Il caso

Università, docente denuncia bandi su misura e restituisce l'abilitazione: «Non ci sono le condizioni per fare ricerca»

di Antonio Fraschilla   19 luglio 2022

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Giuseppe Leone, 53 anni e docente a tempo di Letteratura inglese, scrive a Cristina Messa dopo 15 anni trascorsi aspettando l’indizione di una selezione stabile nell’ateneo di Palermo. Due audio da lui registrati confermerebbero scelte fatte prima dei concorsi

Alla fine con una lettera alla ministra dell’Università Cristina Messa ha appena restituito formalmente l’abilitazione nazionale a professore di II fascia che aveva conseguito nel 2018. «Non ci sono le condizioni per fare ricerca», dice Giuseppe Leone, che alla lettera ha allegato anche due audio registrati con suoi superiori dell’Università di Palermo dai quali emergerebbe come due concorsi del suo settore disciplinare, Letteratura inglese, sarebbero stati banditi individuando precedentemente i vincitori. Tutti concorsi per docenti in fascia più alta e non per un posto da ricercatore: posto che non si bandisce a Palermo da 12 anni.

Leone ha lavorato come ricercatore non strutturato per 15 anni e quando il suo docente ordinario è andato in pensione l’Università ha prima messo a bando un posto direttamente per ordinario poi ha messo a bando un posto per associato in Letteratura inglese. Ascoltando gli audio emergerebbe che entrambi i concorsi siano stati banditi su misura.

Leone ha presentato anche una prima denuncia, poi archiviata dal Gip con la seguente motivazione e con i verbali dei concorsi mai recuperati dalla polizia giudiziaria: «Rilevato invero che, seppur dalle conversazioni prodotte dal denunciante può ben ritenersi che la scelta di bandire un posto di ordinario anziché di ricercatore sia stata effettuata con la previsione e la finalità di favorire il (nome del vincitore, omissis ndr) tuttavia tale opzione non è regolata da alcuna norma di legge». In soldoni la scelta sulle figure da mettere a bando non è regolata ed è discrezionale. Resta l’ombra sulla scelta fatta a priori però.

Leone ha deciso di riconsegnare l’abilitazione nazionale in Letteratura inglese dopo dottorato, tesi pubblicata, cinque volumi in materia  anche questi pubblicati e diversi articoli su riviste di fascia A e partecipazione a concorsi nazionali e internazionali, dopo anni di lavoro anche come “docente” di quella materia e come commissario di esami e persino come correlatore e relatore di tesi di laurea. «Ho lavorato per l’ateneo di Palermo dal 2005 e d‘improvviso, proprio in concomitanza con l’indizione di concorsi pubblici nel settore di riferimento, la mia prestazione è diventata superflua. Sono stanco, mi fermo».

Gli audio sembrano fare emergere le giustificazioni del suo superiore che gli dice chiaramente che le chiamate sono state fatte ad personam. «Io sono stato obbligato a fare questo», dice a Leone, che così non ha avuto altra scelta e a 53 anni dopo anni di ricerca e di lavoro nell’ateneo palermitano, ha lasciato la ricerca. Una presa di posizione forte dettata dalla consapevolezza di essere in presenza di un sistema di reclutamento da rivedere, governato da baronie. Una storia emblematica di quello che avviene in molte Università italiane, come dimostrano le cronache non solo giudiziarie.