Per fare chiarezza sulle responsabilità del naufragio gli avvocati delle famiglie delle vittime hanno depositato una memoria alla Procura di Crotone. Che L’Espresso ha letto

Chi ha lanciato il mayday. A quale imbarcazione si riferiva il messaggio di emergenza diramato dalla Capitaneria di Porto. Chi ha ricevuto a valutato la segnalazione di Frontex. Sono nove in tutto i punti che gli avvocati difensori delle famiglie delle vittime del naufragio di Steccato di Cutro, avvenuto lo scorso 26 febbraio, evidenziano nella memoria indirizzata alla Procura di Crotone. Per indicare, come scrivono Giovanni Tizian e Nello Trocchia su Domani, le piste da indagare per capire perché quasi 200 persone in viaggio da 4 giorni siano rimaste in balia del mare in tempesta, per poi naufragare a poche miglia dalle coste crotonesi. Con l’obiettivo di chiarire le responsabilità gerarchiche e politiche, visto che i destini delle vittime, che ad oggi sono 86, sarebbero potuti essere diversi. Persone che «in quanto perseguitati, avevano diritto di giungere in Europa per chiedere la protezione internazionale».

 

Ecco nel dettaglio alcune delle domande poste. Il 24 febbraio 2023 alle 20:51 la Capitaneria di Porto di Roccella Ionica ha ricevuto una segnalazione di “mayday”. Ma non è ancora chiaro da quale imbarcazione sia arrivata. Il 25 alle ore 04.57 il Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto ha diramato un messaggio di “distress” a tutte le navi del Mar Ionio per un possibile natante in situazione di emergenza. Ma non si sa se sia lo stesso che ha lanciato il “mayday”. Sempre sabato 25 febbraio, alle 23.03 Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, ha segnalato una barca probabilmente piena di persone sottocoperta che stava navigando con mare molto mosso. A circa 40 miglia dalla costa e senza salvagenti visibili a bordo. Ma nella notte tra il 25 e il 26 febbraio si sono attivati i mezzi navali della Guardia di Finanza per raggiungere l’imbarcazione. Non quelli della Capitaneria di Porto. Nonostante «nei porti di Crotone e Roccella Jonica fossero presenti nei giorni considerati (almeno) due motovedette SAR», adatte alla ricerca e al soccorso in mare.

 

Come scrivono gli avvocati, il naufragio è avvenuto in una zona in cui gli sbarchi di migranti nell’ultimo decennio sono stati frequenti: perché gli occupanti delle imbarcazioni non sono stati tratti in salvo, oppure le barche non sono state scortate fino al porto, come è successo altre volte quando le condizioni del mare erano proibitive? «Come il 9 settembre 2020 (e in molti altri casi) quando la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera hanno soccorso un’imbarcazione con 97 persone a bordo in balia delle onde con mare forza 5 diretta sullo stesso tratto di costa». 

 

Secondo i difensori delle famiglie delle vittime sarebbe necessario «rintracciare il natante da cui è partito il mayday», per individuare la sua posizione e scoprire se si tratta della stessa imbarcazione naufragata a cui si riferiva il messaggio di distress. Per capire anche se «le autorità abbiano operato in conformità quando hanno appreso la notizia che una barca con persone a bordo si dirigeva verso le coste». E chi abbia ricevuto e valutato la segnalazione di Frontex.

 

È fondamentale definire le basi su cui le Autorità hanno agito nelle ore precedenti al naufragio per spiegare come mai una barca piena di migranti non sia stata trattata come caso Sar. Capire se sulle decisioni prese ha influito l’Accordo operativo del ministero dell’Interno del 14.9.2005, introdotto dal governo Berlusconi ma a cui Matteo Salvini, da ministro dell’Interno, ha chiesto di attenersi scrupolosamente. Secondo il protocollo in caso di «localizzazione di natante che trasporta immigrati clandestini, localizzato oltre le 24 miglia dalla linea di base ma non in situazione Sar» le unità navali «devono limitarsi ad assicurare il monitoraggio dei movimenti del natante stesso». Anche se, si evince da tutte le fonti della giurisprudenza citate nella memoria, «l’obbligo di salvaguardare la vita umana in mare ha il primato assoluto rispetto a tutte le altre finalità connesse alla sorveglianza delle frontiere marittime».

 

I punti da indagare affinché la tragedia non venga confinata nell’oblio della fatalità sono ancora tanti. Ma, come si capisce dal documento depositato lo scorso 14 marzo al Procuratore di Crotone Giuseppe Capoccia, che coordina l'inchiesta sul naufragio, anche la difesa è intenzionata a fare quanta più luce possibile sulle sue cause perché «la tradizione di un popolo si tutela con la verità». E soprattutto, scrivono gli avvocati, «per il rispetto che il Paese deve, in tutte le sue componenti, alle bambine e ai bambini, alle donne e agli uomini che sono morti a poche decine di metri dalla meta, e dai loro familiari».