Il report della Fondazione Libellula punta un riflettore sui segnali d’allarme nelle relazioni tra adolescenti. Soltanto il 29 per cento degli intervistati ritiene falsa l’affermazione «se il partner ti controlla è perché ti ama». Per metà di loro baciare senza consenso non è un abuso grave

Guardare di nascosto il cellulare del proprio partner. Dirgli come vestirsi. Impedire che faccia nuove amicizie online sono tutte forme di controllo. Che, però, in molti casi gli adolescenti non riconoscono. E non definiscono violenza. Dimostrando quanto ancora la cultura patriarcale influenzi il processo di crescita dei giovani tra i 14 e i 19 anni nel nostro Paese. Soprattutto i maschi. 

 

Ad esempio, mentre il 51 per cento delle adolescenti riconosce come una forma di violenza chiara il dire al proprio compagno quali abiti indossare, solo il 24 per cento dei ragazzi la pensa allo stesso modo. Ma c’è di peggio: soltanto il 29 per cento degli intervistati ritiene completamente falsa l’affermazione «se il partner ti controlla è perché ti ama», ancora meno quelli in disaccordo totale sulla frase «se una ragazza dice no in realtà vorrebbe dire sì».

 

Come emerge dall’indagine “La violenza di genere in adolescenza”, realizzata dall’Osservatorio della Fondazione Libellula, che L’Espresso ha letto in anteprima, gelosia, possesso, aggressività, invasione degli spazi e dei tempi dell’altro vengono troppo spesso considerati come espressione di interesse da parte del partner. Invece che come manifestazioni di violenza, manifestazioni di rapporti non sani. E anche i concetti di responsabilità individuale e di consenso non sempre sono chiari: poco più della metà degli intervistati pensa che baciare qualcunə senza consenso sia un evidente sopruso. Per il 15 per cento, invece, lo è «per nulla o poco».

 

La capacità di riconoscimento delle varie modalità attraverso cui la violenza può manifestarsi è parziale tra gli adolescenti, soprattutto quando è psicologica. E la consapevolezza, quando c’è, è maggiore tra le ragazze. Meno di un terzo dei maschi tra i 18 e i 19 anni, si capisce infatti dall’analisi, considera inaccettabile la messa in atto di comportamenti violenti a seguito di un tradimento. Per quasi l’80 per cento delle intervistate, invece, lo è senza dubbio. Sono dati che, come sottolinea Giuseppe Di Rienzo, managing director della Fondazione, «fanno riflettere sulla narrazione normalizzante – e anzi, spesso romanticizzata – a proposito di violenza nelle relazioni affettive. Ma la nostra cultura non ha tramandato solo questo: i ragazzi che hanno subito violenza tendono a parlarne molto meno delle ragazze. Sia con gli amici, sia in famiglia, sia con gli enti preposti. Probabilmente qui entrano in gioco gli stereotipi e il mandato di non apparire come vulnerabili».

 

Dall’indagine  “La violenza di genere in adolescenza”, infatti, emerge con chiarezza che sono soprattutto i maschi ad aver introiettato i paradigmi su cui si regge il sistema patriarcale. Dannosi perché impediscono l’instaurarsi di rapporti equi e paritari, la scoperta e l’espressione libera della propria identità. «Ai ragazzi si parla poco di emozioni, di affetti e del loro legame con la sessualità. Anzi quando esprimono paura, tristezza o disorientamento rischiano di ricevere messaggi di riprovazione. Come se essere maschi comportasse l’impossibilità di mostrare sofferenza e bisogno. Con tutte le conseguenze sul piano personale e delle relazioni che questo comporta», si legge tra le conclusioni del report. «Per cambiare le cose è necessario agire adesso – spiega Di Rienzo –  parlarne il più possibile, fare educazione coinvolgendo scuole, famiglie, comunità e istituzioni in un dialogo attivo».