Crisi sociali
Affitti da record e mutui troppo cari: siamo in piena emergenza abitativa
Nel nostro Paese è In aumento chi non riesce a pagare la rata o la pigione. E tanti finiscono spesso in povertà. Il problema dell’abitazione si rivela ogni giorno più grave
«Avevo un mutuo tempo fa ma l’ho spento, perché non riuscivo più a sostenerlo. Ho dato via casa senza guadagnarci nulla e sono andata in affitto, con la speranza di avere più aiuti. Ma non ce ne sono».
Alessia P. è una donna di quarantuno anni, mamma single, vive in un monolocale di quaranta metri quadrati a Roma, in zona Lodi-San Giovanni, assieme alle sue due figlie di quattordici e diciassette anni. Una piccola storia, il capo di un filo che – a tirarlo – racconta un pezzetto di questa Italia, in particolare delle famiglie con figli a carico che ormai vivono in affitto senza potersi permettere la casa di proprietà, circa 5,2 milioni ovvero il 20,5% del totale, secondo Istat.
Una percentuale in crescita: nel 2018 era attorno al 18%, segno dell’insostenibilità crescente dell’accesso alla casa per questa fascia della popolazione. L’ascensore sociale non è solo fermo. Torna indietro. Non sale: scende. E le famiglie scivolano nella soglia della povertà assoluta che si intreccia a quella abitativa. Soltanto nel 2021 in Italia l’11,5% dei nuclei familiari con minori si è trovato sotto il livello di spesa in cui non può permettersi beni e servizi che consentano un tenore di vita minimamente accettabile. Una percentuale che quando vivono in affitto sale al 28,2%.
«I dati Istat sulla povertà assoluta ci parlano del 45% di famiglie che vive in affitto», spiega a L’Espresso Silvia Paoluzzi, portavoce nazionale di Unione Inquilini. «C’è un problema strutturale nel nostro Paese e questo si vede nei dati sugli sfratti, pubblicati ogni anno dal ministero dell’Interno: 150 famiglie che ogni giorno sono sfrattate con la forza pubblica, senza garantire loro il passaggio di casa in casa che invece è sancito nei trattati internazionali».
La precarietà abitativa in Italia tocca in maniera particolarmente grave anche la vita dei minori: «In Italia 150.000 minori sono stati sfrattati assieme alle loro famiglie senza nessuna garanzia», continua Paoluzzi. I Comuni non hanno strumenti per garantire il passaggio di casa in casa, a fronte di famiglie che spendono in media quasi il 60% del proprio stipendio per pagare l’affitto. Alessia lavora per la Regione Lazio come operatrice del pronto soccorso: «Oggi, ho pagato 1.117 euro d’affitto. Guadagno 1.600, tra figlie, spese quotidiane e cibo, non rimane nulla». E se le misure strutturali mancano, il governo Meloni sta anche dismettendo quelle poche garanzie che erano rimaste. È la critica di Unione Inquilini: «Sono mancate politiche abitative negli ultimi trent’anni, nell’ultima legge di bilancio non è prevista alcuna misura di sostegno contro la precarietà abitativa. E, come è già stato annunciato da Matteo Salvini, non è prevista la costruzione di nuovi alloggi pubblici o lo stanziamento per il recupero dei 70 mila alloggi popolari. È stato anche cancellato il contributo all’affitto che permetteva alle famiglie di sopravvivere quando si trovavano in difficoltà. Abbiamo sempre sostenuto che questa misura fosse insufficiente e dovesse essere affiancata da provvedimenti strutturali. Ma questo governo l’ha cancellata completamente».
I dati sui mutui restituiscono l’immagine di un Paese dove, paradossalmente, ottenere una locazione di affitto è diventato più complicato di accendere un mutuo: il reddito familiare richiesto per affittare una casa in Italia si aggira intorno ai 28.319 euro netti all’anno, rileva un’indagine pubblicata da Idealista.
Si tratta di una cifra del 33% superiore a quella necessaria per sostenere la rata del mutuo per l’acquisto della stessa abitazione – una casa con due stanze da letto, la tipologia più richiesta – stimato in 21.363 euro netti. A questa cifra bisogna aggiungere un risparmio minimo di 40.682 euro, richiesti come acconto.
Anche l’affitto richiede delle garanzie, difficili da dimostrare in un Paese abitato soprattutto da precari. Ed è proprio qui che scoppia il cortocircuito di questo tempo, lo spiega ancora Paoluzzi: «Da quando è stato abolito l’articolo 18, le giovani generazioni sono state destinate alla instabilità e si indebitano pur di accendere un mutuo, anche se i tassi ora sono notevolmente cresciuti, piuttosto che trovare una locazione che richiede garanzie che non hanno».
In Italia la proprietà della casa è incentivata da una lunga tradizione di politiche abitative, come le misure di agevolazione per il primo mutuo destinate agli under 36 che il governo ha prorogato fino al 2024. Ma è un modello in crisi. «Quando ho acceso il mutuo nel 2005 non avevo problemi, mi avevano dato il 100% con molta facilità, poi tutto è cambiato e con l’aumento dei tassi d’interesse per me era impossibile continuare», spiega Alessia. Il motivo di questo cambiamento lo racconta Filippo Celata, professore ordinario di Geografia economica presso la facoltà di Economia dell’Università di Roma La Sapienza: «I tassi di interesse così bassi nei primi anni Duemila non erano frutto di politiche attive di agevolazione al mutuo, ma il risultato della circostanza storica: l’adesione dell’Italia all’euro». E con l’arrivo dell’inflazione sono aumentati. «Oggi stiamo assistendo alla riduzione del numero di famiglie che abita in abitazioni di proprietà, perché le nuove famiglie non ci riescono più».
A volte, l’acquisto dell’abitazione è avvenuto anche oltre le possibilità o le esigenze delle famiglie e il modello della proprietà a tutti i costi, che ha rivelato le sue debolezze con la crisi finanziaria del 2008, ha riversato le sue conseguenze sociali sugli strati della popolazione con il reddito più basso.
«Dagli anni Ottanta ad oggi, c’è stata un’operazione precisa che ha riguardato l’Italia come altri Paesi del Sud Europa: quella di spostare il problema della casa dall’agevolazione all’affitto alla promozione della home-ownership», continua Celata. «Fino a ieri a Roma risultava proprietario della casa in cui abitava l’80% per cento delle famiglie, una cifra enorme». Nelle altre capitali europee, come Parigi, Londra e Berlino le percentuali sono esattamente invertite: l’80% è in affitto e il 20% in casa di proprietà. «Abbiamo calcolato che nei decenni tra gli anni Ottanta e i Duemila il numero di famiglie proprietarie della casa di residenza è aumentato di diecimila l’anno, una cosa pazzesca. Ma i problemi sono molti: prima di tutto presupporre che questa sia un’alternativa a delle politiche per la casa tiene fuori quelli che – anche al netto della congiuntura favorevole legata ai tassi di interesse molto bassi e alle varie agevolazioni – comunque non se la possono permettere. Un venti per cento che rimane lasciato a sé stesso».
L’economia finanziaria ha incentivato per decenni grandi masse di popolazione all’acquisto della casa attraverso mutui, contributi, sgravi fiscali, ampie concessioni di edificabilità sul territorio. Il contraltare di queste politiche è la svendita degli alloggi Erp (Edilizia Residenziale Pubblica) – oltre 200 mila, cioè circa un quinto del totale – la crisi totale dell’edilizia residenziale pubblica e lo sviluppo mancato dei sistemi di social housing, affitti calmierati e aiuto all’affitto. Secondo i dati forniti da Abi, a ottobre di quest’anno il tasso sui nuovi prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni era pari al 4,37% (2,05% a giugno 2022), con un incremento di più del doppio anno su anno. Il tasso medio sui nuovi prestiti alle società non finanziarie è salito al 5,45% (1,44% a giugno 2022) circa tre volte il costo dei prestiti dell’analogo periodo del 2022.
La situazione italiana è una polveriera, per capirlo basta scorrere l’ultima nota dell’Ufficio Studi e Ricerche della Fisac-Cgil che fotografa dinamiche unite al rallentamento dell’economia e al perdurare di un livello elevato di inflazione, bassi salari e calo degli investimenti delle imprese che hanno determinato una brusca frenata delle erogazioni di finanziamenti per la casa ma anche di prestiti alle società che hanno preferito utilizzare liquidità esistente per finanziare il loro circolante. «Dai dati rilevati da Crif (Centrale Rischi Finanziari) nei primi nove mesi del 2023 la domanda di mutui delle famiglie si è ridotta di quasi il 20% mentre a giugno di quest’anno i nuovi mutui erogati segnavano ben il -25% (-17,5% le surroghe). Il maggior costo del finanziamento dell’economia, generato dagli aumenti dei tassi assieme al rallentamento della crescita», si legge nel documento, «lascia spazio a un aumento delle difficoltà a rimborsare da parte di famiglie e imprese: alcuni segnali preoccupanti, rappresentati da un aumento dello stock di crediti in sofferenza, che si attesta intorno ai 17,8 miliardi a settembre 2023, permangono, pur essendo ancora lontani da quanto si registrava nel settembre 2018 (39,9 miliardi); essi sono tuttavia superiori al dato di settembre 2022 (16,1 miliardi)».
Il cuore della questione lo ricordano i dati dell’Ocse: l’Italia è il Paese dove si è registrato il più forte calo dei salari reali rispetto all’inizio della pandemia (-7% alla fine del 2022) e la discesa è proseguita nel primo trimestre del 2023 (-7,5% su base annua). Da questo resoconto, commenta la segretaria generale della Fisac-Cgil, Susy Esposito, «emerge che rinnovare i contratti, recuperando la perdita del potere di acquisto e redistribuendo la produttività, è possibile ed è necessario, come abbiamo dimostrato col rinnovo relativo al settore bancario. Ma pesano le scelte sbagliate di questo governo, a partire dalla manovra di bilancio, che continueremo a contrastare, dando continuità alla nostra mobilitazione per un’altra politica economica, sociale e contrattuale».