«Sono le mani dello Stato sul corpo della donna» spiega a L’Espresso Carlotta Vagnoli, scrittrice, transfemminista. Con tono fermo retroillumina una politica di governo che decide sulle scelte delle donne e alla fine sull’autodeterminazione di chiunque. Voce di una generazione che resiste, seguita su Instagram da più di trecentomila follower, posa lo sguardo, più largo, più alto, di chi si mette in ascolto in un tempo blindato e indica l’inceppo di questo tempo: la tentazione, evidentemente irresistibile, di far fare alle donne marcia indietro nel tempo.
Dal 2017 fa lezione in medie e superiori sulla stereotipizzazione e la violenza sulle donne: «Ma qualcosa è cambiato», racconta «la violenza di genere è percepita da presidi e genitori come un tema divisivo». L’ossessione incessante, l'ansia di governo e di controllo dei corpi femminili, non l'unica certamente è molto pericolosa. «Un governo con un’agenda politica molto violenta che prende questi temi e li mette in bocca a una donna per smorzarli». La soluzione ci sarebbe dice lei che proprio dal suo profilo social fa spazio a temi come inclusione, femminismo e rispetto delle comunità marginalizzate: «Resistere e uscire per strada». Abbandonare i social. Ritrovarsi fisicamente. Fare in modo che i pensieri e le mani si muovano insieme, capire che è arrivato quel momento della storia in cui le parole si trasformano in gesti e si fanno corpo.
Carlotta Vagnoli, sulla donna che ha deciso di non fare da madre al piccolo Enea si sono mossi moltissimi. Gli appelli si sprecano dai media a personaggi dello spettacolo. Che ne pensa?
«Questa è una violenza. Ricordiamo che la “gestazione” non equivale a “maternità”, sono due cose profondamente diverse. Il nostro ordinamento prevede che ci sia la possibilità di accedere a un parto segreto e che non venga diffuso né il nome della gestante, né il luogo in cui ha visto la luce, né il nome del bambino. Invece conosciamo il peso, la data di nascita tutto fuori da ogni concezione di regola che dovrebbe disciplinare la segretezza del parto a cui ci si può appellare. Siamo di fronte a una violenza perché viola la richiesta di anonimato di una donna. Richiesta che viene per una serie di motivi che possono andare dal non voler fare da madre a non poter far la madre, e tutto ciò che sta nel mezzo. Posso mettermi nei panni e immaginare questa donna che vede appelli al telegiornale, si legge chiamata in causa sul giornale. Come si sarà sentita vedendo Ezio Greggio trasformare la sua vicenda in un caso nazional-popolare? Ogni suo diritto è stato calpestato».
Stiamo facendo marcia indietro sui diritti?
«Non facciamo passi in avanti. Ci sono state molte discussioni portate avanti con una retorica legata a una visione profondamente cattolica-fondamentalista che si intreccia ai Pro-Vita. Siamo davanti alla solita fuffa: la madre è solo quella che partorisce il bambino. Frasi rivolte a lei e di riflesso alle madri adottive che non sarebbero vere madri: “La vera mamma sei tu”. È stato un colpo abbastanza brutto. Segnale di un tempo che non evolve. Andiamo contro principi anche giuridici».
C’è un’attenzione particolare di questo Governo sul corpo delle donne. Pochi giorni fa lo ricordava sui suoi sociali: la vicenda della ragazza di quindicenne violentata a Bologna presa dai quotidiani di destra rilanciata da Lega e Fdi per attaccare il Pd.
«C’è una certa attenzione. Questo bisogno costante di voler strumentalizzare qualsiasi caso di violenza o che disciplini il corpo o riguarda il corpo delle donne. È successa una cosa simile nell’ultima campagna elettorale: Giorgia Meloni sui profili social condivise i video di violenza ai danni di una donna senza pensare non solo alla vittima, cioè alla sopravvissuta ma al fatto che potesse essere riconoscibile. Riprendo lo stupro ai danni della ragazza di quindici anni, usato e rilanciato proprio attaccare una parte politica (in questo caso il Pd) colpevole secondo i giornali di destra, Lega e Fratelli d’Italia di non essersi schierata nel protegger la ragazza. Ignorando che il silenzio è forse la miglior medicina per poter guarire e non esponendo la ragazza a dover rivivere la sua vicenda. Dalla ragazza stessa è stata richiesta segretezza e riservatezza sia alla polizia chiamata in loco che ai soccorritori che l’hanno aiutata della Festa di Bologna. Richiesta totalmente ignorata dai giornali di destra che stanno usando questa vicenda per fini elettorali: usare il corpo di una survivor per attaccare il Pd».
Giorgia Meloni è la prima Presidente del Consiglio donna. Molti analisti hanno scritto: ha rotto il tetto di cristallo.
«Il programma di governo di Fratelli d'Italia e della destra al Governo è molto violento su certi temi. Metterli in bocca a una donna equivale a smorzarli. Da una parte c’è il valore che Giorgia Meloni vuole impersonificare facendosi chiamare "il” Presidente del Consiglio, cioè il valore ancora maschile. Dall'altra ha giocato le carte dell’amabilità. L’amabilità è “io sono Giorgia, sono una donna, sono una mamma, sono cristiana”. Con questo strumento è riuscita a fare pesca a strascico nel bacino di un elettorato ancora incerto che non sapeva chi votare perché non voleva votare forse troppo a destra. Una figura femminile riusciva a smorzare questa indecisione, dando quel senso di accudimento che ancora ci portiamo a doppio nodo. E questo senso di accudimento viene proprio da una stereotipizzazione per cui la campagna elettorale Meloni ha giocato tantissimo. Non siamo davanti a un esempio di donna da ammirare in questo senso, non necessariamente donna vuol dire garanzia di diritti verso le donne. Il tetto di cristallo non lo si rompe così. Lo si rompe se facciamo passare i diritti e l’autodeterminazione di tutte le donne e nel programma di questo governo non c’è niente che mi porta a pensare che si vada verso l’autodeterminazione».
A proposito di programma di governo: il Parlamento si prepara ad approvare un disegno di legge per rendere la gestazione per altri, “reato universale”.
«Chiamata orrorificamente “utero in affitto”. Viene portata avanti mostrificazione della pratica quando, laddove gestita seriamente e disciplinata, è molto utile sia per le coppie omogenitoriali che quelle eterosessuali (che sono quelle che ne usufruiscono di più). Penso che quello che conti sia l’autodeterminazione. Se questa pratica è disciplinata in modo legale e serio penso possa essere molto utile. Il corpo della donna deve sentirsi libero di poter avere tutte le scelte che si sente di portare avanti».
Lei fa dei corsi formazione insieme ad alcune formatrici e psicologhe dei centri antiviolenza nelle scuole superiori. Ha avuto difficoltà?
«Negli ultimi anni sì. Mala tempora currunt. È capitato sia che presidi, che genitori di alunni e alunne si siano opposti a questi corsi. Se pensiamo ancora che la violenza di genere sia una tema divisivo, che possa quindi essere problematico per studenti e studentesse, vuol dire che c’è stato un lavoro sopraffino a livello politico e abbiamo fatto passare temi sulla parità su integrazione come temi di campagna elettorale. Ci sono stati presidi che hanno detto: sono temi di sinistra. In realtà sono temi universali. Ci troviamo di fronte ai risultati di campagne elettorali fatte con i piedi anche da parte di alcuni partiti di sinistra. La questione è politica? Certo, la politica deve finanziare i centri antiviolenza, i corsi alle persone che fanno accoglienza alle donne che vogliono denunciare o arrivano al pronto soccorso. Ma la questione è soprattutto culturale e la cultura riguarda chiunque. Non può essere usata come baluardo all’interno di un programma politico».
È come se per questo governo la donna possa essere solo madre, lo diceva prima. L’identità della donna è inseparabile da quella di genitrice.
«Oltre alla gpa guardiamo al grande svuotamento fatto nel tempo con la 194, legge imperfetta, lo riconosco. Ma la sua applicazione è diventata quasi impossibile: ci sono ospedali che hanno il 100% di medici obiettori. Ci sono in alcuni comuni giunte di Fratelli d’Italia gemellati praticamente con i Pro-Vita e questi vengono infilati negli ospedali, nei consultori. Per questa politica la donna deve essere madre e lo è dal momento del concepimento. Sono le mani dello Stato sul corpo della donna. Fuorigioco il ruolo del padre, non esiste: il caso di Enea che, cito “non può stare senza la sua vera mamma” esclude dai giochi il ruolo del padre e la sua responsabilità genitoriale. Il padre dov’è? Nessuno lo nomina. Ci dice qualcosa».
Dove si possono fare esercizi di resistenza dentro questo tempo. Sui social?
«I social sono una grande piazza su cui le persone si lanciano in analisi e politiche spesso feroci. Ottime per la campagna elettorale perché la polarizzazione porta a consenso e dissenso. Per fare resistenza però vedo che si stanno riprendendo dimensioni più urbane: piazze, strade, collettivi. Pensiamo a Ultima Generazione che fa una resistenza dal basso e dalla strada. Tornano forme più pure di opposizione. Abbiamo declinato ai social buona parte delle nostre vite, siamo tranquille e riposate mentre postiamo analisi. Ma il dialogo deve riprendere dalla cultura e dalle piazze. Ci si ritrova fisicamente e si lotta con i corpi».