GRANDI OPERE
Egitto, sorge nel deserto la capitale della propaganda del dittatore al-Sisi
«Per decongestionare Il Cairo e dar vita a una città smart e green», sostengono le autorità. Ma dietro si cela una catena produttiva tutt’altro che trasparente e sostenibile. E il desiderio di controllo del dissenso
A cinquanta chilometri a sud-est de Il Cairo, in direzione del Canale di Suez, sta sorgendo la nuova capitale egiziana. Si tratta di un’area che fino a pochi anni fa era totalmente desertica e che ora sta vedendo sorgere a ritmo forsennato edifici e interi quartieri che andranno a ospitare il nuovo centro di potere egiziano.
L’evoluzione del progetto urbanistico e politico è visibile in modo nitido grazie a immagini e video satellitari che PlaceMarks ha realizzato in esclusiva per L'Espresso e che pubblichiamo per la prima volta.
Dalle immagini si vedono fiorire edifici imponenti, giardini lussuosi imperlati da fontane, grandi viali a sei corsie e l’Ottagono, un’opera mastodontica composta da dieci palazzi di cinque piani ciascuno disposti a forma di ottagoni concentrici che ospiterà il nuovo ministero della Difesa. Un edificio che supera in ampiezza il Pentagono statunitense.
Dietro al progetto c’è ovviamente il presidente egiziano al-Sisi, la cui leadership nel paese è stata definita come autoritaria sia dal Parlamento europeo che da ong come Amnesty International e Human Rights Watch. In quanto comandante in capo delle Forze armate egiziane, nel 2013 al-Sisi ha guidato il colpo di Stato militare che ha destituito l’allora presidente Morsi per poi prendere il potere nel giugno del 2014. Grazie a un referendum popolarissimo, nel 2019 ha ottenuto una riforma della Costituzione che gli ha permesso di estendere il mandato presidenziale attualmente in corso da quattro a sei anni. Grazie allo stesso referendum, al-Sisi potrà anche presentarsi alle prossime elezioni attese nel 2024, bypassando così il limite dei due mandati inizialmente previsto dalla Costituzione.
Nel 2024 al-Sisi, dunque, potrebbe essere rieletto per altri sei anni, e gran parte della sua campagna elettorale si giocherà proprio tra i cantieri della nuova capitale. Già oggi il suo volto appare impresso su manifesti pubblicitari che in ogni angolo di strada presentano in pompa magna il progetto.
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Le fasi del progetto
La città è stata ridenominata New Administrative Capital e la sua costruzione è partita nel 2015. Nella vulgata ufficiale l’idea è quella di decongestionare Il Cairo, megalopoli con circa 18 milioni di abitanti e una densità che sfiora i 27.500 abitanti per chilometro quadrato, e dunque spostare tutti i centri amministrativi e politici fuori dalla città.
Sul sito ufficiale del progetto si parla di una smart and green city. Tutto sarebbe pensato per minimizzare il consumo energetico, efficientare i trasporti e aumentare l’impiego di energie rinnovabili grazie a tecnologie modernissime, tra cui un sistema di videocamere di sorveglianza e di sensori di movimento in grado di monitorare ogni singolo spostamento nella nuova città.
A dirigere il progetto c’è l’ingegner Khaled Abbas, già numero due del Ministery of Housing for National Project con delega alla costruzione delle nuove città, una pratica in voga in Egitto almeno dagli anni '70 come antidoto alla crescita demografica. In un’intervista rilasciata il 22 dicembre scorso, Abbas ha affermato che la fase uno della costruzione della Nuova Capitale Amministrativa si sarebbe conclusa alla fine di marzo 2023 e che per ora avrebbe interessato una superficie di 40.000 feddan, circa 16.800 ettari ovvero 168 chilometri quadrati. Una superficie di poco inferiore a quella del comune di Milano.
Le fasi successive invece prevedono un grande ampliamento territoriale e il progressivo arrivo dei dipendenti pubblici e del personale delle ambasciate e di altri centri di potere, che dovrebbero trasferirsi dalla loro attuale sede a Il Cairo. L’obiettivo è che la città arrivi a assorbire nei prossimi 10-15 anni una popolazione compresa tra i 6 e gli 8 milioni di abitanti.
Dietro la propaganda
Secondo Alessia Melcangi, professoressa associata di storia e istituzioni del Nord Africa e del Medio Oriente all’Università La Sapienza di Roma e non-resident senior fellow all’Atlantic Council di Washington, «esiste una grande differenza tra ciò che viene raccontato nella propaganda di al-Sisi e la realtà».
La prima differenza sta nell’impatto ambientale della nuova città. Seppur venga raccontata come una smart and green city, la costruzione della nuova capitale amministrativa ha necessitato di ingenti quantità di cemento e un notevole consumo di suolo. Grazie alle immagini satellitari pubblicate qui è possibile vedere i cementifici che macinano incessantemente rocce calcaree per poi cuocerle in altiforni alimentati a petrolio o gasolio. Alcuni di essi risultano di proprietà dell’esercito egiziano e due sono stati costruiti intorno al 2015, presumibilmente proprio per soddisfare il fabbisogno di polvere grigia della nuova città.
La nuova capitale presenta, inoltre, enormi superstrade a sei o otto corsie, sullo stile di città relativamente nuove come Dubai che si sono sviluppate intorno all’automobile. Dai calcoli effettuati da PlaceMarks nella nuova città sono già stati realizzati oltre 800 chilometri di nuove strade.
Già nel 2019 uno studio scientifico firmato da Yasser El Sheshtawy, docente di architettura alla Columbia, parlava di “dubaizzazione” del Medio Oriente e del Nord Africa, cioè della tendenza nata a Dubai di utilizzare architetture iconiche come l’Emirates Towers, Burj Dubai o le World Map Islands come simbolo di prestigio e potere. Stessa tendenza che troviamo anche nella nuova capitale egiziana, dove costruzioni come la Iconic Tower, la torre più alta del continente africano, assumono valore di propaganda politica.
Controllo del dissenso
Il vasto impiego di telecamere e sensori rientra a pieno nel discorso pubblico di al-Sisi, fortemente concentrato sul tema della sicurezza. Ma non è solo questione di ordine pubblico. «In Egitto c’è ancora il trauma di Piazza Tahir e delle proteste che hanno riguardato l’intera regione durante il periodo delle cosiddette primavere arabe - spiega Melcangi - e in questo senso spostare i luoghi politicamente sensibili da Il Cairo verso uno spazio ipermonitorato è una sorta di ipoteca di al-Sisi su eventuali proteste future».
Dalle immagini satellitari sono ben visibili le porte della nuova città, enormi strutture monumentali che da un lato enfatizzano l’accesso alla capitale, dall’altro renderanno possibile il controllo ferreo degli ingressi con posti di blocco o addirittura tecnologie di riconoscimento facciale e monitoraggio di spostamenti e assembramenti.
Vi è poi il tema dell'accessibilità e dell'inclusività. Nonostante le promesse iniziali, la città appare come costruita su misura per il ceto medio-alto, tagliando di fatto fuori le classi meno agiate. Per ora non si intravedono i quartieri pensati per i ceti meno abbienti e più propensi a scendere in piazza in caso di disordini politici o economici.
«La nuova capitale sarà probabilmente un centro fatato per ricchi egiziani, gli unici che potranno permettersi un investimento immobiliare nella nuova zona e che lavorando in determinati settori e con determinati redditi difficilmente avranno motivi per protestare», ha concluso Melcangi.
L’Espresso ha contattato ACUD, l’azienda incaricata della costruzione della nuova Capitale, per chiedere un commento su questi punti. L’azienda non ha mai risposto alle nostre domande.
I terreni, i militari e i cinesi
La costruzione della nuova capitale è stata affidata a una società interamente pubblica ridenominata ACUD (New Administrative Capital Company for Urban Development), che per il 51 per cento è di proprietà dell’esercito egiziano e per la restante parte del Ministero dell'Housing, Utilities and Urban Communities.
La società gestisce terreni enormi, sui quali la città sta progressivamente crescendo. Ma le transazioni dietro questi terreni non sono affatto trasparenti. Nella maggior parte dei casi non è la stessa ACUD a costruire, bensì società terze che comprano i lotti per poi edificare e vendere gli spazi finiti. Un business milionario in un paese in cui il mercato immobiliare rappresenta da sempre uno degli investimenti preferiti dagli egiziani e in cui - in accordo con la costituzione - i movimenti di soldi che riguardano l’esercito non sono sottoposti agli stessi obblighi di trasparenza che riguardano altre voci della spesa pubblica.
Ad ogni modo non è una novità che l’esercito egiziano entri a gamba tesa in attività cruciali per la vita dello Stato. E infatti nell’ultimo prestito da 3 miliardi di dollari che il Fondo Monetario Internazionale ha accordato al Paese nel dicembre del 2022, è stata inserita come clausola l’impegno da parte del governo di al-Sisi di disimpegnare l’esercito da asset come la logistica, l’edilizia e la gestione di infrastrutture a favore dell’iniziativa privata, più trasparente e maggiormente capace di attrarre investimenti dall’estero.
Nonostante questo gli investimenti esteri sulla nuova capitale non mancano. E provengono soprattutto dalla Cina, Paese con cui l’Egitto gode di ottimi rapporti fin dagli anni ‘50. È anche grazie ai prestiti concessi da Pechino che il sogno di al-Sisi sta per divenire realtà. Anche se sul futuro della nuova capitale e della leadership egiziana pesa come un macigno la crisi economica che ha travolto il Paese. Gli indicatori economici sono tutt’altro che favorevoli: dall’inizio del progetto ad oggi, la sterlina egiziana ha visto crollare del 50 per cento il proprio valore rispetto al dollaro Usa e Yuan cinese. Una svalutazione che potrà certamente attrarre investimenti ma che rischia di rendere i debiti difficili da pagare.