«Siri, apri la finestra? Siri, accendi la luce?». Fino a qui ci siamo arrivati tutti. Ma l’intelligenza artificiale è andata oltre. Fino ad accettare domande molto più complesse. Un esempio? «Crystal, confronta l’andamento dei costi del trimestre in Europa rispetto al budget annuale di Gruppo» oppure «Crystal, confronta i contratti stipulati nel 2022 rispetto al 2021 in base a importo e durata».
L’intelligenza artificiale cresce e si moltiplica. Ci siamo appena abituati a parlare con il cellulare riguardo alle incombenze quotidiane che arriva ChatGpt, e la possibilità di creare testi a comando per ogni necessità di singoli utenti scatena polemiche feroci. La programmazione però è già andata oltre e programmi come Crystal portano l’intelligenza artificiale al servizio delle aziende per la gestione dei Data Analytics. Tecnicamente si chiama “Gpt per i numeri”, che significa che l’intelligenza artificiale permette il dialogo tra banche dati all’interno dell’azienda o tra aziende diverse.
Crystal è nata a Milano, è legatissima alle radici italiane ma è cittadina del mondo: non solo perché il mercato della tecnologia non conosce confini, ma perché l’azienda che l’ha creata, iGenius, ha sedi anche a Losanna, Londra e New York, e il suo fondatore, Uljan Sharka, di origini albanesi, porta nell’orgoglio delle tradizioni culturali e imprenditoriali italiane la forza di una formazione multiculturale. «Il nostro focus è costruire il software con lo stesso amore, con la stessa precisione e con la stessa qualità con cui in Italia produciamo la moda, il food e tutti gli oggetti dell’industria manifatturiera», spiega Sharka. «La nostra bandiera porta con sé tutta una serie di valori qualitativi che tutti conosciamo. E che, soprattutto, il mondo intero riconosce».
Come nasce l’idea di una ChatGPT per le aziende? «Avevo notato da tempo che mentre i cellulari sono facili da usare, i sistemi informatici sono pensati solo per gli “addetti ai lavori”», racconta Sharka. «Per questo, all’interno delle aziende si è creata una divisione profonda tra i tecnici, gli unici in grado di sfruttare pienamente le tecnologie digitali, e tutti gli altri, che non le capiscono. Forse nessuno lo confessa, perché ammettere di non saper usare le tecnologie è una vergogna: ma la realtà è che ognuno di noi a casa oramai può parlare con la macchina del caffè mentre al lavoro ci troviamo a dover usare sistemi sempre più complicati».
È per lavorare su questo che, dopo un’esperienza alla Apple a San Jose, in California, nel 2016 Sharka ha fondato a Milano iGenius, «per ridurre la distanza tra i prodotti di ampio consumo e quelli per le imprese. Per questo è nato Crystal, un software che umanizza la tecnologia, la rende universalmente accessibile all’interno delle aziende. Utilizza l’intelligenza artificiale generativa per rendere fruibili a tutti i dipendenti quei dati che finora sono ben nascosti all’interno dei data base delle aziende e molto spesso poco (o male) utilizzati».
È stato un lavoro lungo, andato avanti in parallelo con quello di OpenAi, l’organizzazione americana che a fine novembre scorso ha lanciato ChatGpt: «Open Ai ha iniziato a lavorare nel 2015 intorno ai dati non strutturati – testi, immagini e video. Noi invece nel 2016 abbiamo deciso di sviluppare una tecnologia specializzata sui numeri interni delle aziende».
A marzo Sharka ha presentato Crystal al mercato mondiale riunito al Gartner Data & Analytics Summit di Orlando, in Florida. L’interesse, assicura l’imprenditore milanese, è legato al Dna italiano del prodotto: «Che il nostro fosse un approccio originale lo dimostrano i profili dei primi collaboratori del mio team: persone che venivano dal mondo dell’arte, del design e della moda collaboravano con gli ingegneri informatici che sviluppavano il software. Così il software è stato da subito legato alla bellezza».
Ma questa idea di umanesimo del software, quanto è legata alla cultura italiana e quanto alla visione di Steve Jobs? «Mettere le persone al centro non significa solo creare un prodotto facile da utilizzare ma creare un sistema che rende tutti uguali, in quanto tutti capaci di usare la tecnologia. Il nostro umanesimo vuole abbandonare l’approccio totalmente chiuso che pensava solo alla tecnologia e non a chi dovesse usarla».
Rendere tutti i dipendenti in grado di utilizzare il tesoro di dati che la loro azienda ha a disposizione è anche un gradino verso la costruzione di una intelligenza artificiale migliore in quanto condivisa: «Si parla molto dei pericoli dell’intelligenza artificiale in termini fantascientifici. Il vero rischio non è che essa prenda il controllo sull’umanità, ma che rimanga nelle mani di pochi. Rendendo le singole aziende, dalle più grandi alle medie e piccole, in grado di beneficiare delle innovazioni, possiamo contribuire a creare un’intelligenza artificiale democratica ed egualitaria».
Intanto le polemiche intorno a ChatGpt hanno già portato ad allarmi sull’intelligenza artificiale che ruba il lavoro agli esseri umani. Se i dati li analizza Crystal, cosa resterà da fare ai “data analyst”? «Crystal è pensato per essere utilizzato da tutti, non solo dai tecnici. Ma questo non vuol dire far perdere posti di lavoro, anzi si creano nuove competenze. Già oggi vediamo che nostri clienti lo utilizzano per gli ingegneri degli impianti di produzione oppure per ottimizzare le reti commerciali. I tecnici serviranno ancora, probabilmente con funzioni diverse e complementari alla loro specializzazione che, ad oggi, non è utilizzata al meglio».
L’intelligenza artificiale, se usata bene, dovrebbe migliorare il lavoro dei tecnici, togliere la parte meno interessante e lasciare quella creativa: «Oggi i tecnici fanno tutto tranne quello che dovrebbero fare, quello per cui hanno studiato e si sono specializzati: dovrebbero creare i migliori algoritmi per la manutenzione predittiva o per sistemi di marketing avanzati che personalizzano le campagne verso i clienti, per non parlare della gestione del rischio, che può avere un impatto gigantesco nel mondo incerto in cui viviamo. Questi algoritmi di fatto oggi non vengono sviluppati perché i tecnici che sarebbero in grado di farlo devono occuparsi d’altro».
Ma davvero l’intelligenza artificiale può metterci in condizione di prevedere il futuro, di evitare i rischi? «Non è certo una sfera di cristallo», spiega Sharka. «È però vero che la tecnologia, elaborando i dati del passato, permette di ipotizzare, con margini di accuratezza sempre più crescenti, cosa potrà accadere nel futuro. Poi per adattare le ipotesi alla realtà serve sempre quella combinazione di intuito e di capacità che hanno solo gli umani. Le informazioni non raccontano il futuro ma possono aumentare la capacità delle persone di interpretarlo e di adattarsi alle situazioni che si possono creare. L’intelligenza artificiale permette quindi di combinare le due forze, quella dell’uomo e quella dei dati. Il risultato è un’intelligenza aumentata che ci può permettere di raggiungere i risultati migliori».