Embargo petrolio, la grana della Lukoil di Siracusa divide il governo: Giorgetti snobba il tavolo d’emergenza

Tensione al Mise dopo l’annuncio dello stop al petrolio di Putin da parte dell’Ue. La sottosegretaria Todde lasciata da sola ad affrontate l’emergenza. E anche Draghi tace sul rischio stop del più grande polo di raffinazione del Paese

La decisione era nell’aria da tempo ed è arrivata adesso dalla commissione Ue: via libera all’embargo totale entro l’anno all’importazione di petrolio russo nei paesi europei. Il Presidente del Consiglio Mario Draghi si dice «soddisfatto per questa decisione», ma non una parola è stata detta su una “piccola” conseguenza per l’Italia. Come racconta una inchiesta dell’Espresso, in caso di stop all’importazione del petrolio russo rischia di fermarsi il più grande polo petrolchimico del Paese, quello di Siracusa che ha come perno la raffineria della Lukoil, il colosso energetico russo.

Da quando è iniziata la guerra la Lukoil non ha più anticipazione bancarie e quindi non acquista più petrolio da paesi terzi ma solo dalla madrepatria: con questa mossa Putin di fatto ha messo le mani sull’intero impianto. Oggi questo impianto lavora solo petrolio russo. Ed è un impianto vitale per tutto il polo, che ha una seconda raffineria in mano all’azienda di Stato algerina, une centrale della Erg e un impianto chimico dell’Eni. Tutti questi impianti, come racconta l’Espresso, sono collegati tra loro. Tradotto: se si ferma la Lukoil si ferma tutto il polo che oggi dà lavoro a 8 mila persone e raffina petrolio per il 26 per cento della capacità italiana.

Inchiesta
Il destino della Lukoil di Siracusa, la più grande raffineria italiana, è nelle mani di Vladimir Putin
30/5/2022

L’annuncio dell’embargo al petrolio russo ha fatto scattare subito il panico in tutto il polo, che da solo vale quasi l’un per cento del Pil della Sicilia: «Rischiamo una catastrofe sociale ed economica», dicono i sindacati, che hanno indetto subito lo stato di agitazione.

Bordate al governo sono arrivate poi dall’ex ministra Stefania Prestigiacomo: «Assurdo il silenzio del governo Draghi»; e anche da parte del governatore Nello Musumeci che si è detto «molto preoccupato» per il silenzio di Roma. Ma se Draghi non dice nulla, il ministro al ramo, Giancarlo Giorgetti del Mise, non solo da settimane non risponde alle richieste di apertura di un tavolo di emergenza arrivate dalla Regione Sicilia, ma ha snobbato anche l’incontro convocato d’urgenza dalla sottosegretaria Alessandra Todde oggi pomeriggio. Nessuno dello staff di Giorgetti si è collegato per dire qualcosa ad un incontro dai toni drammatici. La Todde ha la delega alle crisi industriali, ma qui non si tratta di una crisi, ma di ben altro.

E c’è di più: se il primo ministro ungherese Orban esulta perché lui continuerà a riceve il petrolio via terra, l’Italia ha detto si alle sanzioni non prevedendo nulla per il suo più grande polo di raffinazione del greggio? A questa domanda la Todde non può dare una risposta, dovrebbe darla Giorgetti a nome del presidente del Consiglio Draghi. Invece silenzio. Qualcuno però sospetta che Giorgetti si stia disinteressando volutamente della questione, anche per le tensioni interne con il suo leader Matteo Salvini che stava andando in Russia da Putin non si capisce bene a fare che cosa. Di certo c’è che tra due domeniche in Sicilia si vota per le amministrative e la Lega di Salvini è in campo. Ecco, la Lega di Salvini, non quella del Nord che interessa a Giorgetti. Un flop al Sud sarebbe un ennesimo fallimento della politica salviniano.

Fantapolitica? Forse, di sicuro Giorgetti e i suoi al momento latitano. In ballo in fondo ci sono solo il futuro di 8 mila famiglie nella terra più povera d’Italia e lo stop al 26 per cento della raffinazione di greggio in Italia.

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