Intervista
Walter Scheidel: «Il mondo post Covid-19 è peggiorato: la pandemia è stata un catalizzatore delle disuguaglianze»
Ci si era illusi che l’emergenza ci avrebbe reso tutti uguali: non è stato affatto così. E la storia è piena di esempi del genere. Dialogo con lo storico che spiega come il mondo reagisce alle catastrofi
Per alcuni il mondo avrebbe dovuto essere migliore. Per altri poteva andare molto peggio di così. Ma, per capire come il Covid-19 ha cambiato le società non basta guardare all’oggi. «Se ci si limita a analizzare i singoli eventi, o i brevi periodi o i luoghi specifici, non si vedono gli schemi e le tendenze che attraversano la Storia», spiega Walter Scheidel, storico austriaco che insegna alla Stanford University, in California. Per il professore ci sono due fattori principali che nel corso del tempo sono stati in grado di ridurre in modo significativo le disuguaglianze economiche: il crollo degli Stati e delle strutture governative, perché portano al disfacimento delle élite che sono al potere facendo sì che i più facoltosi perdano una parte della loro ricchezza. E le pandemie.
Come è successo, ad esempio, con la peste nera nel Medioevo, le grandi epidemie hanno causato la morte di milioni di persone: la manodopera ha iniziato a scarseggiare, i salari sono aumentati, la domanda di terra è diminuita e si è ridotto il suo valore. Così le masse che vendevano il loro lavoro si sono trovate meno povere mentre i ricchi che controllavano il capitale hanno perso una parte del reddito. «Ma questi violenti livellamenti, questi aggiustamenti per catastrofe, non sono mai durati. Quando gli Stati sono stati ricostruiti, le élite avide sono tornate. Con lo svanire delle piaghe, la popolazione si è ripresa, i salari sono nuovamente diminuiti e il potere dei più potenti è tornato forte. Nonostante questo, però - aggiunge Scheidel - gli intervalli egualitari sono serviti da raro sollievo, perché, almeno, hanno dimostrato al mondo che la vita non doveva essere sempre com’era di solito».
Nell’epoca moderna, secondo il professore, altri due fattori hanno dimostrato di avere la capacità di livellare le disuguaglianze: le grandi guerre e le rivoluzioni trasformative. Come quelle avvenute nell’Unione Sovietica o in Cina dove i regimi, anche se con l’obiettivo di perseguire l’uguaglianza hanno generato nuove gerarchie.
«La compressione della distribuzione della ricchezza e del reddito è persistita solo finché i regimi violenti sono sopravvissuti o sono rimasti impegnati in quell’obiettivo. Nel momento in cui le restrizioni sono state allentate, la disuguaglianza materiale è salita a livelli precedentemente sconosciuti. In Occidente dove l’equalizzazione era stata meno radicale anche il suo capovolgimento è stato più tenue. Ma altrettanto persistente. Dagli anni Ottanta, grandi politiche e processi economici come la globalizzazione, la deregolamentazione, la finanziarizzazione e l’automazione hanno premiato alcuni più di altri, per usare un eufemismo. Negli Stati Uniti, questo processo è andato oltre, creando disparità economiche che non si vedevano dagli anni Venti».
Così sembra che le grandi catastrofi storiche, per quanto potenti, non siano in grado di generare cambi di rotta radicali e duraturi nelle società. Piuttosto esacerbano le tendenze che sono già in atto, agiscono come catalizzatori dei cambiamenti in corso. «Le guerre mondiali e la Grande Depressione hanno generato una mobilitazione di massa senza precedenti e shock sociali e economici. Le tasse sono aumentate vertiginosamente, il diritto di voto si è allargato, gli imperi coloniali hanno tremato e gli Stati assistenziali sono fioriti. Il capitalismo è stato temporaneamente domato, sospeso e talvolta persino abolito. Ma niente di tutto questo è venuto fuori dal nulla. Ben prima del 1914 c’erano già pensioni, tassazione progressiva, sindacati, scuole pubbliche, le suffragette e i movimenti indipendentisti».
Le crisi, quindi, sono servite per dare un enorme impulso alle iniziative già in corso, fungendo anche da acceleratori e amplificatori. A volte il cambiamento è stato percepito come talmente duro da sembrare improvviso, ad esempio il passaggio allo smartworking e alle lezioni a distanza nel 2020. Ma anche quell’apparente rottura era già radicata nel progresso tecnologico che aveva preparato il terreno.
Così il mondo post Covid-19 per Scheidel, «non è catastroficamente peggiore di quello che era, come avremmo potuto temere due anni e mezzo fa quando non sapevamo ancora che cosa aspettarci dalla pandemia, quanto sarebbe stata letale, dirompente. È peggiore ma non in modo drammatico. Le disuguaglianze erano già elevate anche prima e la pandemia è servita da catalizzatore». Lo shock economico che hanno subito i più ricchi non è durato a lungo: il benessere è tornato nel giro di pochi mesi grazie alle misure dei governi e delle banche centrali. Mentre le conseguenze per i più poveri sono state diverse sulla base delle volontà degli Stati nel sostenere gli strati più vulnerabili della popolazione.
«È aumentata anche la disuguaglianza tra Paesi. Una tendenza in atto dagli anni Ottanta che, sebbene si stesse affievolendo, è tornata per allontanare gli Stati. Complice anche l’inflazione, i redditi reali dei lavoratori sono sotto pressione e più bassi di prima. In linea di massima pare che la pandemia abbia peggiorato la situazione in diversi modi: ha reso i lavoratori meno abbienti e aggravato le condizioni dei Paesi a basso reddito.» Ma non è chiaro quanto questo trend sia destinato a durare. Anche perché, come spiega lo storico, il Covid-19 per più ragioni è differente dalle grandi catastrofi che hanno segnato la storia. «È stato terribile perché ha portato la morte di milioni di persone. Che, però, sono solo una piccola parte degli 8 miliardi che ci sono nel mondo. La maggior parte era di età avanzata, quindi già fuori dal mondo del lavoro. Dal punto di vista economico la rottura per il sistema è stata molto meno massiccia di quanto sarebbe stata in passato». Inoltre, per il professore della Stanford University, le società moderne sono molto più resilienti grazie allo sviluppo economico, ai programmi di welfare pensati per sostenere le persone in difficoltà, agli interventi delle banche centrali nel settore finanziario. Ma soprattutto grazie allo sviluppo scientifico.
«La sorprendente rapidità con cui è stato sequenziato il virus. Con cui sono stati sviluppati vaccini e i farmaci necessari ad attutire gli effetti del Covid-19. Ma anche la tecnologia che ci ha permesso di continuare a comunicare con gli altri anche se lontani, perfino durante i momenti di isolamento più duro, sono stati fattori che hanno permesso alle società di rispondere meglio all’urto. E hanno innescato una reazione a catena che ha portato gli stessi settori a vivere un imponente sviluppo».
Ma la modernizzazione non è una strada a senso unico verso una maggiore capacità di resilienza delle società. Perché, come scrive Scheidel nella lectio “Covid-19. Effetti della pandemia su diseguaglianza e ingiustizia” che terrà durante il FestivalFilosofia dal 16 al 18 settembre a Modena, Carpi e Sassuolo, «mentre sostiene l’ordine stabilito con la crescita, il benessere, la finanza e la scienza, mina anche lo status quo, rendendolo più fragile socialmente e economicamente, come risultato diretto del progresso». La fragilità ormai è in agguato ovunque. Anche le economie più avanzate sono diventate vulnerabili in modi nuovi.