Attenzione all’edilizia scolastica, una riforma profonda del sistema di valutazione dei ragazzi. E più poteri a docenti e dirigenti degli istituti. La proposta del presidente dell’associazione che riunisce i presidi italiani dopo la lettera dello studente pubblicata dall’Espresso

«Il taglio della spesa pubblica per la scuola è uno scandalo: cari politici, servono investimenti»

Caro direttore, 

ho apprezzato la lettera dello studente del liceo Tasso. Mi sono piaciuti il coinvolgimento e la passione nel parlare di scuola e trovo che alcune delle tematiche toccate meritino un approfondimento.

 

Edilizia scolastica. Da sempre l’Associazione che guido ha messo al centro delle proprie istanze, e delle sollecitazioni al decisore politico, questo problema. La maggior parte degli edifici è obsoleta, non più adeguata non solo in termini di sicurezza ma anche dal punto di vista tecnologico e didattico. Dall’inizio della pandemia tendiamo ad associare la gestione della sicurezza a scuola alle mascherine e al distanziamento. In realtà i vecchi problemi di sicurezza permangono come dimostrano i piccoli o grandi crolli che coinvolgono le scuole italiane.

 

La valutazione di alunni e studenti. Quello che noi auspichiamo è un cambiamento globale, direi quasi epocale. La direzione verso la quale, a mio parere, bisogna andare è di totale mutamento di prospettiva. La scuola seria non è la scuola che brandisce come un’arma (una clava?) il voto insufficiente e la minaccia della bocciatura e che da questi trae forza e autorità. La scuola come la vogliamo noi è un luogo aperto, capace di stimolare gli studenti e di motivarli ad apprendere. La valutazione deve avere carattere formativo non essere un giudizio definitivo.

Istruzione
«Cari professori, così non va. Ma una scuola migliore possiamo costruirla insieme»
9/5/2022

Vogliamo una scuola che faccia dell’innovazione la propria essenza, che abbia come obiettivo lo sviluppo degli apprendimenti e l’acquisizione delle competenze utili. Una scuola che sia realmente collegata con il mondo dell’università e del lavoro.

 

Nei giorni scorsi ha sollevato polemiche la proposta di Giorgia Meloni di eliminare le bocciature sostituendole con una certificazione delle competenze acquisite da ciascun studente. Ritengo che si tratti di una proposta interessante, ovviamente da non confondere con il 6 politico, la cui applicabilità deve essere studiata e pianificata in maniera approfondita. Non dimentichiamo che questo già succede in altri Paesi europei.

 

E torniamo lì, alla scommessa della scuola che coinvolge e non punisce o impaurisce, che motiva gli studenti, non li fa scappare ma li convince che imparare è bello e aiuta ad aprirsi al mondo e a progettare una vita migliore. Non possiamo nasconderci che l’elevato tasso di dispersione e la povertà educativa sono alcuni dei più gravi problemi che affliggono la nostra scuola e la nostra società. L’abbandono scolastico, specie in alcune zone del nostro Paese, è strettamente collegato a gravi piaghe sociali: disoccupazione, criminalità organizzata, tossicodipendenza, emarginazione, impossibilità di esprimere sé stessi e, in ultima analisi, anche minor capacità di produrre reddito. E sappiamo bene come il Pil di una nazione sia strettamente correlato al livello medio di istruzione della popolazione.

A mio parere, tre sono i fattori essenziali da cui partire per avviare un cambiamento: attività di aggiornamento professionale massivo, capillare e continuo di tutti i docenti; attribuzione ai dirigenti scolastici di effettivi poteri di gestione della scuola per metterli in condizione di incidere concretamente sulla qualità dell’offerta formativa di cui sono garanti e che deve essere adeguata al territorio nel quale si trovano a operare; attribuzione alla scuola di poteri assunzionali perché solo i dirigenti e i docenti, che sono in prima linea, possono valutare le competenze che un insegnante deve possedere per contribuire efficacemente alla crescita di alunni e studenti.

 

Vorrei concludere con quella che in realtà avrebbe dovuto essere la premessa: la classe politica dovrebbe credere veramente nella scuola e investire in essa. Invece, la recente decisione, di ridurre dal 4 al 3,5 per cento del Pil la spesa dell’istruzione è una scandalosa scelta che tradisce le innumerevoli e retoriche promesse degli ultimi anni. La scuola, grazie all’impegno di dirigenti scolastici, dei docenti e di tutto il personale, ha retto all’urto della pandemia assicurando un servizio fondamentale per le famiglie e riuscendo così a mantenere attivi tutti gli altri settori produttivi. E in tanti hanno parlato della «scuola al centro del Paese»: lo dico con dispiacere, per far sì che questo accada servono ben altre percentuali.

 

Antonello Giannelli è presidente dell’Anp (Associazione nazionale dirigenti e alte professionalità della scuola) 

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