I rivenditori acquistano i ticket in massa e li offrono a prezzo maggiorato. Indaga anche l’Antitrust. Ma non succede solo a Roma: il secondary ticketing è una piaga per il turismo italiano

Caterina arriva alla stazione Colosseo della metropolitana. Frastornata dalla corsa per prendere il treno della linea B, pieno di persone, e dalla temperatura che si avvicina ai 40°, in una delle settimane più calde per Roma. È venerdì 21 luglio, ora di pranzo: nell’euforia di impiegare le poche ore libere per visitare il più grande anfiteatro romano del mondo ha dimenticato di mangiare. Pensa a un gelato, ma appena fuori dai tornelli un cono costa 6 euro e novanta. 

 

«Per saltare la fila venite con me», dice un uomo a un gruppo di giovani che si avvicina all’ingresso del Colosseo. Caterina incuriosita chiede informazioni all’operatore, che sulla camicia ha appuntato un cartellino con scritto «tourist information». Per evitare l’attesa alla biglietteria, che è per buona parte sotto il sole, si può accedere alla visita per gruppi: 50 euro. «Ma vorrei visitare il Colosseo da sola», controbatte Caterina. «Non c’è problema, vieni».

 

Nel piazzale all’uscita della metropolitana, dove i turisti aspettano che la guida avvii i tour, un altro uomo la informa che per 30 euro avrà il ticket singolo senza passare per la biglietteria. «Posso pagare col bancomat?». «Chiamo la responsabile». Dopo un paio di telefonate, la soluzione è entrare con il gruppo e poi, «una volta dentro ti stacchi, fai come ti pare».

 

Secondo il regolamento di polizia urbana di Roma capitale, sarebbe «vietata l’attività di intermediazione e promozione di tour turistici, la vendita di biglietti per musei, teatri ed eventi culturali e turistici, in luoghi pubblici o aperti al pubblico». Eppure davanti al Colosseo, uno dei siti più visitati al mondo, la compravendita procede senza timore per le autorità che sorvegliano l’area. Anche dentro la stazione, in un ufficio che sembra dedicato al cambio della valuta, un operatore offre i biglietti con «accesso prioritario a 35 euro». l ticket per l’Anfiteatro Flavio, il Foro romano e il Palatino, però, ne costano 18, se acquistati sul sito di CoopCulture, la cooperativa che gestisce la biglietteria e il bookshop: «Peccato che sia molto difficile trovarli». 

 

Come spiega Isabella Ruggiero, presidente dell’Agta, Associazione Guide turistiche abilitate, da marzo a giugno è stato impossibile: «Finivano non appena rilasciati. Da luglio qualche biglietto c’è, perché siamo alla fine dell’alta stagione. Non perché il problema si stia risolvendo. Succede che grandi agenzie comprino migliaia di ingressi attraverso i bot, sistemi automatici di acquisto, per rimetterli in vendita sulle loro piattaforme. O semplicemente a prezzo maggiorato o aggiungendo servizi». Che, però, che in tanti casi sembrano inseriti  per giustificare l’aumento del prezzo del biglietto più che per offrire un benefit concreto al visitatore. Come la proiezione di video multimediali (della durata di 25 minuti circa) da guardare fuori dal Colosseo, prima di iniziare il tour. O il giro in bus per la città che poco ha a che fare con l’ingresso all’anfiteatro.

 

Ma il visitatore, costretto ad acquistare i biglietti dai rivenditori secondari visto che sul sito ufficiale non ci sono più, non ha scelta: «CoopCulture sembra non aver predisposto sistemi idonei a evitare l’accaparramento dei biglietti messi in vendita da parte di rivenditori alternativi, privando così i consumatori della possibilità di acquistare i titoli di accesso al prezzo ordinario», si legge nell’istruttoria avviata dall’Agcm, Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, lo scorso 18 luglio anche nei confronti delle piattaforme dei grandi operatori d’intermediazione Musement, GetYourGuide, Tiqets e Viator.

 

Come spiega Lorenzo Soave, direttore del master in Gestione dei Beni culturali all’Università degli Studi Link, «il fenomeno del secondary ticketing nasce per permettere a chi ha acquistato un biglietto per un evento di rivenderlo senza perdere i soldi qualora non possa più andarci. Si è trasformato, invece, in una fonte di guadagno per i rivenditori. A penalizzare i consumatori, anche la mancanza di trasparenza: spesso le piattaforme di rivendita non indicano il costo base del biglietto, né quello dei servizi aggiuntivi. Così chi compra non sa cosa paga. E questo non succede solo per il Colosseo, ma per tante delle più famose attrazioni turistiche italiane».

 

Basta scrivere su Google: «Acquista biglietti nome attrazione turistica» per rendersi conto che i siti che si accaparrano i ticket da rivendere a prezzi maggiorati sono i primi che appaiono nella ricerca. E che quasi sempre hanno disponibilità per date e orari che risultano già occupate per chi tenta l’acquisto dai rivenditori ufficiali. Ma non solo: ci sono anche aziende che registrano domini simili a quelli dell’attrazione turistica, ingannando il visitatore, o per vendere biglietti falsi, o a costo più alto. O per i click e i ricavi pubblicitari che seguono. A danno sia del consumatore sia degli enti gestori dei monumenti o musei.