Contratti a termine anche dopo quindici anni. E mille impegni legati ad amministrazione e pratiche che nulla hanno a che fare con il lavoro in laboratorio. «Qui ci vogliono due mesi per comprare uno strumento che all’estero ricevono il giorno dopo»

«La burocrazia e la precarietà uccidono la nostra ricerca»

Barbara Tomasello, 44 anni, ricercatrice al dipartimento di Scienze del Farmaco e della Salute ha scommesso su Catania. Qui è rimasta per studiare nuove molecole di sintesi e soprattutto di origine naturale contro malattie aggressive, come il carcinoma o altre malattie croniche, e comprenderne anche attraverso le sue ricerche i meccanismi molecolari. Con dedizione, da più di quindici anni lavora e studia nei laboratori dell'Università cittadina, prima come studente, poi come dottoranda e assegnista e ora come ricercatrice, a termine. «Sembra incredibile, ma questo sistema ancora non mi garantisce, e non lo fa a molti colleghi, una stabilizzazione».

Il commento
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Chi sceglie questo mestiere in teoria dovrebbe dedicare la maggior parte del tempo in laboratorio a fare ricerca per pubblicare e mantenere dei buoni standard che permettono di essere competitivi su scala nazionale ed internazionale, nella realtà non è così: «I contratti di ricercatore prevedono che, oltre all'attività di ricerca, si dedichi tempo alla didattica e alla didattica integrativa ed è necessario partecipare a tutte le attività dipartimentali ed universitarie. Molto tempo se ne va anche nella ricerca di bandi per progetti e nello studio per la stesura degli stessi e la compilazione di tutta la documentazione annessa. Partecipare e vincerli è fondamentale per mantenere in vita il laboratorio. Sono pochissimi gli atenei italiani dotati di un buon ufficio bandi, che offrano un contributo nella gestione e rendicontazione dei bandi e questo significa che il ricercatore deve fare tutto da sé, mentre all'estero esiste una migliore organizzazione del lavoro: qui al ricercatore viene chiesto di mettere la propria idea, di studiare, ma anche di occuparsi della gestione e amministrazione».

Inchiesta
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Lo scontento rispetto alla piccola riforma del pre-incarico inserita nel decreto legge Pnrr2 sta proprio nella scarsa attenzione verso i ricercatori oggi in attività: «Reclutano ricercatori ma non stanziano fondi a supporto per avviare il programma di ricerca e creare il proprio gruppo di ricerca dando la possibilità di assumere borsisti e assegnisti che li coadiuvano in laboratorio; servirebbero risorse per formare il personale amministrativo dell’ufficio ricerca e quello dell'ufficio brevetti, che hanno competenze vecchie di trent'anni. Sembra incredibile, ma l'acquisto di uno strumento o materiale utile all'attività di laboratorio comporta un iter burocratico di due mesi, mentre nei centri di ricerca oltre confine il prodotto ordinato arriva il giorno successivo: questo significa ritardare notevolmente il percorso di ricerca e aumentare il gap tra noi ed altri atenei, siamo sempre a rincorrere. Spiace che si stia perdendo l'occasione per modernizzare i laboratori, per renderli competitivi e al passo con i tempi».

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