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Attualità
aprile, 2022

Giovanni Contratti, il medico eroe che denunciò i veleni della chimica. E venne isolato dalla politica

Intorno al 1970 fu il primo a combattere l’impianto Montedison di Bussi sul Tirino, mettendosi contro i potenti e venendo abbandonato dalle istituzioni. Mezzo secolo dopo le scorie tossiche restano ancora sotto terra

In rete girano pochissime informazioni su di lui. Giovanni Contratti aveva capito tutto, ma troppo in anticipo. E non che le cose oggi vadano di prassi meglio di mezzo secolo fa. Difesa della natura e della salute pubblica contro ogni cinismo di profitto bulldozer. «Le vedeva come priorità assolute», ricorda la figlia Luana. «Un eroe borghese, un visionario, una voce nel deserto», afferma il procuratore della Repubblica di Pescara Giuseppe Bellelli, che nel processo Bussi-Montedison è stato pubblico ministero.

 

La sua requisitoria ebbe tra i caposaldi anche i documenti d’epoca legati alla figura di Contratti. Fondamentale, il suo j’accuse ritrovato, per far venire alla luce le responsabilità della più grande discarica di veleni d’Europa. «È emerso come un gigante e la sua vicenda dimostra come ci fossero già mezzi scientifici e normativi sufficienti per denunciare», aggiunge Bellelli a L’Espresso: «Altro che “non sapevamo”». Il processo, come noto, si è chiuso con l’assoluzione di alcuni imputati e la prescrizione per altri. La verità storica dei misfatti, in primis il prolungato disastro ambientale, è stata comunque suffragata.

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Per decenni lo stabilimento abruzzese Montedison di Bussi sul Tirino ha infettato l’acqua e il suolo con centinaia di migliaia di rifiuti tossici. In periodi remoti, intorno al 1970, il medico e assessore comunale Giovanni Contratti fu il primo a lottare con quel Leviatano della chimica. Davide contro Golia.

 

Scrisse infinite lettere, circostanziate e impavide, all’indirizzo dell’entourage del presidente Eugenio Cefis, il controverso e potentissimo boiardo di Stato, vertice della “razza padrona” di quegli anni. E le redigeva di notte, a casa sua, sulla macchina da scrivere privata. Non poteva certo comporle in Comune o nello studio professionale: «Temeva di essere spiato», rivela la figlia.

Della Montedison segnalò le negligenze, le reticenze e le colpe subito squillanti nell’inquinamento del fiume Pescara (che mutava colore da un giorno all’altro) e dell’intera Valpescara. Prima con gli scarichi diretti, poi con l’interramento nel sottosuolo di un numero impressionante di sostanze potenzialmente micidiali. Un uomo che ha precorso campagne ecologiche di là da venire. A eccezione di Antonio Cederna e altri sparuti pionieri, quel fronte era sguarnito pure a sinistra, ai tempi. «Non poteva tollerare che il fiume che bagna la sua città fosse avvelenato», spiega Augusto De Sanctis, ambientalista e attivista del forum H2o: «Ma si trovò davanti una macchina come Montedison, un apparato finanziario e produttivo che aveva dalla sua quasi tutto il potere costituito, con un peso enorme dal punto di vista sociale dato che quella di Bussi era la più grossa fabbrica della zona, con migliaia di lavoratori». E così la sua sorte sfociò nella marginalizzazione, nell’ostracismo, nell’oblio.

 

Miserabili nemesi per l’integrità e la devozione agli interessi supremi della collettività. Nato nel 1911, dopo la Seconda guerra mondiale Contratti diventa un medico di famiglia, «inizialmente in un paesino impervio, Roccamontepiano, andava a fare le visite a cavallo». La figlia Luana sfoglia con noi l’album della memoria. Giovanni è un camice bianco appassionato e autorevole ma di poche parole, benvoluto dai pazienti. Al principio degli anni Settanta viene nominato assessore alla Sanità del comune di Pescara, in quota socialdemocratica, «trascinato per amicizia».

 

«Andava a visitare i marinai di transito sulle navi mercantili. Un giorno si accorse che il fiume era infestato da piombo, acidi, varie schifezze. Assumeva tinte assurde. Vi si immettevano polveri strane, che si spargevano ovunque», aggiunge la figlia. La maggiore industria nei paraggi è la Montedison, e quegli scarichi perniciosi sono suoi. Prende di petto il suo mandato, comincia a spedire montagne di lettere di protesta ai piani elevati del colosso industriale. È nel giusto ed è convinto, perciò, di ottenere risultati. «A tavola riferiva tutto. Le sue speranze, le sue inquietudini. Mia madre gli sibilava: “Sta’ attento, occorre essere prudenti”. Erano gli anni della strategia della tensione. Lui replicava: “E cosa possono farmi?”. E infatti non gli fecero nulla, fisicamente». A livello morale andò molto diversamente. Il medico-assessore incalza, rompe le scatole. Scorriamo qualche giornale locale del tempo.

Eugenio Cefis

Il 1° ottobre del 1971 Contratti dichiara al Messaggero Abruzzo: «L’amministrazione comunale non intende passare sopra lo scarico di rasorite che avviene lungo le banchine sud del porto di Pescara, senza che venga messo in funzione un adeguato impianto di captazione della polvere inerte. Sono un medico, oltre che un assessore all’igiene, e conosco perfettamente i danni che vengono prodotti da questa polvere che invade, oltre al mercato ortofrutticolo, quello del pesce». A stretto giro lancia alla Montedison un ultimatum per la realizzazione della struttura: non più di sei mesi. Il 29 dicembre, nessuna indulgenza natalizia: «Ci risulta che la Montedison continua a sotterrare nottetempo cassoni di residui della lavorazione di cloro-metano, per i quali nessun tecnico degli organi competenti si è premurato di prendere campioni e analizzarli».

 

26 gennaio 1972, affaire “pesci al mercurio”: «Ricordo che nel fiume vengono scaricate acque contenenti soda caustica, cloro e mercurio», che lui rintraccia finanche sui capelli dei pescatori.

 

Il 31 marzo rincara la dose: «Ogni settimana sotterrate dieci tonnellate di cloro-metano, inquinando la falda freatica. E poi ci sono gli scarichi nel fiume. Sono sei mesi che vado ripetendo questi fatti. La posta in gioco è troppo alta». È «in pericolo la vita di un fiume», e quella degli abitanti di una regione bellissima ma eldorado (non soltanto passivo) di clientele e razzie.

 

Il suo risveglio dalla politica ideale è traumatico. Il sindaco democristiano di allora lo rimuove, tutt’a un tratto, dall’incarico. La decisione di allontanarlo «giunse da Roma, dalla sede centrale del suo partito, il Psdi. Mio padre fu costretto alle dimissioni. Si arrabbiò, si incupì, ne soffrì tantissimo. Ci s’era buttato anima e corpo in questa faccenda. Che fine fecero i suoi amici della politica? Sparirono a grappolo. Vaporizzati, come in “1984” di Orwell».

 

Osserva Augusto De Sanctis: «Contratti aveva prefigurato la catastrofe che sarebbe esplosa molti anni più tardi, l’inquinamento cancerogeno delle falde e dell’acqua potabile bevuta da centinaia di migliaia di persone. L’establishment si riorganizzò e lo mise a tacere, perché i costi del corretto smaltimento non dovevano appesantire i bilanci e i profitti dell’azienda». Nel 1979 Contratti ha un ictus. Si cura, ma non sarà mai più lo stesso. Muore nel 1988. Quattro anni dopo torna una prima volta a galla lo scandalo ambientale di Bussi, «con un paio di audit interni alla Montedison», dice il procuratore Bellelli. Si dicono: «L’inquinamento non esce, non se ne deve parlare. Non spaventare chi non sa». Per l’avvio delle indagini ufficiali bisogna però attendere il 2006-2007, su impulso del compianto generale dei carabinieri forestali Guido Conti. Un altro con la schiena dritta. E a che punto è, oggi, la bonifica della più mastodontica discarica europea di rifiuti contaminanti?

 

Tra intoppi burocratici e ricorsi dell’Edison, l’erede della Montedison, alcuni progetti sono stati incanalati su circa 220 ettari di sito perimetrato. Ma si galleggia, di fatto, ancora in alto mare. A cinquant’anni dalle denunce di Contratti le scorie fetide restano sottoterra. A proposito, di recente gli è stata intitolata una strada. È successo a Spoltore, nell’hinterland pescarese, grazie all’iniziativa del consigliere comunale Marina Febo. E non una via qualsiasi, ma quella che abbraccia simbolicamente il Comune. «Non vedo più amministratori capaci di prendere una posizione così netta, non ambigua, dinanzi a un problema», evidenzia Giuseppe Bellelli. «Papà aveva uno spirito socialista, si indignava per le ingiustizie», aggiunge Luana Contratti.

 

Il 18 maggio del 1972 suo padre Giovanni, servitore dello Stato, protocollò la sua ultima missiva indirizzata alla Montedison. Come di consueto la scrisse da casa sua, al calar delle tenebre, al riparo da orecchie e occhi indiscreti. Un testo trasparente e dirompente nel suo raro senso delle istituzioni. Risoluto, senza un briciolo di paura o soggezione indotta, questo piccolo grande assessore di provincia sciorinava una serie di prescrizioni urgenti al moloch di Eugenio Cefis. Fu il canto del cigno della sua strenua lotta. Della sua sfida immane. La sua lettera si concludeva così: «Questa è la nostra posizione». Prima del Pasolini di “Petrolio” e del Corsera di inizio 1975 («Io darei tutta la Montedison per una lucciola»). Contratti invece immolò tutto sé stesso sull’altare della battaglia contro la prepotenza del potere. In quel caso, incarnata dalla Montedison. Ma la lucciola dell’impegno civile e della sensibilità ecologica gli è sopravvissuta. E brillerà per sempre.

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