Le nuove regole sul sussidio viste dal rione Sanità, a Napoli. Qui, anche quando c’è, il lavoro non basta per vivere e la misura di sostegno permette di arrotondare a intere famiglie. Fuori dalle statistiche e, spesso, a favore del sommerso

Il sazio non crede a chi ha fame. Chi è nato e cresciuto nell’agio non può capire che vuol dire vivere di espedienti e nemmeno si fida di chi lo fa: «“O sazio nun crere a o riuno” è un vecchio detto napoletano. Significa che le sensazioni che prova chi sta a digiuno non possono essere comprese da quelli che non l’hanno mai provato», spiega Marco seduto al tavolo di un pub, al centro del rione Sanità, a Napoli. Ha poco più di trent’anni, prende il Reddito di cittadinanza e vende corredi nuziali porta a porta e a rate settimanali. «Si è inventato un mestiere», dice la compagna che gli sta accanto. Stanno insieme ma non possono vivere nella stessa casa perché non hanno i soldi per comprarla e neanche per pagare un affitto. Così abitano con i rispettivi genitori mentre crescono cinque figli, tra i vicoli stretti e semi-bui per l’illuminazione giallastra che trasforma il quartiere dove è nato Totò in una scena di teatro a cielo aperto, in cui pubblico e attori lavorano insieme.

«Ragazzi io me ne vado. C’è il cartello con il mio numero, se dovete uscire con la macchina chiamatemi». Arriva Gaetano nella sala al secondo piano del pub, trafelato per aver fatto le scale, sempre di fretta per tutti i compiti che deve svolgere durante la giornata, tra questi c’è il badare ai suoi tre figli di nove, dieci e tredici anni, da padre single. Magro, in t-shirt anche se manca un giorno alla vigilia di Natale. Al centro del rione Sanità c’è la piazza con la statua di Genny Cesarano, diciassettenne ucciso per sbaglio durante una faida di camorra nel 2015. Attorno, tutti i bambini che giocano sui motorini, in due, in tre, li accendono per andare a farsi un giro e tornano per chiacchierare. Accanto, c’è la chiesa di San Vincenzo, davanti un’area protetta dalla catena dove parcheggiano le auto: è il parking Gaetano, a disposizione 24 ore su 24, se lo chiami.

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«Non chiedo soldi, prendo a piacere quello che le persone si sentono di dare», spiega Gaetano mentre spezza gli spaghetti da mettere a tavola per la cena. I figli guardano la televisione nell’unica vera stanza dell’appartamento, che è per pranzo, per dormire, per mangiare, per giocare. E accoglie l’albero di Natale, tagliato a metà con l’obiettivo di stare appeso, come un quadro, alla parete. Sotto, ci sono una miriade di regali. Diego, il figlio più piccolo, si aspetta un cellulare e la Nintendo Switch. Gaetano, che per la casa di al massimo 20 metri quadri, a pochi passi da piazza Sanità, paga 300 euro al mese, vive anche grazie al Reddito di cittadinanza, 980 euro a cui aggiunge l’assegno unico familiare e quello che ricava dall’occupazione di parcheggiatore: «Alla fine guadagno più io che mio fratello che sta alla Fiat», dice sorridendo. «Ma vorrei lavorare legalmente. Ho 50 anni e l’energia per farlo. Solo che nessuno mi vuole. Finora ho fatto due colloqui, non mi hanno mai richiamato. Chiedo la dignità non la carità».

Lo interrompe il rumore insistente di un clacson. «Christian - dice al più grande tra i figli - affacciati alla finestra. Vedi se è qualcuno che deve uscire con la macchina». «Sì papà, c’è uno che se ne deve andare». Gaetano scende, sempre di corsa, con le chiavi della catena in mano. Appoggiato sul motorino, di fianco alle auto che sono rimaste parcheggiate e ai bambini che fanno confusione c’è anche Ciro, un ragazzo di 23 anni che preferisce non dire il suo vero nome perché «non tutti conoscono la mia vera storia e preferirei non la venissero a sapere. Tipo la madre della mia ragazza non sa bene cosa è successo», spiega.

Ciro è indagato per rapina. Ma intanto che aspetta di capire come si metteranno le cose punta a costruirsi un futuro dignitoso, legale. «In passato ho commesso piccoli reati che non vorrei ripetere ma è stato perché mi sono dovuto arrangiare, per necessità». Scherza con i bambini, conosce tutti. Sulle spalle ha ancora lo zaino del food delivery per cui lavora nel tempo che gli rimane libero, per arrotondare. Perché da poco più di tre mesi un lavoro vero ce l’ha. Fa il corriere per una ditta che consegna pacchi per Shein, per Zara, per Amazon. «Mi sveglio ogni mattina alle 6 e faccio fino a 120 consegne a Napoli e dintorni. All’inizio ero lento, non conoscevo i posti, e rientravo a casa dopo le 21. Adesso finisco per le 18. Mi trovo bene e il proprietario mi vorrebbe mettere a posto. Ma non posso, perché i miei genitori perderebbero il Reddito».

«Se tolgono il Reddito, qua succede un disastro», dicono Ciro, Gaetano e anche Nunzia, che lavora come cameriera per 600 euro al mese in nero in uno dei ristoranti che affacciano su piazza Sanità, «ma prendo pure il sussidio, altrimenti i soldi non mi basterebbero per mantenermi».

Così dimostra anche la storia di Antonio, 40 anni, che dal 2019 vive fuori dalla stazione di Napoli Centrale. Dorme accanto ad altri che ormai sono diventati persone fidate, anche se si parlano a malapena. «Chi ti ha portato il panettone? La Caritas?», chiede alla vicina di posto. Nessuna risposta, neanche uno sguardo di intesa. «Non posso prendere il Reddito per i reati che ho commesso, anche se ho scontato la mia pena. Dopo poco che sono uscito dal carcere ho perso mia madre e con lei anche la casa in cui abitavamo. Così sono venuto a vivere qua, per l’elemosina. Guardami. Non faccio una doccia da giorni». Antonio ha la barba lunga, incolta, il viso scavato per i troppi pasti saltati e un corpo esile, circa 65 chilogrammi per più di un metro e 80 di altezza. Un’immagine che stride con le vecchie foto di Facebook in cui sorrideva appena uscito dal carcere. «Per me adesso trovare un lavoro è ancora più difficile, per i pregiudizi».

Secondo una simulazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, basata sui dati Inps, sono circa 400 mila i nuclei familiari che rischiano di perdere il Reddito di cittadinanza in base alle nuove indicazioni del governo Meloni. Come si capisce dalla manovra economica, in attesa che le caratteristiche di una nuova misura a sostegno della povertà vengano definite per il 2024, chi ha tra i 18 e i 59 anni, appartiene a un nucleo familiare in cui non ci sono minori, anziani o disabili, nel 2023 potrà ricevere il sussidio al massimo per sette mesi o finché non arriva un’offerta di lavoro. Al primo no decadrà il Reddito, anche se servirà un decreto per definire i criteri dell’offerta valida.

Gli occupabili sono il 38,5 per cento dei percettori di oggi, persone che secondo la definizione del governo, avrebbero le capacità di lavorare sulla base dell’età e della composizione del nucleo familiare. Non in seguito a un’analisi delle esperienze, del livello d’istruzione, delle competenze e delle opportunità occupazionali che i territori effettivamente offrono.

Senza tener conto che tra quelli che prendono il Reddito di cittadinanza ci sono anche i lavoratori che non ricevono uno stipendio sufficiente per una vita dignitosa: i “working poor” che secondo un rapporto dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, l’Inapp sarebbero quasi il 46 per cento dei percettori. A cui va aggiunto chi, come Gaetano o come Nunzia, sta fuori dalle statistiche perché lavora nell’illegalità, per uno stipendio che comunque non permette di vivere. Si potrebbe quasi dedurre che, proprio come ha detto il presidente dell’Inapp alla presentazione del rapporto, «basterebbe migliorare le condizioni del mondo del lavoro italiano per quasi dimezzare l’attuale numero dei percettori del Reddito di cittadinanza». Puntando sulla qualità e provando, anche se sazi, a comprendere chi è rimasto a digiuno.

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