I crimini di Putin
La Norimberga del Cremlino. Tre ipotesi per processare il presidente russo
La Corte penale dell’Aja, un tribunale ad hoc, giurisdizione universale. Le opzioni possibili per ottenere giustizia sull’aggressione all’Ucraina e l’eccidio di civili inermi
C’è stata Bucha con i suoi orrori, i civili massacrati, assassinati con le mani legate, torturati. C’è il missile sulla stazione di Kramatorsk con quell’ignobile dedica «per i bambini» che ha ucciso intere famiglie in fuga, ci sono le donne stuprate e bruciate, i bambini violentati, ci sono le migliaia di morti di Mauripol assediata, dove si muore per le bombe russe e per la fame.
Le prove dei crimini di guerra compiuti dai soldati russi si accumulano giorno dopo giorno, testimonianze e racconti raccapriccianti arrivano dall’Ucraina in tempo reale e salgono le richieste di portare i responsabili davanti alla Corte penale internazionale (Cui) - con sede all’Aja - il tribunale che indaga e persegue i criminali di guerra, i responsabili di genocidio e crimini contro l’umanità ed ora anche il «crimine di aggressione». Pochi giorni dopo l’invasione russa il procuratore della Cpi, Karim Kahn, ha annunciato (2 marzo) di avere aperto un’indagine per crimini di guerra e l’11 marzo ha creato un portale dedicato, attraverso il quale «qualsiasi persona che possa avere informazioni rilevanti per la situazione in Ucraina può contattare gli investigatori della Cpi».
È solo l’inizio di quello che potrebbe essere un lungo iter giudiziario e che potrebbe coinvolgere oltre ai generali e ai soldati russi anche lo stesso Vladimir Putin. Potrebbe farlo la Corte penale internazionale (in funzione dal 2002)? Al momento è un’ipotesi piuttosto remota. La Russia (come gli Stati Uniti e la Cina) non ha aderito allo Statuto di Roma, il Cpi non può giudicare in contumacia, quindi per Putin (o chiunque altro) dovrebbe prima essere emesso un mandato di arresto. Per Fulvio Maria Palombino, ordinario di Diritto Internazionale all’Università di Napoli Federico II, un mandato di arresto «non si può escludere, ma vanno anzitutto raccolti elementi di prova a carico di Putin, il quale potrebbe ragionevolmente essere chiamato a rispondere sulla base della responsabilità di comando. Occorrerebbe poi un repentino cambio di governo in Russia, con una nuova leadership che accettasse di consegnarlo alla Corte. In ogni caso, un mandato d’arresto sarebbe di per sé un risultato significativo, perché la libertà di movimento di Putin ne risulterebbe fortemente compromessa».
Negli ultimi giorni tra chi si occupa di giurisdizione internazionale si è discusso anche della possibilità di creare sui crimini di guerra commessi in Ucraina un tribunale ad hoc, idea lanciata pubblicamente da Philippe Sands, uno dei più conosciuti specialisti in diritto internazionale. «Tecnicamente è possibile ma ci deve essere la volontà politica di metterlo in piedi. Un tribunale ad hoc avrebbe come elemento di forza quello di superare il problema della competenza per il crimine di aggressione, anzi nascerebbe proprio per colmare questo vuoto. La sede più appropriata potrebbe essere quella di un’organizzazione regionale come il Consiglio d’Europa, organizzazione che da 70 anni promuove i diritti umani e visto che si tratta di una guerra in corso in Europa. Da un punto di vista politico un’iniziativa tutta europea metterebbe al riparo da altre critiche, come la presenza degli Stati Uniti, che potrebbero minarne la credibilità. Però sono tutte opzioni sul tappeto, di concreto per ora non mi sembra ci sia nulla», spiega a L’Espresso Alberto Perduca, magistrato e già procuratore della Repubblica, per una dozzina di anni impegnato in attività giuridica internazionale.
Più di un modello è possibile, secondo Perduca. «Quello sul solco di tribunali ad hoc che abbiano la possibilità di portare a giudizio gli accusati e di ottenere dalla Corte ordini di cattura, tipo ex Jugoslavia, Ruanda o la stessa Corte penale internazionale. Oppure creandone uno misto, con la partecipazione anche dell’Ucraina, sul modello avuto in Sierra leone, a Timor Est, in Kosovo, in Libano, in Cambogia. Dove si sono creati tribunali con giudici del Paese interessato ma coadiuvati da una componente internazionale. Questo anche per mettere al riparo dalla cosiddetta giustizia dei vincitori contro i vinti. Per ora l’unico aspetto concreto è che la Corte penale si è mossa con il suo procuratore per raccogliere delle prove. Altra cosa interessante è l’iniziativa di alcuni Stati europei, che in base al principio della giurisdizione universale hanno iniziato delle indagini anche se i fatti sono avvenuti fuori dal loro territorio». Si tratta di Germania, Spagna, Estonia, Francia, Lettonia, Lituania, Norvegia, Polonia, Slovacchia, Svizzera e Svezia. L’Italia non c’è perché non ha una normativa che consenta di intervenire in base a questo principio della giurisdizione universale. Tre iniziative (procuratore dell’Aja, possibile tribunale ad hoc e giurisdizione universale) che possono portare ad un processo, anche se «ci sarà un grosso problema di coordinamento in modo da evitare sovrapposizioni o contrapposizioni».
Nel dicembre 2017 il «crimine di aggressione» è stato definito dagli Stati che hanno aderito allo Statuto di Roma come «pianificare, preparare, iniziare o eseguire, da parte di chi è in posizione di esercitare effettivamente il controllo o dirigere l’azione politica e militare di uno Stato di un atto di aggressione che per natura, gravità e scala costituisce una manifesta violazione della Carta dell’Onu». L’Allegato III precisa inoltre che l’atto di aggressione implica «l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato».
Per Palombino la creazione di un tribunale ad hoc ha però un limite. «Oltre alle difficoltà tecniche insite in una iniziativa del genere, c’è un problema di fondo: se è vero che l’istituzione di un tribunale sul modello di Norimberga permetterebbe di perseguire il crimine di aggressione ai danni dell’Ucraina, questa stessa scelta segnerebbe il ritorno ad un modello di giustizia penale internazionale selettiva, visto che all’evidenza verrebbe perseguito il solo crimine russo. L’iniziativa in sé è meritevole, ma si rimetterebbe in discussione tutto l’iter percorso per dare vita ad una corte permanente che consentisse proprio di superare quel modello. In prospettiva, poi, sarebbe opportuno creare le premesse per rendere la norma sull’aggressione contenuta nello Statuto di Roma realmente applicabile».
La giurisdizione internazionale è complessa, ma potrebbero essere prese in considerazione anche le dichiarazioni che il leader russo ha fatto all’indomani dell’invasione dell’Ucraina. «Si tratta di una vera e propria dichiarazione di guerra, una dichiarazione pubblica in cui Putin ha cercato di giustificare in vario modo l’uso della forza. In questo senso non bisogna sottovalutare una dichiarazione così esplicita, dato che potrebbe rappresentare un elemento di prova centrale nell’accertamento di un crimine di aggressione. Crimine che la Corte penale internazionale non può però perseguire, perché commesso da cittadini di uno Stato che non ha aderito allo Statuto di Roma».