Ambiente
Roma ha grandi progetti per uscire dall’emergenza rifiuti: peccato siano sul terreno di altre regioni
La capitale vuole rendersi autonoma ma intanto Acea punta agli scarti del Sud e si espande in Centro-Italia. E dalle Marche all’Abruzzo crescono le proteste
I nodi di Roma stringono i vicini fino a soffocarli. La capitale è l’unica grande città europea in cui un’azienda controllata dal Comune (Ama) svolge la raccolta dei rifiuti urbani ma non possiede impianti di recupero e smaltimento. I rifiuti urbani che non possono essere smaltiti in discarica vengono trasformati in rifiuti speciali con trattamento biologico meccanico e sono inviati ad impianti fuori regione. Con i recenti incendi di Malagrotta e Spinetoli, nelle Marche, il problema della scarsa qualità delle differenziate, unito ai trasporti costosi hanno riproposto la drammaticità del problema.
Ne pagano le conseguenze le popolazioni confinanti, dato che l’altra società romana privata con partecipazione pubblica, Acea, sta potenziando le strutture dell’Italia centrale per acquisire più utili e diminuire i costi dei trasferimenti che solo nel 2020, per lo smaltimento di 900mila tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati, hanno pesato sulle spalle dei romani per 130 milioni di euro. Roma esporterà nelle regioni confinanti una ulteriore quantità di rifiuti da trattare, mentre già adesso gli scarti vengono assorbiti dal termovalorizzatore di San Vittore, con una capacità di 400mila tonnellate l’anno.
Il piano annunciato dal sindaco Gualtieri potrebbe costituire una soluzione ai bisogni dei romani. Resta il tema del potenziamento degli impianti anticipato dal piano industriale dell’Acea insieme all’implicita strategia di espansione. La società partecipata dal Comune capitolino intende investire nei prossimi tre anni 445 milioni di euro nelle strutture nell’Italia centrale, acquisendo partecipazioni nelle società miste pubbliche private. Un onere eccessivo rispetto alle necessità degli abitanti di quei luoghi e che si spiega con la necessità di sopperire alle esigenze della capitale. Ma dopo?
«Probabilmente, quando Roma sarà autosufficiente, tutto quello che è stato migliorato nell’Italia centrale servirà ad accogliere gli scarti delle popolazioni del Sud», osserva Alessandro Marangoni, direttore scientifico Was – Waste strategy e Ceo di Althesys. Il disegno che si sta realizzando non piace alle comunità locali coinvolte anche dall’effetto legato allo stop di Malagrotta. Nelle Marche, Sara Moreschini, sindaco di Appignano del Tronto, annuncia battaglie amministrative che puntano alla costruzione di impianti necessari solo ai bisogni dei cittadini, mentre il segretario regionale Marche della Federazione italiana trasporti della Cisl, Claudio Giuliani, spiega che «è necessario un unico regolamento regionale per tenere a bada i comportamenti troppo espansivi di Acea».
Anche in Abruzzo ci si prepara a dare battaglia e non è escluso che Toscana ed Umbria seguano a ruota. Il quadro di Utilitalia (Federazione che riunisce le aziende speciali dei servizi pubblici dell’acqua dell’ambiente e dell’energia elettrica) è eloquente: in Italia nel 2019 sono stati prodotte 30,1 milioni di tonnellate di rifiuti urbani di cui 2,8 milioni sono trattati in regioni diverse da quelle di produzione.
Il flusso viaggia principalmente dal centro-sud verso il nord, il centro è costretto ad esportare il 17 per cento della produzione dei propri rifiuti. In definitiva, nessuno è contrario alla costruzione di impianti ma prevale la sindrome nimby, (not in my back yard), non nel mio cortile. Sempre secondo i dati di Utilitalia, nel 2019 per trasportare i 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti sono stati necessari 108 mila viaggi di camion, pari a 62 milioni di chilometri percorsi con 75 milioni in più da versare sulla Tari da parte dei cittadini interessati.
A Roma, intanto, come afferma l’assessore all’Ambiente Sabrina Alfonzi, l’attuale giunta cercherà di realizzare l’autosufficienza che da sempre è mancata: «Stiamo conferendo ad Ama la delega a partecipare al bando del Pnrr che finanzia gli impianti per il trattamento della frazione organica. E proviamo a far lavorare in sinergia Ama ed Acea. Provvederemo alla realizzazione di due biodigestori da 100mila tonnellate ciascuno, due impianti per la differenziazione e potenzieremo il termovalorizzatore di San Vittore di ulteriori 200mila tonnellate rispetto alle 400mila attuali».
Alessandro Marangoni, da direttore scientifico di Athesys, ha realizzato uno studio per L’Espresso nel quale indica, dati alla mano, quale sia la strada per l’autonomia di Roma: «Occorrono una nuova capacità di gestione della frazione organica fra le 200mila e le 250mila tonnellate l’anno; impiantistica aggiuntiva per la selezione dei rifiuti differenziati per circa 500mila tonnellate l’anno e un termovalorizzatore per 350, 400mila tonnellate annue per i residui non riciclabili».
Confrontando questa analisi con le intenzioni della giunta capitolina il nodo principale da sciogliere è il termovalorizzatore e il suo funzionamento adeguato alle esigenze tecniche richieste. Ora, insieme agli scarti di Roma, il termovalorizzatore di San Vittore ospita anche quelli delle altre regioni centrali. Un aumento della sua capacità di 200mila tonnellate annue non sarebbe sufficiente. Si dovrebbe limitare alle sole esigenze della capitale e le altre regioni dovrebbero fornirsi di uno strumento del genere in un'altra area. La strategia romana non potrà non avere conseguenze sulle mosse dei vicini destinate a frenare il cammino di Acea all’interno dei propri confini. E non è l’unica questione aperta, osserva Marangoni: «Roma ha ancora una raccolta differenziata inferiore alla media nazionale, il 47 per cento contro il 61 per cento del resto della penisola. I costi di gestione sono elevatissimi e quelli di smaltimento e trasporto non hanno eguali, oltre 200 euro per tonnellata».
L’Acea si sta muovendo con ingenti investimenti: a Terni e ad Ancona ha acquisito il 60 per cento di Ferrocart e Cavallari per attività di selezione e recupero di carta, ferro, legname e metalli. Sempre ad Ancona ha acquistato il 70 per cento di Simam, per la quale, a partire dal 2023, ha un’opzione del 100 per cento. Qui si parla di attività legate alla progettazione, realizzazione e gestione di impianti per il trattamento delle acque e dei rifiuti. A Teramo, l’Acea ha acquisito il 70 per cento della Serplast per il riciclo della plastica. A Verona, ha integrato il 60 per cento della Meg, sempre per il riciclo della plastica. Nelle Marche, a San Benedetto del Tronto è entrata nella Picena Ambiente mentre in Abruzzo ha acquistato il 65 per cento della Deco, diventando concessionaria di Ecolan. In Toscana, con altri 12 soggetti privati e pubblici, ha siglato l’accordo Aires, Ambiente innovazione ricerca energia e sviluppo.
È una politica di espansione senza precedenti che consentirà al Comune di Roma d’investire gli utili per migliorare i servizi della capitale, sempre che i vicini glielo permettano.