nel 2021 il loro valore cumulativo è stato di 922 milioni di euro». L’Italia è un luogo parecchio battuto per lo smercio di forniture militari, lo si evince dalle analisi del ministero del Tesoro: «Nel corso del 2021 sono state effettuate dagli operatori bancari - si legge nel documento - 17.931 comunicazioni inerenti a transazioni bancarie per operazioni di esportazione, importazione e transito di materiali di armamento per un importo complessivamente movimentato pari a oltre 14 miliardi di euro». E armi o pezzi di armi o comunque qualcosa che fa o può fare guerra avevano come destinazione l’Africa più povera, la temuta Cina e l’Ucraina. Nel 2020 erano 7,8 miliardi. Raddoppiati.
Ci si deve abituare a intense relazioni con i governi non democratici. Roma fabbrica armamenti di pregevole qualità e fa parte di diversi consorzi europei. Gli interessi di Stato sono troppi per fronteggiare questioni di coscienza. Oggi l’emergenza è il gas. Va cercato altrove per non finanziare la Russia. Il Qatar è disponibile con Roma. La consuetudine incide. Il discorso è cinico, ma è soprattutto politico. La delegazione degli Esteri col ministro Luigi Di Maio ha ricevuto una calorosa accoglienza a Doha. Il metano liquefatto (Gnl) già viene stoccato nel mar Adriatico davanti alle coste di Porto Levante in provincia di Rovigo. Su un’isola artificiale, il rigassificatore, di proprietà degli americani di Exxonmobil, azionisti di minoranza Qatar Petroleum, quota simbolica agli italiani di Snam. Il piccolo emirato contribuisce con 6,5 miliardi di metri cubi di gas al fabbisogno italiano di 75 miliardi e la Farnesina ne ha recuperati altri 2 per l’avvenire. In perfetto equilibrio, nei giorni scorsi con una cerimonia allo stabilimento di Tessera a Venezia, la multinazionale italiana Leonardo ha consegnato ai qatarini una coppia di elicotteri navali Nh90 modello Nfh. La famiglia Al Thani ne ha ordinati una dozzina e ha in dotazione da dicembre un esemplare (e ne mancano 15) della versione terrestre Tth. Questa commessa è del gruppo Nhindustries che ha per capofila Leonardo con francesi, tedeschi e olandesi. Il contratto da 3 miliardi di euro per la multinazionale italiana fu sottoscritto il 14 marzo 2018, una data sospesa fra le elezioni che punirono il centrosinistra e la formazione del governo di Lega e Cinque Stelle.
Per il Qatar di Tamim bin Hamad al Thani, isolato dai vicini del Golfo, accusato di legami con gli estremismi islamici, protagonista discreto e però influente in Libia, mecenate di squadre di calcio come il Paris Saint Germain e il Manchester City e organizzatore di eventi come il controverso mondiale di quest’anno, la partita di elicotteri fu l’epilogo della travolgente intesa con l’Italia maturata col renzismo.
In quel periodo i qatarini hanno investito in alberghi di lusso, immobiliare, trasporti, imprese, sanità e nel mentre - giugno 2016 - hanno firmato con Fincantieri un appalto da 4 miliardi di euro per 4 corvette, 2 pattugliatori, una nave anfibia. Il patto di cooperazione militare tra Italia e Qatar fu stretto col governo Berlusconi (2010), ma fu la politica dem Roberta Pinotti, ministra della Difesa nei governi di Renzi e di Paolo Gentiloni, a soddisfare le richieste di Doha. Fincantieri e Leonardo dovranno assistere a lungo le forze armate del Qatar. I 7,5 miliardi di euro accumulati fin qui verranno ritoccati all’insù nei prossimi anni. Questo non impedisce a Roma di intrattenere lo stesso tipo di rapporti, di certo più laschi, con Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Il tributo alla pubblica opinione (e al pubblico pudore) si è già consumato. Il governo Draghi, dopo una risoluzione votata dal Parlamento, ha bloccato le forniture di missili e bombe dirette in Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita perché impiegati nel conflitto nello Yemen. Il provvedimento ha cancellato 328 milioni di euro di introiti e colpito la filiale sarda dell’azienda tedesca Rwm. Da lì venivano spediti i rifornimenti per gli arabi dopo le concessioni di Palazzo Chigi nel 2016/2018. Un traffico non più tollerabile verso il regno di Riad del giovane principe Mohammad bin Salman, considerato il mandante dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. Nessuno se n’è risentito. La casa reale ha prenotato da Leonardo 9 elicotteri AW139 e altri 16 per la società statale The Helicopter Company, li vogliono per utilizzi civili. Lo scorso anno emiratini e sauditi, inoltre, hanno ottenuto il nullaosta per 52 licenze di esportazioni militari per oltre 100 milioni di euro.
Un terzo delle vendite italiane è concentrato in Nord Africa e in Medio Oriente. Però sul podio col Qatar ci sono Stati Uniti (762 milioni di euro) e Francia (305). Da segnalare il Pakistan quinto (203), le Filippine ottave (98). Leonardo ha il 43,4 per cento del mercato, seguono Iveco Defence Vehicles col 23,4 che fa riferimento a Exor della famiglia Agnelli/Elkann (proprietaria anche del gruppo editoriale Gedi), Mbda Italia con il 5,3 e Ge Avio con il 3,8.
Nel 2021 le importazioni hanno raggiunto 678 milioni di euro, un picco mai neppure sfiorato in passato. I numeri sono parziali perché non conteggiano le operazioni con gli alleati europei e di recente assorbono i fuoriusciti della Gran Bretagna. A parte i 227 milioni di euro pagati a Londra, l’Italia ha acquistato materiale bellico da Stati Uniti (216 milioni), Canada (84), Svizzera (63).
Grave apprensione in Europa per la Cina che ha inviato un carico di missili alla Serbia, da sempre incline al fascino di Mosca. Forse può consolare sapere che Pechino ha spedito in Italia strumenti militari per 3,9 milioni di euro e che Belgrado ha sbrigato commesse per altri 3,3 milioni. E infine che Roma ha girato in Serbia esplosivo per 320.000 euro. Pure il Vaticano ha garantito il suo obolo all’industria bellica, circa 30.000 euro in due anni per equipaggiamenti di protezione e apparecchiature per la direzione del tiro. Per centrare la pace, ovvio.