Esclusivo

Pasolini, parla l’ex boss Abbatino: «Recuperai il film Salò ma del delitto non so nulla»

di Simona Zecchi   17 aprile 2023

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“Il Freddo” della banda Magliana ammette di aver trafugato le pellicole, ma nega la partecipazione all’omicidio dello scrittore-regista. E smentisce la foto che lo colloca all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975. «Ero in carcere. Pronto a collaborare con la magistratura». Il magistrato Otello Lupacchini conferma

La notte tra il 1° e il 2 novembre del 1975 è stato ucciso barbaramente Pier Paolo Pasolini, lo scrittore più scomodo del ’900 italiano. Quante altre persone vi abbiano partecipato, a livello giudiziario, a parte la condanna di Pino Pelosi, non è mai stato stabilito. Di certo c’è solo che Pelosi non fosse solo. A sentire l’ex capo del nostro vecchio controspionaggio (il Sid), Gian Adelio Maletti, lo scrittore, intercettato e seguito nei giorni precedenti al suo assassinio, era visto dal Servizio con «sospetto» per la sua «posizione anti-istituzionale». (Come risulta in uno scambio di mail con chi scrive dell’Aprile 2020).

Se si riavvolgesse il nastro per tornare a quella notte e ripercorrere tutti i passi fatti – spesso falsi - dalle varie inchieste aperte dopo l’unico processo (1976-1979) non basterebbero libri e articoli. Come del resto è stato fatto in questi anni da scrittori, registi, giornalisti e avvocati cercando risposte a quella morte oscura derubricata per molto tempo come un “fattaccio” di torbida violenza sessuale.

Dopo la chiusura nel 2015 delle ultime indagini preliminari presso la Procura di Roma, tutto - almeno dal punto di vista giudiziario e investigativo - sembrava ormai tornato a sonnecchiare compresa la pista già battuta del furto delle bobine di Salò. Poi nel 2022 la Commissione Antimafia ha voluto aprire uno squarcio su questo silenzio, e approfittando della disponibilità dell’ex boss della Banda della Magliana, Maurizio Abbatino - sentito in quel momento per altre vicende - è riuscita, attraverso un comitato ristretto guidato dalla deputata Stefania Ascari, ad aggiungere qualche tassello in più. La Commissione antimafia ha audito anche altre persone – in seduta segreta - che possono fornire un contributo alla vicenda.

La foto all’Idroscalo e la presenza smentita di Abbatino all’Idroscalo

Il 12 aprile è andato in onda su La 7 l’approfondimento di Andrea Purgatori sul “Caso Pasolini” dove tra le altre cose è stata affrontata la questione della presenza di Abbatino sulla scena del delitto, intorno al corpo martoriato del poeta, la mattina del 2 novembre. È stato affermato che Abbatino fosse presente la sera stessa dell’agguato, secondo l’ipotesi che a condurre il poeta all’Idroscalo sia stata una trappola ben orchestrata. La foto ormai iconica, con l’indicazione della sua presenza, circola dal 2014 e precisamente dall’uscita del romanzo Bolero di Carmine Abbate (edizioni Piemme). Da allora su alcuni media quella presenza è stata indicata con certezza, e anche in trasmissione la cosa è stata ripetuta, pur chiarendo che l’ex boss ha sempre negato di essere lui quel ragazzo riccio ritratto dietro un ex agente con la giacca di pelle.

Abbatino, che ha accettato in esclusiva di parlare con L’Espresso, attraverso il suo avvocato Rosario Scognamiglio, ci invia il tabulato del Dipartimento dell’amministrazione giudiziaria (Dap) nel quale è scritto chiaramente che Abbatino dal 23 maggio al 23 novembre 1975 era in carcere. Il magistrato Otello Lupacchini, che degli atti giudiziari di quella banda conosce l’intera enciclopedia, conferma a L’Espresso che in quel periodo i personaggi che poi assurgeranno alle cronache come componenti della banda della Magliana, operando dalla fine del ’77 sino agli anni 80-90, non avevano ancora né l’organizzazione né il potere che poi avranno per poter disporre di guardie carcerarie, dirigenti sanitari e forze di polizia, entrando e uscendo così dal carcere o dagli ospedali.

Emerge dunque un altro dubbio da sciogliere sul furto delle bobine di Salò sottratte insieme ad altre pellicole (in tutto 74) la settimana dal 14 al 18 agosto del 1975 dagli stabilimenti della Technicolor sulla Tiburtina vicino a Casal Bruciato, una borgata romana. Per la restituzione di quelle “pizze” vennero chiesti 50 milioni delle vecchie lire. Il regista, d’accordo con la società Pea, deciderà alla fine di montare le scene mancanti diversamente e il 16 ottobre di quell’anno la Pea comunicherà alla stampa che il film sarebbe stato montato con altre scene, non aderendo dunque al ricatto dei ladri, i quali ripetendo la richiesta da New York, avevano fatto recapitare a Roma alcuni estratti delle bobine (notizia del 7 ottobre 1975).

Ma che a Pasolini interessasse recuperare il lavoro perduto è un fatto confermato da più fonti anche acquisite dalla Commissione Antimafia. L’organismo d’inchiesta parlamentare ha anche acquisito l’intervista del marzo 2022 rilasciata a chi scrive dall’ex poliziotto Nicola Longo che dichiarò di aver fatto recuperare le bobine tutte (anche quelle dei registi Fellini e Damiani) in seguito all’intermediazione di un boss. 

La Banda tra mito e realtà.
Durante la trasmissione tv Atlantide il regista David Grieco senza accennare alla dichiarazione dell’ex poliziotto, ex agente Sismi ed ex Dea americana, ha dichiarato che ad aver fatto recuperare le bobine è stato l’altro ex boss della Banda, Renatino de Pedis, nome mai pronunciato pubblicamente da Longo. Alla luce della novità, il magistrato Lupacchini riflette: «Spesso il racconto sulla Magliana si confonde tra mito e realtà, allontanandoci così dalla ricerca della verità già complessa». E ancora, a sottolineare quanto da lui appurato sul collaboratore di giustizia: «I fatti riferiti dall’Abbatino trovarono puntuali riscontri nelle risultanze della rivitalizzata attività investigativa e sarebbero stati fondamentali, se correttamente utilizzati, al fine di sciogliere, fra gli altri, molti nodi relativi alla ricostruzione di episodi sulla strategia eversiva dei primi anni Ottanta».

La complicata storia del furto di Salò.
«Era estate, che per me va da maggio a settembre circa; i miei ricordi non sono precisi purtroppo. Il posto è una delle poche cose che però ricordo bene e non era sulla via Tiburtina in sé. Ero con due-tre persone di cui non ricordo il volto e i nomi», dice Abbatino. Durante l’intervista, autorizzata, gli mostriamo anche molte fotografie di personaggi entrati ed usciti da questa storia. Abbatino riconosce soltanto un volto, quello di Giuseppe Mastini che nel ’75 aiutò ad evadere insieme al suo compagno di reati Mauro Giorgi, ma che non individua come la persona presente il giorno del recupero del materiale. Gli chiediamo con insistenza di fare uno sforzo di memoria su quelle immagini, nel caso in cui potesse riconoscere qualcuno che, interno in qualche modo al mondo di Cinecittà, avesse potuto fare da basista. Ma nulla, Abbatino è sicuro che quelle persone non fossero con lui.

«Uscendo dalla Tiburtina c’è una strada che porta a val Melaina (altra borgata a nord-est di Roma, ndr). Sulla destra della strada c’è una rampa sulla cui cima si trovava un edificio rialzato di massimo due piani, simile a una villa, dove noi entrammo al piano terra. Specifico che era tutto bianco, le pareti gli infissi erano tutti bianchi. Sono disposto a portare sul luogo le autorità qualora si riaprissero le indagini». Il luogo non è dunque uno stabilimento o un deposito e non si trova esattamente sulla via Tiburtina, ma il furto delle bobine è l’unico commesso in quell’anno e anche prima non esistono precedenti. È possibile che questa parte di storia si vada a collocare in un’altra fase: quella della dimostrazione del possesso delle bobine da parte dei ladri per recuperare il fantomatico riscatto. Come abbiamo scritto, è una dinamica questa che si è verificata dopo una telefonata giunta da New York alla sede americana della Technicolor ai primi di ottobre. Abbatino, insomma, avrebbe partecipato non tanto al furto materiale delle bobine, ma coinvolto, sia pure all’oscuro della ragione, nel recupero successivo funzionale al ricatto da cui discende la trappola per uccidere Pasolini con il pretesto della restituzione delle bobine.

Da sciogliere resta il periodo della carcerazione di Abbatino che però insiste: «Ero presente all’accesso in quella villa ma non all’Idroscalo, d’altronde se fossi stato io il ragazzo della foto non avrei avuto alcun problema a dichiararlo, visto che con l’omicidio e con l’agguato non ho nulla a che fare».

«Ho visto poi alcune volte Pasolini gravitare nella bisca del ricettatore Franco Conte in Via Pescaglia alla Magliana – continua Abbatino - lo stesso che mi chiese di accompagnare quei ragazzi a compiere il furto (o a questo punto a recuperare le sole bobine di Salò, ndr) e dove li ho poi riportati. Da quel momento non ne ho saputo più nulla. Colloco questa presenza dopo quell’accesso alla villa». E ancora: «Adocchiai la sua Alfa GT veloce simile alla mia, ma Conte mi disse di non toccarla perché “Pasolini è con me”». Tornando poi al furto, Abbatino aggiunge: «Mentre le persone prendevano le bobine, io mi guardavo curioso intorno. C’erano infatti statue, cavalletti e macchine fotografiche. Sapevano esattamente cosa andare a cercare in quel posto al piano terra somigliante a uno studio». Ecco perché all’Antimafia, e a noi, Abbatino dichiara che quell’operazione era stata commissionata, perché le bobine che lui ha visto erano 4 o 5 non 74: qualcuno dopo il furto, molto probabilmente, aveva portato le sole bobine di Salò in un altro posto non lontano dagli stabilimenti, ma certo non alla Technicolor. Ed è questa probabilmente l’operazione precisa orchestrata contro Pasolini di cui Abbatino non era a conoscenza. Ed ecco perché non riconosce nessuno da quelle immagini a lui mostrate che può essere stato coinvolto nel primo vero furto.

«Sono l’unico del sodalizio rimasto a scontare, agli arresti domiciliari, gli anni a me comminati, nonostante il mio apporto come collaboratore – riferisce infine Abbatino – Finirò di scontare la mia pena nel 2032, in tutto 34 anni. Ho notato spesso come nel tempo – non certo per volere del dottor Lupacchini – qualche volta le mie dichiarazioni, non si siano volute affrontare o riscontrare. Spesso non c’è stata la volontà nemmeno di aprire certi argomenti: parliamo di fatti riguardanti alti prelati, uomini politici o funzionari di polizia e capi dei Servizi: «Santovito (ex capo Sismi ed ex P2 ndr) mi mandava a salutare, per dire». Non ho mai negato la mia disponibilità nonostante la protezione mi sia stata tolta durante il processo Mondo di Mezzo. Per l’omicidio Pasolini non sono mai stato sentito né il mio Dna è stato mai estratto , ma visto che risulto in quel periodo in carcere il motivo è presto detto».

Resta ancora però quel punto interrogativo su quello che possiamo definire ormai come l’altro furto di Salò. La disponibilità dell’ex Freddo, a cercare di chiarire questo aspetto, ci ha confermato comunque essere piena.