Da vittima di cyberbullismo a consulente sui social in nome della fat acceptance. «Ho smesso di definirmi curvy o morbida ma parlo di me come di una fiera ragazza grassa, perché è quello che sono»

Sei grassa è il peggior insulto che una donna possa ricevere. O almeno, così ci insegnano. Questa è la storia di come si sradica una convinzione, ed è una storia corale, composta da molte voci.

 

«Io ho smesso di definirmi curvy o morbida ma parlo di me come di una fiera ragazza grassa, perché è quello che sono», spiega Dalila Bagnuli, 23 anni, attivista femminista che si occupa di body positivity e sui social combatte la grassofobia.

 

L’idea è liberare una semplice caratteristica fisica dall’accezione negativa. Lei stessa, per raggiungere questa consapevolezza, ha dovuto lavorare in profondità.

 

Ma ora non vacilla nemmeno mentre racconta come si annienta un bullo e come, con la diffusione dei social, sono cambiate le modalità del body shaming. Su Internet subiamo un vero e proprio bombardamento e ciclicamente ci troviamo di fronte a mode sempre nuove, sfide pericolose, trovate sadiche, come quella che alle porte dell’estate aveva iniziato a imperversare su TikTok, la Boiler Summer Cup. Come molte altre challenge social “gemelle”, è un mix di cyberbullismo, body shaming, grassofobia e «convinzione di rimanere impuniti». I meccanismi sono spesso i medesimi. Nel caso della Boiler Summer Cup venivano prese di mira le ragazze in sovrappeso, filmandole a loro insaputa e postando i video dell’avvenuta “conquista” sui social per collezionare punti in base al peso ipotizzato della vittima.

 

A lanciare l’allarme di ciò che si può subire sui social, in questo e in molti altri casi, sono spesso le attiviste.

 

Dalila Bagnuli si batte con la lucidità e la fierezza di chi ormai ha la scorza dura ma il passato, come a volte accade in questi casi, è sempre lì in agguato. Cruciale nella sua esperienza da attivista è stato proprio il bullismo subito dalla prima alla terza superiore da parte dei compagni di classe. «Era il 2015, ero una ragazzina. Avevo paura di andare in spiaggia e mostrarmi in costume perché temevo di incontrare qualche compagno che mi riprendesse. Mi venivano fatti video e foto di nascosto e venivano trasformati in meme, con lo scopo di deridermi sull’aspetto fisico. I contenuti venivano diffusi sui canali Telegram a cui non ero iscritta. I video poi giravano e si diffondevano non solo nella mia classe ma in tutta la scuola. Venivo presa di mira perché ribadivo la mia opinione, non mi abbassavo di fronte ai soprusi e perché ero una ragazza grassa. Sono arrivati a organizzare anche risse contro di me».

 

Anche a sette anni di distanza, le dinamiche verso i giovani si ripropongono. Foto scattate di nascosto, immagini (spesso di minori) diffuse senza consenso, cyberbullismo, post che diventano virali sui social, body shaming.

 

Dinamiche che portano anche a una visione distorta di sé e a non sentirsi mai a posto con il proprio corpo. «Questo tipo di bullismo mi ha reso tanto insicura e mi sono sempre vista grassa anche quando non lo ero. Ogni volta che mi riferisco a quel periodo, dico che ero una ragazza grassa ma così non era. Quando poi sono ingrassata davvero, mi sono resa conto della dimensione reale del mio corpo e del fatto che forse sono diventata così anche per quello che ho subito. Il dolore che ho provato in adolescenza mi ha causato continui attacchi di panico», prosegue Bagnuli.

 

Un pezzetto alla volta, è riuscita a trasformare la rabbia in carburante. Con un obiettivo: provare a cambiare le cose. Oggi lo fa attraverso la body positivity, movimento che promuove l’accettazione di tutti i corpi a prescindere da peso, altezza, genere, colore della pelle o “imperfezioni” in contrasto agli standard di bellezza attuali, considerati un costrutto sociale da abbandonare. La body positivity promuove la “fat acceptance” e combatte la grassofobia, atteggiamento discriminatorio rivolto alle persone in sovrappeso.

 

«Voglio aiutare, essere un punto di riferimento per ragazze e ragazzi che hanno sofferto come me, persone che si sentono sole», dichiara Bagnuli.

 

A lei si rivolgono parecchie persone, spesso giovanissime, che cercano un supporto, un consiglio, una possibilità di sfogo. Sono infatti spesso i più giovani a essere i protagonisti di queste vicende. Ma non solo. A subire body shaming sono anche donne adulte. Può succedere dopo aver affrontato un cambiamento del fisico, come in gravidanza. Non di rado capita addirittura alle celebrità, da Vanessa Incontrada a Victoria Beckham, che di recente ha parlato del body shaming subito negli anni ’90, quando fu spinta a salire su una bilancia durante una trasmissione televisiva, in modo da essere sottoposta alla verifica pubblica del suo peso dopo il parto. E anche i colpevoli, non sono solo i ragazzini. Nel 20 per cento dei casi, secondo una ricerca del 2021 condotta da Skuola.net, sono gli adulti a prendere di mira i ragazzi, discriminandoli o ridicolizzandoli per determinate caratteristiche fisiche. Tutto questo può portare a conseguenze anche gravissime per le vittime, come ansia, attacchi di panico, disturbi alimentari, depressione.

 

Non è solo la grassofobia il fulcro del body shaming, qualunque caratteristica fisica può diventare pretestuosa ed essere presa di mira: l’altezza, la bassezza, la peluria, l’acne, la psoriasi o la magrezza. L’altra faccia della grassofobia è infatti lo skinny shaming, la discriminazione nei confronti di persone considerate troppo magre. A volte viene reputato meno grave lasciarsi andare a commenti discriminatori verso chi ha un fisico asciutto. Immediata l’associazione a ipotetici problemi di salute o a disturbi alimentari. Allo stesso modo, il leitmotiv ricorrente verso i corpi in sovrappeso è una non richiesta preoccupazione per presunti problemi di salute. «Devi dimagrire (o ingrassare) perché se no la tua salute ne risentirà». In realtà, quello che viene posto come una sorta di attenzione verso l’interlocutore è semplicemente un giudizio, una critica o addirittura una forma di bullismo. «Se una persona fuma ad esempio non viene bullizzata o derisa con il pretesto della salute. Viene considerata una questione sua e basta. La stessa cosa dovrebbe valere per il peso corporeo», dice Bagnuli. Ciò che attiviste come Bagnuli tendono a rifuggire è l’utilizzo di un lessico medico per descrivere i corpi; si eliminano termini come “obesità” e “anoressia”.

 

Spesso un corpo grasso viene automaticamente associato a una persona che non ha cura di sé: altro mito da sfatare. Tra i tanti, c’è anche quello che riguarda gli uomini; si ritiene solitamente che siano solo le donne a essere colpite dal body shaming. In buona parte dei casi tuttavia, sono gli uomini a subirlo anche se sono meno propensi a raccontare e condividere le prese in giro. Tra le caratteristiche che si ritiene un uomo debba necessariamente possedere ci sono l’altezza e una muscolatura importante, per poter proteggere e difendere il suo fragile angelo del focolare (la donna), altra convinzione che deriva da una mascolinità tossica. E di conseguenza i ragazzi con un corpo minuto vengono spesso ridicolizzati.

 

Nei film, nelle serie tv, nei romanzi le rappresentazioni delle persone grasse sono spesso assenti oppure relegate a qualche siparietto comico. Talvolta vengono ridicolizzate, o associate a personalità negative o goffe. Basti pensare ai flashback sulla “Fat-Monica” in Friends. Anche Thor, il più muscoloso e “prestante” degli Avengers, in un momento di sconforto della serie cinematografica perde i suoi tratti estetici distintivi perché inizia a prendere peso e a trascurare il suo aspetto e viene così messo in ridicolo. Succedeva anche nei cartoni animati, dalla Regina di Cuori di Alice nel Paese delle meraviglie a Ursula della Sirenetta, i villains grassi per eccellenza.

 

Fa anche riflettere il fatto che nei film, le scene amorose coinvolgano nella maggior parte dei casi persone con corpi stereotipati, tonici e muscolosi e si tenda a escludere quelli che non rientrano in questi canoni.

 

Del resto, se i canoni estetici variano nel tempo, è impossibile definire a priori che cosa consideriamo un difetto e cosa un punto di forza. La grassofobia è una tendenza più recente, mentre altri tipi di discriminazioni nascevano da convinzioni passate che negli anni si sono evolute. Convinzioni, se non addirittura superstizioni popolari, come nei confronti delle persone con i capelli rossi o gli stereotipi verso le bionde.

 

A dare largo spazio alla body positivity negli ultimi tempi sono anche le aziende e le case di moda che hanno portato in passerella persone con corpi considerati non conformi, mettendo in mostra apparenti imperfezioni. Si mira all’inclusione, anche se spesso questo può diventare una mera strategia di marketing: nella realtà capita non di rado che chi si rivolge agli stessi negozi in cerca di taglie forti, finisce per rimanere deluso.

 

Altro approccio per certi versi affine alla body positivity è la body neutrality, che ridimensiona il ruolo del corpo e il suo aspetto esteriore, promuovendo un atteggiamento di neutralità verso di esso.

 

Gran parte del lavoro sul tema del body shaming e del bullismo può essere svolto nelle scuole, osserva Bagnuli: «È da lì che si dovrebbe partire. Certe cose non vanno minimizzate, non sono ragazzate. La scuola dev’essere vicina alle vittime di bullismo, non le deve far sentir sole o colpevolizzare. Né deve giustificare dicendo che questo ci rende più forti. Il bullismo non rende più forti, rende più sofferenti». E la differenza è netta.