La proposta del ministro dell'Istruzione rilanciata dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin prevede un'ora a settimana fuori dal tempo curriculare. Ed è solo una delle tante criticità sollevate dalle associazioni che si occupano da anni del tema. «La violenza è strutturale, serve una visione interdisciplinare per ogni ordine e grado»

No, il piano pensato dal ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara, così proprio non va. È questo il messaggio che arriva dalle associazioni impegnate da anni, nelle scuole e non solo, per educare sul tema della violenza di genere. L'idea del ministro prevede un’ora a settimana per tre mesi - fuori dall’orario curricolare - di incontri tra ragazze e ragazzi ed esperti non meglio identificati, tra psicologi, educatori e influencer. Ma questa proposta, mai messa nero su bianco o esposta nel dettaglio prima dell’ultima settimana, viene tirata fuori dal cappello all’occorrenza. La prima volta quest’estate, dopo i fatti di Palermo e di Caivano.


Sono moltissime le docenti e i membri del corpo insegnante che a tutti i livelli richiedono da anni delle misure concrete e strutturali per prevenire la violenza di genere e che forniscano degli strumenti a chi insegna per riconoscerla e per intervenire. Molte esperienze, di collettivi e di associazioni di insegnanti, sono nate negli ultimi dieci anni, e hanno un piano per cambiare le cose.

 

«Educare alle differenze nasce dieci anni fa come rete di associazioni da Bergamo a Siracusa, per promuovere l'educazione alle differenze e di genere all'interno delle scuole di ogni ordine grado». A parlare è Monica Pasquino, presidente di Educare alle differenze, una rete nazionale che raccoglie decine di associazioni impegnate sul tema dell'affettività nelle scuole. «È stata una risposta alla cultura diffamatoria del “gender” che sostiene che chi parla di educazione alla parità o di omolesbobitransfobia a scuola voglia indottrinare, fare violenza, estirpare la spiritualità dei bambini». Una posizione sostenuta da sempre dalle associazioni provita, ma anche dai partiti di destra al governo. Basti pensare ai corsi di formazione obbligatoria, organizzati da Roma Capitale e rivolti a tutte le educatrici e gli educatori dei nidi e delle scuole dell'infanzia comunali finiti sotto la lente d'ingrandimento di Fratelli d'Italia a maggio scorso, perché maestre e maestri sarebbero stati "costretti" a seguire lezioni sull'identità di genere impartite da un'associazione "vicina alla comunità Lgbtq". Uno dei momenti di formazione era sostenuto dall'associazione SCOSSE nata nel 2011 all'interno dell'università di Tor Vergata.


«Un paio di anni fa in un incontro nazionale abbiamo deciso di mettere a punto uno strumento che fosse operativo su questi temi. L'abbiamo fatto aprendo a una serie di riunioni partecipate con il corpo docente, con le dirigenze scolastiche e con le assemblea studentesche, da cui sono nate le linee guida». Il 21 novembre "Che fare? Tutto quello che avresti voluto sapere per contrastare la violenza di/del genere a scuola" è stato presentato al Senato. Un documento con una proposta completa e dettagliata per chi lavora nelle scuole con delle strategie di intervento per contrastare la violenza di genere e del genere. 


«Un lavoro molto operativo. Spesso il problema è il riconoscimento, come nominare e come gestire, cosa fare nei casi di violenza di genere. La violenza maschile contro le donne è una forma di violenza di genere, ma ce ne sono altre. Ad esempio la transfobia. Le linee guida hanno un capitolo dedicato per ognuna di queste forme di violenza di genere  che necessitano di un trattamento specifico. Le abbiamo presentate a fine settembre e in neanche due mesi ne abbiamo distribuite più di mille copie cartacee e più di 220 docenti l'hanno scaricata dal nostro sito. Questo significa che c’è davvero bisogno di lavori competenti su questo tema».


E il bisogno di lavori competenti, delle parole e delle proposte giuste è sostenuto anche da Cattive Maestre, un collettivo nato nel 2015 che fa parte del tavolo di formazione e educazione di Non Una di Meno. Sui propri canali hanno spiegato: «Rimettiamo al mittente il piano di educazione alle relazioni, ritenendolo carente nella fase storica, politica e culturale che viviamo e in questo senso quasi offensiva rispetto al clima di rabbia diffusa e trasversale di questi giorni». 


Educazione sessuo-affettiva, formazione docenti, approccio interdisciplinare, carriera alias, sono alcune pratiche e parole chiave. «Cattive Maestre è un collettivo che nasce nel 2015 sull'onda delle proteste contro la legge “Buona scuola” del governo Renzi», Spiega Marika Marianello. Con un video diventato virale, il collettivo aveva contestato punto per punto la riforma dell’istruzione. «Abbiamo lavorato con Educare alle differenze, Scosse, Befree, e diverse associazioni che si occupano di educazione o che lavorano nelle scuole. È sempre stato un nostro obiettivo politico fare rete. Poco dopo prende vita il movimento globale Non Una di Meno, quindi le cattive maestre confluiscono dentro il movimento, nello specifico nel tavolo di educazione e formazione e contribuiamo nel 2016, alla stesura del Piano contro la violenza di genere. Da lì non abbiamo mai smesso». 


«L’educazione sessuo-affettiva deve essere fatta in modo trasversale negli ordini scolastici. E questa formazione va fatta in orario curricolare e senza chiedere l'autorizzazione ai genitori, perché quando firmi il patto di corresponsabilità all'interno di un istituto comprensivo, c'è un un piano dell'offerta formativa che si accetta. Sono degli incontri strutturali nel piano educativo. Chi partecipa a questi incontri in orario extracurricolare è già generalmente sensibilizzato. Invece è importante agire sui ragazzi che non lo sono», spiega ancora Pasquino. «Esistono tantissime esperienze competenti su questi temi, associazioni centri antiviolenza, consultori, figure professionali che sono sicuramente più qualificate di Amadori. Noi l'avevamo già capito a settembre che tipo era, anche prima della chicca sulla cattiveria individuale e spirituale che da cui nascerebbe il femminicidio». 


«Abbiamo denunciato la scelta del ministro di selezionare Alessandro Amadori come coordinatore del Piano “Educare alle relazioni”, che è autore di “La guerra dei sessi”, in cui si costruisce la cattiveria come categoria politica e il femminicidio è descritto come conseguenza del bisogno di sottomissione del maschile e come effetto della perdita di potere degli uomini, sempre dovuto a questa presunta cattiveria delle donne», aggiunge Marianello di Cattive Maestre.  «La violenza di genere non è un’emergenza, ma un problema strutturale e serve quindi un approccio trasversale e multidisciplinare, non un incontro a settimana fuori dall’orario curricolare. E non siamo d’accordo con il delegare una formazione di questo tipo all’ordine degli psicologi, senza neanche contemplare i centri antiviolenza e le reti di associazioni femministe che lavorano sul territorio. Da sempre lavoriamo sulla femminilizzazione del lavoro di cura e educativo, che sarebbe una missione per le donne e quindi non retribuito, non tenuto in considerazione. Svalutando così la formazione e l’insegnamento. Un primato tutto Italiano, rispetto al resto dei Paesi europei». 

 

«Questo ministro non vuole assolutamente affrontare quello che c'è sotto la punta dell'iceberg dei femminicidi. E Schlein non dovrebbe fare nulla con Meloni su questo. Servirebbe il coraggio di ascoltare e guardare alla scuola - che è migliore di come viene raccontata - e a ciò che già esiste», conclude Monica Pasquino. 

 

«Vogliamo un’educazione sessuale senza tabù», aggiungono le Cattive Maestre «senza quella visione moralistica, senza omissione e senza costrizione, che risponda davvero alle domande delle adolescenti che sono “rimosse sotto il banco”, direbbe Lea Melandri».