Tutta un'altra musica
Professor rapper: quando gli alfieri dell'hip-hop salgono in cattedra
Brutti, sporchi e cattivi? Il rap e la trap sono oggi accusati di violenza e di sessismo. Ma c’è molto altro. Come dimostra la voce degli artisti che portano parole e rime a scuola e in carcere. Da Militant A ad Amir Issaa, da Murubutu a Rancore
Parlano forte e chiaro i testi di Gallagher, il trapper romano arrestato con l’accusa di aver picchiato per due anni la compagna, anche quando era incinta. Nella canzone “Drip Walk” dice: «Sto con la tua nasty mi twerka sul ca**o / Mi dice che sono razzista, drogato e coatto/ Le tiro i capelli da dietro e la sbatto». E anche le frasi di “Zitta” del trapper pavese Silent Bob non hanno bisogno di spiegazioni («Comunque, una baldracca puttana infame indegna/carabiniera a cavallo/Vedi di sparire di non farti vedere neanche in foto»). E così via. È questo il volto brutto, sporco e cattivo del rap e della trap, sotto accusa per sessismo e misoginia. Una polemica infuocata: dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin e la Giornata contro la violenza sulle donne, in molti hanno puntato il dito proprio contro certi artisti, che hanno replicato a muso duro. «Quanto qualunquismo in classico stile italiano. Come se la donna non fosse mai stata trattata come un oggetto nelle fantasie degli italiani, sin dall’inizio delle televisioni private dagli anni Ottanta a oggi», ha scritto su Instagram il rapper napoletano Luché.
C’è però un altro hip hop, che non ha nulla a che fare con le rime violente. Rapper che entrano nelle scuole e in carcere, usano le proprie canzoni per diffondere tra studenti e detenuti concetti come inclusione, rispetto, impegno civile. Si trasformano in professori ma non salgono in cattedra perché alle lezioni frontali preferiscono l’interazione con gli studenti, guardarli in faccia, stimolare le loro riflessioni. Scrivono libri, fanno lezione all’università, portano avanti progetti di “edutainment”, quando l’educazione si fonde con l’intrattenimento. Con risvolti inaspettati: la Fondazione Treccani Cultura, ad esempio, già da tempo racconta l’evoluzione della lingua attraverso i testi della nuova generazione di artisti della scena hip hop, rap, trap e indie, per trasmettere il valore di alcune parole chiave del mondo contemporaneo. E ha avviato diversi progetti – legati alla scrittura, alla lettura, al freestyle - in collaborazione con diversi rapper: Murubutu, Myss Keta, Amir Issaa. Inoltre, edulia dal Sapere Treccani ha lanciato online “Superskill – Il potere delle competenze”, nuovo format gratuito educativo che, attraverso esperienze e testimonianze video di eccellenze della cultura, dello spettacolo e dello sport, vuole ispirare e orientare i giovani nell’individuare le competenze e le caratteristiche che ognuno di noi ha in potenziale e coltivarle, per farle diventare chiavi di successo nella vita professionale e personale. Myss Keta ha contribuito con contenuti originali a questo progetto.
«Allo specchio imitavo Jay-Z e Nas/Wu Tang dentro il walkman in giro per la città/ Poi ho capito che avevo tanto da dire/ Carta e penna e in tasca appena duemila lire/ Ma mi sentivo il re dentro il mio isolato/ E mi ha aiutato a sentirmi meno isolato», canta Amir Issaa. Cresciuto nel quartiere di Torpignattara, a Roma, figlio di un immigrato egiziano e di una donna italiana, si avvicina all’hip hop all’inizio degli anni Novanta. Con una lunga carriera da rapper alle spalle, oggi a 44 anni è in prima linea sul fronte dell’educazione nelle scuole, all’università, nei penitenziari, mondo che conosce bene perché suo padre ha trascorso diversi anni in cella. Dopo aver scritto il libro “Vivo per questo” (Chiarelettere), Issaa ha cominciato a usare il rap come strumento didattico rileggendo elementi di poetica e facendo scoprire ai ragazzi che le canzoni che ascoltano dal cellulare sono anche il risultato di un esercizio linguistico. Poi ha dato alle stampe il libro “Educazione rap” (add editore, prefazione di Paola Zukar), in cui racconta la propria esperienza e disegna un percorso che mette al centro gli studenti e la parola, le emozioni e la lingua. In queste settimane, inoltre, è impegnato in un tour nelle università degli Stati Uniti. «Per i ragazzi è chiaro che l’aspetto che più mi affascina del rap è la scrittura», dice il rapper su Zoom dal campus dell’Università di San Diego, in California: «Il lavoro sulla scrittura serve a raccontare la realtà, la propria storia e quelle altrui utilizzando le rime, costruendo uno stile. Da anni vado nelle scuole a combattere stereotipi e pregiudizi usando il potere delle parole: identità, seconde generazioni, diritti, George Floyd, periferie, America, femminismo». Eppure oggi molti rapper, ma soprattutto i trapper, siedono sul banco degli imputati, accusati di machismo e sessismo. «Attraverso i testi, a volte, passano messaggi diseducativi, ma non sto qui a fare la morale perché bisogna contestualizzare», prosegue Issaa: «A 18 anni non hai la stessa maturità che a 40. Se oggi riascolto le mie canzoni di allora non avevano dentro di sé molta saggezza. Ora invece sento una forte responsabilità verso le nuove generazioni», conclude il rapper.
Chi non si è mai tirato indietro è Militant A, nome d’arte di Luca Mascini, che si è conquistato un posto di rispetto nella scena dell’hip hop politico, impegnato, voce e frontman dello storico gruppo Assalti Frontali. Da anni il musicista, che è anche scrittore e “arteducatore” come ama definirsi, porta nelle scuole le sue rime e in queste settimane attraversa l’Italia con il suo libro “Cambiare il mondo con il rap” (Momo Edizioni). Nel 2016, alla vigilia del referendum, il rapper scrisse insieme a sessanta bambine e bambini il “Rap della Costituzione”, mentre due anni fa registrò la canzone “Ng New Generation” con i bambini del Piccolo Coro dell’Antoniano per il festival Zecchino d’oro. Mondi lontani anni luce, ma solo in apparenza.
Nei giorni scorsi Militant A ha affrontato con gli studenti il tema del femminicidio di Giulia Cecchettin. «Sono tutti molto coinvolti, anche se per loro resta una cosa lontana. Sanno che quando una ragazza si fidanza deve cambiare modo di vestire, ad esempio non indossare i leggins. Oggi i ragazzi apprendono molto dalla scuola, dalla famiglia, dalla musica. Il rap dunque deve fare la propria parte, ma in questa fase vedo in giro scarsa responsabilità», dice il rapper, che aggiunge: «È un dolore: spesso si dice che nel rap devi usare parole come “body”, “troia”, sennò non è autentico. Non sono d’accordo: bisogna usare un linguaggio diverso, assumersi le proprie responsabilità. Però una cosa è certa: è la società con la sua violenza a essere responsabile, quando vediamo certi ruoli riprodotti nella pubblicità, in tv, nei meccanismi del potere, i testi del rap rispecchiano la violenza della società. Mi sforzo nei laboratori a trasmettere valori di gentilezza, cura, comunità, far riflettere i ragazzi sul fatto che i problemi personali possono essere risolti insieme agli altri».
Sconfinano in altri campi i rapper che vestono i panni del professore, tratteggiano percorsi inattesi. Rancore, ad esempio, 34 anni, tra i rapper più acclamati della sua generazione con i suoi racconti della realtà e di un mondo straordinario, di fantasia, dopo l’uscita dell’album “Xenoverso” e la duplice partecipazione al Festival di Sanremo (la prima nel 2019 al fianco di Daniele Silvestri in gara con la canzone “Argentovivo”, premio per il miglior testo), ha partecipato come giurato e performer alla prima edizione del Premio Strega sezione poesia. Il suo vero nome è Tarek Iurcich, padre di origine istriana e madre egiziana, ed è uno dei protagonisti del progetto scuola Abc, promosso dalla Regione Lazio con Roma Capitale. Un ciclo di incontri nei teatri con gli studenti, per parlare delle emozioni e dei sentimenti attraverso i luoghi. «Ci sono luoghi dentro di noi che già hanno la loro musica, emozioni che già fanno rima, devono solo essere scoperte», dice Rancore rivolto alla platea del Teatro Argentina, a Roma: le ragazze e i ragazzi lo applaudono fragorosamente, conoscono a memoria le sue canzoni, lo riempiono di domande. «Spero che i nostri incontri possano fornire ai ragazzi strumenti per esprimersi all’interno della creatività: la poesia, il teatro, la musica», dice il rapper in una sala del teatro. Non è scontato che un rapper salga in cattedra, metaforicamente o meno, per insegnare ai ragazzi a utilizzare la lingua italiana sotto forma di rime. Per tanti anni il rap ha scontato un certo snobismo da parte del mondo della cultura, come se non avesse dignità letteraria. Poi Kendrick Lamar nel 2017 ha vinto il Pulitzer per la musica, qualche anno fa, la prima volta per un rapper, e le cose hanno cominciato a cambiare. «Il rap è un mezzo che può essere sfruttato in mille modi, per rompere certi schemi», aggiunge Rancore. Che però rifiuta l’etichetta di professore-rapper. «A me la parola educatore non piace. Ovviamente rispetto tutti coloro che educano perché costruiscono il futuro, ma non mi si addice. Chi insegna ha studiato molto, molto più di me. Io vengo dall’intrattenimento, intendo restare in questo settore, magari indirizzandolo verso la costruzione di qualcosa, non solo dello svago», conclude.
Scuola e rap si mescolano, intrecciano le loro strade secondo traiettorie impreviste. C’è anche chi non rifiuta affatto l’etichetta di rapper professore, anzi sale in cattedra tutti i giorni. Alessio Mariani, in arte Murubutu, è docente di Storia e Filosofia in un liceo di Reggio Emilia, la sua città, ma anche rapper affermato. Attraversa l’Italia con il talk “Scelgo le mie parole con cura”, con cui indaga tutti i possibili rapporti tra rap e letteratura. Nelle sue rime tiene insieme Dante Alighieri e Italo Calvino, i filosofi greci e James Joyce. «Gestisco bene la mia doppia vita, in cattedra e sul palco faccio la stessa cosa: veicolo in maniera accattivante contenuti culturali», sintetizza Murubutu: «La musica mi aiuta a scuola, è un linguaggio che condivido con gli studenti. Il professore aiuta il rapper a trovare ogni giorno materiale utile per le canzoni, il rapper aiuta il professore a tenerlo in mezzo ai giovani». A dimostrarlo ci sono i suoi primi sette album, completamente dedicati allo storytelling tra cui “Infernvm” col rapper Claver Gold, incentrato sulla prima delle tre cantiche del Sommo poeta. E ora ha appena pubblicato il singolo “L’avventura di due sposi”, ispirato al racconto contenuto ne “Gli amori difficili” di Italo Calvino, in occasione del centenario della nascita dello scrittore. Murubutu vive in mezzo ai giovani, che adorano la trap. Cosa pensa della deriva linguistica, del sessismo, del machismo? «Seguo la trap con molto interesse dal punto di vista antropologico», conclude il professore-rapper: «Rivela un disagio, un segnale d’allarme di cui tener conto. Non si può liquidare come fenomeno solo di moda».