Diritti

No, non si può creare il "reato universale" di maternità surrogata (ma la Destra fa finta di non saperlo)

di Simone Alliva   7 febbraio 2023

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Il divieto esiste già nel nostro Paese, ma un nuovo disegno di legge di Fratelli d’Italia vorrebbe perseguirlo anche all'estero. «È un uso puramente simbolico del diritto penale – spiega l’esperto – Questo concetto nel linguaggio giuridico neppure esiste»

È l'eterno ritorno del sempre uguale. Torna la questione della maternità surrogata (“utero in affitto”, così declinato a destra). Torna addirittura il “reato universale”. Tutto questo grazie al disegno di legge presentato da Fratelli d’Italia con le firme della senatrice e sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti e del capogruppo al Senato Lucio Malan.

È l'eterno ritorno del sempre uguale. Torna la questione della maternità surrogata (“utero in affitto”, così declinato a destra). Torna addirittura il “reato universale”. Tutto questo grazie al disegno di legge presentato da Fratelli d’Italia con le firme della senatrice e sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti e del capogruppo al Senato Lucio Malan.

Nella scorsa legislatura, ad aprile, la Commissione Giustizia della Camera aveva adottato il testo base della legge che propone di perseguire la maternità surrogata come reato universale, anche se commesso all'estero. Come testo base era stato adottato quello di Giorgia Meloni abbinato alla Pdl di Mara Carfagna: FI e Lega avevano votato con Fratelli d'Italia, il Movimento 5 stelle e il Pd contro.

Già oggi la maternità surrogata in Italia è vietata e la pena per chi viola la legge prevede la reclusione da 3 mesi a 2 anni e la multa da 600.000 a un milione di euro ma, così come nel testo Meloni, anche nel ddl Rauti-Malan si sottolinea che «le pene si applicano anche se il fatto è commesso all'estero».

I riflettori sono accesi su quei Paesi come India e Stati Uniti dove la pratica della maternità surrogata viene considerata legale. «Un utilizzo mediatico dello strumento penale», spiega a L'Espresso Marco Pelissero, ordinario di diritto penale presso l’Università degli Studi di Torino che non vede "i presupposti per costituire un reato universale della maternità surrogata, considerando che in altri Stati a determinate condizioni la maternità surrogata è consentita”. Insomma, i progetti di legge e la propaganda del governo Meloni appartengono al migliore dei mondi mediatici possibili richiamando slogan altisonanti (“reato universale”, appunto). Ma la pratica meloniana misurata con il metro della giurisprudenza appartiene invece al mondo inferiore della fantapolitica.
 



Professor Pelissero, cosa pensa della proposta di legge che vuole estendere la “perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all'estero da cittadino italiano”?
«A me pare che in questo caso, rispetto a fatti che in altri ordinamenti sono regolamentati a seconda dell’ordinamento che consente la maternità surrogata, non ci siano i presupposti che giustificano un’espansione dell’intervento penale di questo tipo. Abbiamo dei casi nei quali la giurisdizione italiana si applica a dei fatti commessi all’estero da chiunque siano stati commessi. L’articolo 7 del codice penale individua una serie di reati sulla base del principio di universalità, cioè l’idea secondo la quale ci sono reati così gravi che giustificano l’intervento del sistema penale italiano indipendentemente da dove il reato è stato commesso o dal soggetto che lo ha commesso, questo giustifica l’intervento. Ma non qui».

Per quale motivo?
«Vi è innanzitutto un problema nei rapporti tra legislazione: all’estero il fatto viene considerato lecito ma per chi lo pratica diventa illecito. Si creerebbe una situazione paradossale. La posizione che ha assunto la Corte Costituzionale – ma anche di Cassazione - sulla tutela delle persone in condizione di maternità surrogata pone a mio avviso la necessità di non intervenire mediante un’ulteriore incriminazione delle condotte per fatti commessi all’estero. Lì è un problema di opportunità. È un esempio di diritto penale puramente simbolico: la ricerca spasmodica del controllo penale rispetto a fatti che in altri contesti assumono una dimensione completamente diversa. Anche io ho dubbi sulle pratiche di maternità surrogata ma non è questa la via giusta».

Da diversi anni rimbalza sulla bocca di moltissimi politici, soprattutto di destra il concetto di “reato universale”.
«Viene da chiedersi cosa voglia dire perché nel linguaggio giuridico non esiste. Possiamo parlare di reati come crimini di guerra o contro l’umanità, cioè reati che la comunità internazionale ritiene presentino una criminosità manifesta che giustifica una repressione ad ampissimo raggio. Ma qui non vedo i presupposti per costituire un reato universale della maternità surrogata quando in altri Stati, a determinate condizioni, la maternità surrogata è consentita».

Ma cosa si può intendere con “reato universale”?
«Indica che ci sono reati così gravi che vanno repressi ovunque siano stati commessi, in alcuni casi da chiunque siano stati commessi. La punibilità all’italiano che commette il fatto all’estero. Pensiamo alla prostituzione minorile: c’è un articolo che prevede che se il reato è commesso all’estero è punibile anche l’italiano che lo commette. Qui si vorrebbe operare in modo analogo ma la giustificazione che porta il nostro sistema penale a estendere l’ambito della sua applicazione è una questione evidentemente politica. Ci sono alcuni reati che il legislatore ritiene così gravi da giustificare un’estensione dell’applicazione della legge penale. In un contesto come questo ho dei forti dubbi sulla scelta dell’estensione della legge penale».

Una proposta di legge che non trova condizioni di applicabilità.
«Non ci troviamo né di fronte a quei crimini contro l’umanità – che ovunque e da chiunque sono commessi sono repressi - né fatti che presentano una dimensione di una gravità tale su quale c’è condivisione della comunità internazionale (come la tutela del minore rispetto al traffico della prostituzione). Qui la norma penale interverrebbe a sanzionare comportamenti che tenuti in Ucraina piuttosto che in Canada sono leciti secondo quel sistema. Questa è l’abnormità».

Premesso che dati alla mano la pratica della maternità surrogata è comune soprattutto tra le coppie eterosessuali, in Canada e negli Stati Uniti le coppie Lgbt che vi fanno ricorso sono residuali e in Ucraina non sono ammesse. Eppure la narrazione con cui viene presentata questa legge colpisce soprattutto le famiglie arcobaleno, dovesse passare sono a rischio i figli dei genitori dello stesso sesso?
«No, per le famiglie arcobaleno le cose non cambiano, sia la Corte Costituzionale che quella di Cassazione hanno detto che sì, la pratica della maternità surrogata costituisce una violazione dell’ordine pubblico (perché da noi è penalmente punita) però hanno anche detto che bisogna attivare la procedura di adozione dei casi speciali, e tutelare soprattutto il minore. Se passasse un disegno di legge di questo tipo, prevarrebbe comunque il principio del superiore interesse del minore».

È un utilizzo molto moralista del diritto penale, non crede?
«Parlerei di chiave etica. Il messaggio che si vuole lanciare è che una condotta, anche se lecita all’estero, per l’Italia resta illecita. Questo uso etico della norma era chiaro già con le proposte di legge Carfagna e Meloni. È sicuramente una questione molto complessa, ma qui si fa un utilizzo mediatico dello strumento penale. L’idea dell’universale rimanda all'immagine di un reato di gravità tale che giustifica una presa posizione del legislatore. Ma non è così».