Braccianti
Nei ghetti pugliesi si continua a morire. Mentre i fondi per smantellarli rischiano di andare persi
A Borgo Mezzanone le ultime due vittime, uccise dalle esalazioni di un braciere. In queste baraccopoli i migranti impiegati in agricoltura vivono in condizioni pessime. Ma gli enti locali presentano sul filo di lana i piani di recupero. E qualcuno brucia i soldi del Pnrr
Ci sono i numeri: un morto nel 2016 in località Pescia, due nel 2017 a Torretta Antonacci, quattro tra il 2018 e il 2020 a Borgo Mezzanone, due nel dicembre 2021 a Stornara. Poi ci sono le persone. Ibrahim Sowe e Queen Rock, entrambi 32enni, lui di origini gambiane e lei ghanesi. Sono gli ultimi anelli della catena di morti dei ghetti pugliesi.
Vivevano, appunto, nel ghetto di Borgo Mezzanone, l’insediamento informale – con terminologia presa in prestito dai rapporti ufficiali – più grande d’Italia. Lì dove un tempo sorgeva la pista aeroportuale utilizzata dai cargo nella guerra del Kosovo, oggi sede di baracche con basi in legno e copertura di risulta. Ibrahim era un lavoratore stagionale. «Combatteva per i diritti e per una vita dignitosa. Aveva voglia di emergere, come tutti i ragazzi di Borgo Mezzanone», racconta Sene Khady, responsabile dell’ufficio legale della Caritas di Foggia-Bovino. Invece è stato risucchiato. Ibrahim e Queen sono morti nel sonno a causa delle esalazioni prodotte da un braciere di fortuna, acceso per scaldarsi dal freddo.
La fotocopia di quanto accaduto nel novembre 2019, due morti per le esalazioni di una stufetta: Elvis Bakendaka ed Emmanuel Elimhingbe. Diversi i nomi, uguale la sorte. Sene Khady racconta del sostegno dato ai migranti del posto, delle condizioni in cui vivono. Parla e si ferma. Ripete spesso che «è dura». Sospira, riparte: «Però». Però le associazioni fanno di tutto per migliorarne le esistenze. Operando in quel grumo di interessi illeciti che sono i ghetti.
Su Borgo Mezzanone ha messo gli occhi anche l’Onu. Il presidente del working group su Diritti umani e Lavoro, Surya Deva, si è detto scioccato dal livello di sfruttamento, dopo una visita nel 2021. E d’altronde non è un mistero il sottobosco criminale alimentato dalle baraccopoli. La Dia ha evidenziato la propensione delle cosche a buttarsi nella gestione della manovalanza migrante. Allungando i tentacoli specialmente nei ghetti di Borgo Mezzanone e Rignano Garganico, dove torme di persone vanno in cerca di una mano per uscire dai gorghi della povertà. «Quando domando loro perché accettano di lavorare con i caporali, rispondono che quelli sono gli unici che offrono lavoro», dice Khady.
E si torna sull’assenza delle istituzioni. Un progetto di smantellamento dei ghetti è presente nel Pnrr: 200 milioni di euro, metà dei quali in Puglia. I Comuni interessati hanno presentato sul filo di lana i piani d’azione per lo sblocco dei fondi, con la costruzione o il rifacimento di stabili da destinare ai migranti. Dopo aver rischiato, però, di perdere 114 milioni visto il ritardo nella presentazione dei progetti.
E a perderli davvero è stato il Comune di Turi, noto alle cronache per gli insediamenti che ogni anno vedono all’addiaccio centinaia di migranti per la raccolta delle ciliegie. Sono stati bruciati 5 milioni. «Uno scandalo dell’indifferenza», tuona Anna Lepore della Flai Cgil Bari, «è stata persa un’occasione irripetibile per smettere di vivere questa condizione come emergenziale». Condizione con cui la sindaca di Turi, Ippolita Resta, intende fare i conti solo avviando un’interlocuzione con le imprese locali. «I soldi bruciati? Non ci sono aree idonee per le strutture e i Comuni limitrofi hanno chiuso le porte», dice.
Mentre Khady torna sul punto: «Queste tragedie ci fanno interrogare: è abbastanza ciò che facciamo? Anche io me lo domando. Noi facciamo il possibile, poi servono lo Stato e gli enti locali». Appunto.