Lo studente della Sapienza di Roma è detenuto da alcune settimane dopo essere stato arrestato al valico Allenby. Ma né lui né i familiari né il difensore conoscono le accuse o possono accedere agli atti. Un dispositivo carcerario contrario a ogni garanzia fondamentale

Il 31 agosto Khaled El Qaisi, cittadino italo-palestinese di 28 anni, è stato arrestato al valico Allenby, tra la Palestina e la Giordania. Il valico è sotto il controllo israeliano e giordano ed è occupato da Israele dal 1967. Khaled si trovava con la moglie e il figlio di quattro anni, Kamal, per convalidare all’anagrafe il matrimonio e la nascita del figlio. Khaled, che era già da due settimane in Palestina, è stato ammanettato davanti agli occhi increduli del figlio, della moglie e di tutti i presenti. Le forze israeliane non hanno fornito ai familiari alcuna spiegazione sull’arresto, allontanando la moglie e il figlio, anch’essi cittadini italiani, in territorio giordano senza telefono né soldi.

 

Khaled è uno studente di Lingue e Civiltà Orientali all’Università La Sapienza di Roma, dove vive e lavora come traduttore. Da anni è impegnato nella raccolta, divulgazione e traduzione di materiale storico palestinese. Tra i suoi lavori di traduzione più importanti troviamo “La rivolta del 1936-1939 in Palestina. Contesto, dettagli, analisi” di Ghassan Kanafani, intellettuale palestinese assassinato dal Mossad a Beirut nel 1972. È inoltre tra i fondatori del Centro Documentazione Palestinese. Khaled è quindi, da diverse settimane, sottoposto a una misura detentiva arbitraria, in quanto non gli sono state contestate accuse. Nel frattempo si trova in carcere senza la possibilità di interloquire con i propri familiari e d’incontrare il proprio legale, anch’egli ignaro delle accuse a carico di Khaled.

 

Come descritto accuratamente nel film “3000 notti” di Mai Masri, Israele ha un dispositivo carcerario che confligge con il rispetto dei diritti umani. Khaled al momento è stato sottoposto a tre udienze e numerosi interrogatori senza la presenza del suo difensore. Non gli è consentito conoscere gli atti che hanno determinato il suo arresto e il suo protrarsi; non sa chi lo accusa, per quale ragione lo faccia, cosa affermi in proposito. Anche i motivi del suo arresto appaiono assolutamente generici e privi di specificità. Inoltre, l’arresto si fonda esclusivamente su meri sospetti e non su indizi gravi di colpevolezza. Le autorità israeliane dispongono dai 30 ai 45 giorni per individuare un’ipotesi di accusa da sottoporre a un giudice per istituire un vero e proprio processo, ma qualora non riuscissero ad acquisire una provvista indiziaria utile per esercitare un’azione penale, dovrebbero liberarlo. Ma non è così scontato: se si decidesse di tramutare la detenzione penale in amministrativa, Israele dà la possibilità all’autorità militare di protrarre di sei mesi in sei mesi, la carcerazione senza processo né accuse.

 

Secondo i dati della Ong Addameer, al momento sono 1.200 i palestinesi in detenzione amministrativa. Dalla conferenza stampa avvenuta il 15 settembre presso l’Università La Sapienza, è nato un comitato composto dalla moglie di Khaled, Francesca Antinucci, dalla madre, Lucia Marchetti, e dall’avvocato che sta seguendo il caso in Italia, Flavio Rossi Albertini. Il comitato chiede l’immediata liberazione di Khaled nel rispetto dei diritti civili e politici contro la reiterata detenzione di un cittadino italiano senza capi d’accusa. Il governo italiano e le sue istituzioni devono intervenire per il repentino ritorno di Khaled El Qaisi in Italia così come monitorare la tutela dei diritti dei cittadini di origine palestinese.