Verso le elezioni
Mafie nel Lazio, la grande rimozione. Così la criminalità organizzata è sparita dai radar della politica
Roma e le altre province sono infiltrate profondamente da una commistione tra clan autoctoni e d’importazione. Eppure il problema è scomparso dall’agenda dell’amministrazione capitolina e dalla campagna per le Regionali
Grazie al Giubileo, al Pnrr e probabilmente a Expo 2030, stanno per arrivare nel tessuto economico di Roma circa 18 miliardi di euro. Risorse importanti che però rischiano di solleticare gli interessi delle mafie, che già da tempo hanno messo le mani sulla Capitale. «Come si dice? tutte le strade portano a Roma. Io dico: tutte le strade della grande criminalità partono da Roma». Così in un’intervista a Raffaele Cutolo fatta, nel 1986, da Marisa Figurato della Rai, già si delineava il ruolo della Capitale nel business mafioso. Grazie a quell’incrocio di affari, politica e confusione che da sempre connota questa città, rendendola più permeabile a certe dinamiche.
Lo dimostrano le inchieste degli ultimi anni e le prime condanne che hanno acceso un faro sull’economia parallela delle famiglie criminali, che dal Sud si sono trasferite nel Lazio per investire denaro sporco in attività lecite. A maggio 2022, è stata scoperta la prima ‘ndrina romana capeggiata da Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto (provincia di Reggio Calabria) dove gestivano una serie di locali pubblici.
Nel 2020, i carabinieri del comando provinciale di Roma hanno portato a termine l’operazione antidroga “Coffe Bean” arrestando 21 persone tra la Capitale, Frosinone, Reggio Calabria, Napoli e Viterbo. L’inchiesta ha portato a individuare il ruolo di Alfredo e Francesco Marando, della storica famiglia Marando di Platì, nel quartiere San Basilio. Dove le indagini hanno fotografato una rete di spaccio dal modello aziendale, con pusher e vedette organizzati con orari e compiti ben precisi. Il giovane Alfredo era anche il presidente del Real San Basilio Calcio, squadra del girone B, dilettanti - prima categoria.
Non è la prima volta che gruppi dediti al narcotraffico in alcuni quartieri in cui le mafie hanno un controllo del territorio si trovano in interazione con il mondo delle squadre di calcio locali, che hanno molto seguito nei giovani e nella tifoseria del posto. Era già accaduto a Montespaccato con il clan Gambacurta e con il clan Cordaro in merito a un investimento in una società di calcio in Sardegna.
Ma anche camorra e Cosa nostra hanno allungato l’ombra sul Lazio, in tutte le province, soprattutto a Roma, Latina e Frosinone, come mostrano le inchieste che hanno portato allo scioglimento per infiltrazione mafiosa dei Comuni di Anzio, Nettuno e anche, per la prima volta nel 2015, del municipio di Ostia. Qui dove recentemente la popolazione si è schierata contro la serie Netflix “Suburra” accusandola di infangare l’immagine di questo quadrante di Roma, dove gli affari di clan come Spada e Fasciani riguardano soprattutto gli stabilimenti balneari. Una recente sentenza della Cassazione ha riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso a Roberto Spada per la testata inferta a un giornalista durante un’intervista.
Ma non c’è quadrante della città che non abbia la sua famiglia di riferimento in una commistione tra criminalità autoctona e di importazione, come ben rappresentato in una cartina pubblicata nell’ultimo rapporto “Mafie nel Lazio” curato dall’Osservatorio regionale. Però, nonostante i dati, la parola mafia sembra scomparsa dal lessico politico e dalla campagna elettorale di questo inizio d’anno.
«Il tema è un rimosso totale», afferma Danilo Chirico, presidente dell’Associazione daSud, che ha la sua sede a Cinecittà. Proprio a ridosso della chiesa di don Bosco, dove qualche anno fa è stato celebrato il funerale-show di Vittorio Casamonica con cavalli e petali di rosa lanciati da un elicottero, e del parco degli Acquedotti, dove fu freddato in pieno giorno Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik. Un omicidio che secondo gli inquirenti ha rappresentato un evento spartiacque nei precari equilibri della criminalità organizzata della Capitale.
Proprio qui, nel VII municipio è stato istituito il primo osservatorio della Legalità, «ma la città di Roma è composta di 15 municipi. Più volte abbiamo sollecitato l’amministrazione comunale a istituire una commissione consiliare su questi temi – continua Chirico – ma, anche nella relazione alla città del sindaco Roberto Gualtieri illustrata a un anno dall’insediamento, abbiamo avuto la certificazione che di mafie non ce n’è traccia. Quindi non è un tema rilevante per questa amministrazione».
Dello stesso avviso è anche il professor Nando dalla Chiesa che di fronte a questo silenzio tombale sul tema avverte: «Il rischio è di non saper governare. Perché uno governa qualcosa di cui conosce la natura e non è possibile scorporare dalla realtà laziale quello che è venuto a galla negli ultimi anni. Bisogna studiare la situazione, offrire delle soluzioni, delle modalità di impegno e la rimozione non ha mai fatto bene alle società. Lo abbiamo visto anche su Milano, dove la ‘ndrangheta si è allargata a dismisura».
Al momento l’unico segnale positivo arriva dalla Regione Lazio, l’unica ad aver firmato un protocollo con la Direzione nazionale Antimafia per mettere in sicurezza i fondi del Pnrr attraverso un capillare monitoraggio delle imprese partecipanti ai bandi dei prossimi anni.
Per capire meglio il radicamento delle mafie forse è utile guardare anche ai numeri dei beni confiscati nelle cinque province laziali oggi in mano all’Agenzia nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata: si parla di 3.059 immobili, di cui 2.177 a Roma, e 573 aziende confiscate. Nel triennio 2019-2021, nel Lazio sono stati 544 gli indagati per associazione mafiosa (art. 416 bis del codice penale) e 1.992 quelli per reati aggravati, ai quali si aggiungono 1.537 persone indagate per corruzione.
A metterlo nero su bianco è l’Osservatorio per la Legalità e la Sicurezza della Regione, peccato che per la politica tutto rimanga lettera morta.