Diritti
La Regione Lazio sta per chiudere la casa delle donne Lucha y Siesta: «Siamo scomode perché facciamo politica»
La giunta Rocca vuole sgomberare lo stabile occupato e in questi anni al centro di una lunga trattativa con le istituzioni. «La nostra esperienza va oltre l'erogazione di servizi. E anche se non avremo quell'edificio, quello che abbiamo costruito andrà avanti»
Le proteste hanno funzionato, ma il pericolo per ora è solo rimandato. La giunta della regione Lazio, che doveva discutere la delibera con cui si mette fine all’esperienza di Lucha y Siesta nello storico spazio di via Lucio Sestio 10 a Roma, è stata spostata a venerdì. È successo dopo una mobilitazione molto partecipata davanti al palazzo della Regione: «La marea si è alzata magnifica», recita il comunicato diffuso sulle pagine social di Lucha, «siamo furiosɜ, indecorosɜ, ingovernabili. Siamo luchadorəs, ci prenderemo tutto».
La Casa delle donne Lucha y Siesta è uno spazio di relazione femminista e transfemminista in cui si elaborano, sperimentano e praticano politiche di genere e pratiche intersezionali. È attiva dall’8 marzo del 2008 come centro antiviolenza, casa di accoglienza per donne in percorsi di fuoriuscita dalla violenza, polo culturale, luogo di confronto e crescita collettiva. È un punto di riferimento, non solo per l'antiviolenza, ma come istituzione culturale e politica, dentro e oltre il territorio in cui si trova. «Sulla città transfemminista lavoriamo e ragioniamo da anni» spiega Mara Bevilacqua, attivista di Lucha. «Il lavoro sul bene comune femminista e transfemminista ha a che vedere con il modo stesso con cui Lucha si posiziona dentro la città, dentro il quartiere, ma in un intento che va oltre il confine del quartiere e della città. Il problema della città femminista, cioè di una città che abbia una nettissima visione di genere, è un problema mondiale. Perché la realtà attuale è quella di città costruite per gli uomini».
Ciò che Lucha y Siesta ribadisce oggi è che la sua esperienza non può essere ridotta all’erogazione di servizi e alla gestione dei centri antiviolenza sul territorio (quattro a Roma, compreso quello della sua sede che è anche una casa rifugio). «C’è una complessità che va ben oltre la questione dei servizi» spiegano Simona Ammerata, socia fondatrice, e Mara Bevilacqua, attivista di Lucha y Siesta. «Perché è precisamente questo il progetto che viene messo sotto attacco: nonostante tutto il mondo che si auto-organizza, che costruisce spazi di libertà e di autogestione, che allude a un altro modo di stare in relazione, di fare società ed economia, sia spesso sotto minaccia, ce ne sono alcuni che sono più scomodi, in quanto soggetti imprevisti. E non è un caso che da quindici anni siamo costantemente sotto l’attacco di amministrazioni locali, comunali e regionali, che sono state le più disparate tra centrodestra e centrosinistra. E che con nessuno questa esperienza abbia trovato una risoluzione completa», continua Simona Ammerata. «Ci abbiamo provato con la Regione Lazio di Zingaretti, che è stata l'unica, grazie a Marta Bonafoni, Marta Leonori, Maddalena Vianello, Giovanna Pugliese, che ci abbia creduto. È stata una lunga battaglia per trovare un lessico comune e per fare riconoscere questa esperienza nella sua interezza. Nei laboratori di progettazione di Lucha venivano anche loro. Per fare capire quanto non fosse solo un servizio è stato un lavoro lungo. Abbiamo dovuto trovare un linguaggio comune dentro una dimensione in cui chi amministra la cosa pubblica molto spesso è sopravanzato dalla burocrazia. E tutta la politica passa in secondo piano. Per noi è esattamente l'inverso».
La sede di Lucha y Siesta ha resistito prima all’alienazione dei beni dell’agenzia del trasporto autoferroviario, che avrebbe trasferito il diritto di proprietà e di azione sull’immobile ad Atac, e poi alla messa all’asta durante la giunta Raggi. Fino ad arrivare all’acquisizione del bene da parte della Regione Lazio nel 2021. Dando voce alla proposta della consigliera regionale Marta Bonafoni, la Regione Lazio aveva infatti stanziato 2,4 milioni di euro per partecipare all’asta e avviare una co-progettazione dello spazio. L'acquisizione è avvenuta, ma l'accordo non è stato finalizzato per tempo e la destra nel frattempo ha vinto le elezioni regionali. «In questi 15 anni abbiamo creato, studiato, rielaborato ed appreso cose che prima non c'erano. Ed è per questo che nei rapporti con le istituzioni diventiamo ingovernabili, hanno paura. Non siamo classificabili in nessuna definizione univoca e questo ci rende imprevedibili, come è successo in questi ultimi giorni. Siamo creative in un modo che spaventa l'istituzione, che in quanto rappresentazione profonda del patriarcato, ha paura di tutto ciò che non è la norma».
Durante il periodo di co-progettazione con la regione Lazio, Lucha y Siesta ha prodotto una convenzione che è il risultato della commistione di cinque leggi, spiega Simona Ammerata: «La legge ANAC nazionale sugli spazi sociali che non producono reddito, la Legge 4 sulla violenza, la Legge sui luoghi delle donne della Regione e la Legge nazionale sulle case delle donne, con il dispositivo di bilancio che ha salvato la Casa internazionale, e la legge sui beni comuni. Abbiamo dovuto stressare le questioni normative per costruire qualcosa che ci assomigliasse senza imbrigliarci. Non puoi pensare di formare uno spazio che affronta il patriarcato, usando le stesse armi del patriarcato. Lucha y Siesta è prima di tutto un'istituzione politica. E credo che sia questo il motivo per cui, come dire, è così scomoda. Anche se non avremo quell'edificio, la pratica, la metodologia, la teoria, la ricerca che abbiamo costruito andranno avanti con o senza quei quattro mattoni. Abbiamo voluto fortemente che non venisse reso un luogo di speculazione, ma che mantenesse la sua vocazione pubblica. Se oggi è della Regione Lazio e non un condominio di lusso è grazie alla comunità, che ha fatto la resistenza. Se non riusciremo a tenerlo, certamente avremo un altro luogo, un nuovo spazio di qualsiasi genere, perché lo strappiamo a un altro ente, perché lo affittiamo, perché ce lo compriamo insieme a tante e tanti altri. Certo è che quel luogo, che non è solo un luogo, ha bisogno di un contesto territoriale dove abitare. Lucha y Siesta, in ogni caso, non finirà».