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Attualità
marzo, 2023

«Lo smog? Con la siccità non c’è più ma non è una buona notizia»

Senza umidità la nebbia sparisce ma l’aria diventa grigia per il fumo. Mentre i camion producono gas e particelle. E le aziende fanno il greenwashing con i crediti ecologici. L’ecologista Gianni Tamino spiega perché un ambiente più pulito richiede cambiamenti di fondo

Almeno dai tempi della “Montagna incantata” di Thomas Mann è risaputo che chi ha problemi ai polmoni deve andare dove l’aria è pulita e secca. Eppure è difficilissimo collegare direttamente i casi di malattie respiratorie all'aria inquinata. Perché? Ne abbiamo parlato con Gianni Tamino, biologo e ambientalista di grande esperienza.

«Bisogna distinguere quello che è l'evidenza scientifica per uno scienziato da quella necessaria per un processo in tribunale. Determinare un rapporto di causa/effetto è difficile quando si parla di aria inquinata, perché possono esserci decine di diverse fonti di inquinamento e quindi non è possibile attribuire a una sola fonte la causa di una certa malattia. Per chi si occupa di scienza e ambiente però il rapporto di causa/effetto è evidente: ovviamente ci troviamo davanti un sistema complesso, ma proprio perché è un sistema complesso noi possiamo dire che a determinare quel problema è stata l'aria inquinata di quella zona. È invece molto difficile attribuire la colpa a una fabbrica o una sola sorgente, a meno che non si abiti vicinissimi a una certa fonte di inquinamento o vi sia una sola sostanza responsabile di una patologia specifica e quella sostanza sia presente nelle emissioni di una fabbrica».

La pianura padana è fortemente industrializzata, e questo provoca sia emissioni dirette che inquinamento per il traffico di camion. Cosa si potrebbe fare per diminuire queste due fonti di inquinamento?
«Il trasporto merci ferroviario in Italia è utilizzato molto poco: la pianura padana con moltissime autostrade è costantemente percorsa da un flusso di camion e di auto, giorno e notte. E i progetti di nuove autostrade vanno verso un aumento del traffico soprattutto verso est: i commerci con i paesi dell’est sono aumentati e si vogliono costruire nuove strade invece di aumentare ferrovie e trasporto marittimo. Perché noi potremmo benissimo imbarcare le merci (e anche i camion) a Genova o Trieste o Venezia su navi e portarle in altri paesi. O sul Po: in teoria si potrebbe arrivare via fiumi e canali vicino a Milano, anche se purtroppo con la siccità di questi ultimi anni questa ipotesi diventa sempre più complicata… Ma in passato il Po poteva essere tranquillamente una via navigabile almeno da Pavia fino a Venezia».

Però ogni volta che c’è un allarme per l’inquinamento delle città del Nord, non si prende mai in considerazione quanto dell’inquinamento dell’aria delle città proviene dalle industrie vicine. Sembra una miopia simile a quella che fa sì che gli effetti devastanti del Covid nelle regioni del Nord non siano stati messi direttamente in relazione con l’inquinamento…
«Gli studi scientifici negli Usa come in Italia hanno mostrato chiaramente che la mappa delle zone con il più alto tasso di mortalità è sovrapponibile a quella dell’inquinamento. E anche in Italia se pensiamo a Bergamo, alla provincia di Milano e al Veneto vediamo che il maggior numero di morti corrisponde alle aree più inquinate. Uno studio dell’Università di Firenze ha messo in evidenza la sovrapposizione tra le zone con i casi più gravi e le aree più inquinate da pesticidi. È per questo che non si deve parlare di pandemia ma di “sindemia”: come Isde (International Society of Doctors for the Environment) ne abbiamo scritto da tempo. Sindemia significa che la pandemia non è uguale in tutte le parti del pianeta ma dipende da fattori sociali, ambientali ed economici. Dove ci sono aree più povere, più inquinate, aree in cui i sistemi sanitari funzionano peggio c’è una concentrazione dei casi più gravi di covid. Non è una malattia solo virale, è una malattia in cui il virus si comporta in modo diverso a seconda delle condizioni ambientali, sociali se vogliamo anche politiche delle varie parti del mondo».

Nella pianura padana c'è una situazione climatica particolare. Fino a pochi anni fa era famosa la nebbia: si diceva che per testare i sistemi di atterraggio con visuale nulla si veniva a Linate e Malpensa perché erano gli aeroporti con condizioni di nebbia peggiori. Oggi invece…
«Oggi la nebbia non c’è più, però è importante fare una distinzione. A causa dei cambiamenti climatici, in un anno di siccità come questo il terreno è meno umido, quindi anche l’aria è meno umida e non succede più che quando si abbassa la temperatura si forma la condensa. Però se faccio una fotografia satellitare della pianura padana vedo un colore omogeneo, grigio giallino, che è l’inquinamento. Non possiamo più chiamarlo smog perché di quella parola, composta da “smoke” e “fog”, è rimasto solo il fumo: uno strato di ossidi d'azoto e polveri sottili».

L’azoto viene dagli allevamenti intensivi? È una fonte di inquinamento che finora era stata trascurata, mentre ora Legambiente chiede regole più restrittive…
«L'inquinamento è una somma di fattori e di cause. Per questo se osservo una polvere sottile raramente posso fare un collegamento con una fonte precisa: qualche volta se faccio un’analisi chimica posso risalire alla fonte, ma l’aspetto esteriore è indistinguibile. Può derivare da una qualsiasi forma di combustione: è la combustione, di qualsiasi genere, la principale fonte dell'inquinamento atmosferico. Per ridurre l’inquinamento bisogna agire su tutte le fonti di combustione: bisogna ridurre l'inquinamento provocato da automobili, autoveicoli e aerei. Ci si dimentica sempre degli aerei, ma in termini di inquinamento per il trasporto di una persona o di un chilo di merce il trasporto aereo inquina dieci o venti volte più del trasporto su gomma, che a sua volta inquina molto di più del trasporto su treno. Per questo dove c’è un aeroporto c’è un aumento di inquinamento».

Ma gli allevamenti? Non producono combustione…
«Agricoltura non biologica e allevamenti intensivi contribuiscono ai cambiamenti climatici perché producono gas serra: gli allevamenti producono metano mentre in agricoltura lo spargimento di sostanze azotate contribuisce all’inquinamento da ammoniaca e alla formazione di ossidi d'azoto, sostanze che contribuiscono a formare polveri e composti che vengono chiamati “inquinanti secondari”. Se si fa un calcolo sulle fonti delle polveri sottili si può dire che un terzo è direttamente prodotto dai camini di una fabbrica, di una centrale termoelettrica, di un inceneritore, di un tubo di scappamento, del cammino di una casa. Gli altri due terzi però sono “inquinamento secondario”, causato dalla presenza di ossidi d'azoto, ossidi di zolfo e altre sostanze, come l’ammoniaca, che derivano in gran parte dalle attività agricole. In Lombardia e nel Veneto si ritiene che addirittura le polveri secondarie siano tre volte più frequenti delle primarie».

Le polveri secondarie sono più pericolose?
«Le polveri secondarie sono tra quelle più sottili e secondo l'agenzia dell’Oms per le ricerche sul cancro, che ha sede a Lione, le polveri sottili sono cancerogene perché al loro interno c’è un aggregato di sostanze pericolose: metalli pesanti, diossine, idrocarburi policiclici aromatici. Sono tutte sostanze notoriamente in grado di produrre tumori ma anche malattie cardiovascolari, malattie respiratorie e di vario genere. E lo fanno per accumulo, perché le polveri più sottili penetrano, attraverso gli alveoli dei polmoni, nel sangue, e da lì vanno a finire in tutti i tessuti del corpo umano».

Cosa si potrebbe fare concretamente per ridurre l’inquinamento di origine industriale?
«Il primo punto è sostituire le combustioni con altre attività non inquinanti: sostituire le centrali termoelettriche con centrali a fonti rinnovabili, le automobili con mezzi di trasporto, soprattutto pubblico, meno inquinanti o elettrici, per il riscaldamento e il rinfrescamento devo usare pompe di calore alimentate con pannelli solari. Per le industrie si deve pensare sempre più all'uso di combustibili non inquinanti come l'idrogeno, come si è pensato di fare per l’Ilva a Taranto. Lo stesso discorso vale per tutte le acciaierie, anche di piccole dimensioni: nella zona dove vivo io, tra Vicenza, Padova, Treviso e Venezia, ci sono sparse una quantità di piccole acciaierie di secondo livello che sono le più pericolose perché recuperano l’acciaio dai rottami, che producono una quantità di sostanze pericolose. È importante anche passare il più possibile a logiche di economia circolare, cioè produrre oggetti che possono essere riciclati senza creare inquinamento. Ma la prima cosa è sostituire le fonti di combustione con altri tipi di fonti di energia. Non dimentichiamo che la natura usa l'energia solare per riciclare la materia, nelle industrie invece usiamo la materia, bruciandola, per ottenere energia: è l'opposto di quello che fa la natura, ed è un errore».

Anche la politica che permette alle aziende di produrre Co2 in Italia purché acquistino crediti ecologici chissà dove non aiuta la situazione nella pianura padana…
«Ah quella è una follia, io posso comprare crediti per esempio semplicemente comprando un territorio dove si piantano alberi come se questo risolvesse l’inquinamento che produco con la mia azienda. Oltretutto un albero di cinquant’anni assorbe anidride carbonica, ma quando è piccolo e magari lo devo innaffiare, invece di risparmiare energia ne consumo».

E l’altra soluzione su cui le industrie puntano molto è il carbon capture, la cattura dell’anidride carbonica dall’atmosfera e lo stoccaggio nel sottosuolo.
«Questo non è solo illogico ma criminale, è qualcosa contro cui mi sono battuto e mi batto in particolare nella zona di Ravenna, dove Eni propone un'ipotesi che chiama “economia circolare”ma che non ha niente a che vedere con quella descritta dall'Unione europea. Sono tutte operazioni di greenwashing, passano attraverso le etichette di economia verde, green economy, economia circolare ma non c'entra niente con la vera economia circolare. La logica di sottrarre l’anidride carbonica e metterla nei pozzi da cui si è estratto il metano, come vuole fare l’Eni vicino a Ravenna è follia totale, perché nel momento in cui per un qualunque motivo di bradisismo di terremoto di questa Co2 due uscisse tutta d'un colpo creerebbe effetti estremamente negativi che noi non siamo in grado di controllare. E infatti non è una tecnica consolidata ma una ipotesi sperimentale, la maggior parte del mondo scientifico la considera poco credibile. Ora Eni propone di produrre biometano partendo dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani, ma questo è un altro problema…»

Che conseguenze negative ha un procedimento di questo genere?
«Una delle fonti importanti di inquinamento deriva dalla gestione sbagliata dei rifiuti. Discariche, inceneritori, biodigestori di frazione organica dei rifiuti solidi urbani, o anche mettere i rifiuti come combustibile nei cementifici: tutto questo avviene nella pianura padana».

È un quadro davvero scoraggiante…
«Ma è importante cogliere il quadro d’insieme: se non vedo l'insieme, il particolare non lo capisco. Bisogna capire che tutti i diversi tipi di inquinamento e tutte le emergenze che abbiamo in questo momento - i cambiamenti climatici, l'inquinamento dell'aria, l'inquinamento dell'acqua, le pandemie - sono tra loro collegati da un errore comune: quello di gestire tutto in un modo che non è coerente con l'economia della natura, cioè utilizzo di energia solare e riciclo della materia».

Ma questo richiederebbe anche un movimento politico importante. È molto più facile dire al cittadino vai a piedi, porta la boccia d’acqua, non mangiare carne e sentiti in colpa se non ti comporti così…
«I comportamenti individuali e gli stili di vita sono importanti. Ma per influire sui punti più rilevanti, che sono le produzioni industriali e le produzioni di energia, ci vuole una governance comune a tutto il pianeta, a cui deve corrispondere un buon governo a livello regionale. Altrimenti non ne verremo mai a capo».

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