La regione Lazio guidata dalla Destra, sotto pressione degli ultracattolici, nega l’uso dello stemma all’evento per i diritti Lgbt di Roma. Non è la prima volta. E molti degli altri 50 eventi organizzati in Italia vanno avanti da anni senza “benedizione” delle amministrazioni locali

«Le rivoluzioni e il progresso non hanno mai avuto bisogno di patrocini». La sintesi, precisa, la fa Pierluca Mariti sui social Piuttostoche, nella vita vera un comedian di grande talento. È una sentenza gentile che potrebbe chiudere la polemica del mancato patrocinio da parte della Regione Lazio al Roma Pride, la manifestazione sui diritti che dal 1994 invade le strade capitoline. Invece la "polemica del giorno" è destinata ad allargarsi. È la tecnica dell’elefante rosa: se ne spara una al giorno e tutti lì a discutere come se fosse lo stemma della Regione quello che conta, come se fosse un simbolo a poter autorizzare una libera manifestazione e non la Costituzione italiana.

 

Per capirlo basta scorrere i 51 Pride che fino al 16 settembre si avvicenderanno in altrettante città italiane: non tutti riportano lo stemma della propria Regioni o dei comuni. È quasi sempre una questione di colore politico, a destra «amministratori di tutti», purché non siano persone Lgbt che rivendicano diritti e doveri. Enfasi sul quasi, il no del governatore meloniano Francesco Rocca non è stato il primo della storia del Lazio. Nel 1999 a sinistra il sindaco Francesco Rutelli, sotto pressione del Vaticano, non diede il patrocinio al Pride cittadino scontrandosi con l’allora presidente del Circolo di cultura omosessuale “Mario Mieli” Imma Battaglia, come riportano le cronache di quegli anni: «Rutelli ci ha negato il patrocinio della città di Roma perché la nostra marcia potrebbe turbare gli eventi del Giubileo». Dal punto di vista di governo della Regione era solido il “no” di Francesco Storace finché non cambiò l’aria in giunta: da Piero Marrazzo a Nicola Zingaretti, quasi 20 anni di sostegno alle migliaia di persone che giungono da Roma, da tutta Italia e dall’estero e traggono giovamento da un evento che rivendica uguaglianza, dignità e diritti. Un’eccezione a destra che entrò nella storia, quella dell’allora Presidente Renata Polverini che accolse l’Europride di Roma nel 2011 (più di un milione di persone).

 

Su 51 Pride alcuni sono stati concessi, altri sono in attesa, mentre altri non sono stati proprio richiesti. Una questione che gli attivisti e le attiviste per diritti Lgbt chiamano “pratica politica”, il patrocinio al Pride “non si chiede”. Non lo fa Bologna con una regione decisamente friendly come l’Emilia-Romagna, non lo ha fatto Palermo con la Regione Sicilia. Ci ha provato Milano, ma il Consiglio regionale della Lombardia ha bocciato una mozione di Luca Paladini (Patto Civico) che chiedeva, come avvenuto l'anno scorso, che un rappresentante della Regione Lombardia partecipasse al Milano Pride del 24 giugno in rappresentanza dell'assemblea lombarda indossando la fascia verde.

 

Non lo ha chiesto il Coordinamento del Torino Pride alla Regione Piemonte come racconta a L’Espresso il suo portavoce Marco Alessandro Giusta: «Nel caso del Piemonte, non ci interessa il patrocinio di una regione che decide di tagliare sul welfare, che ha portato la sanità al collasso, che infila le associazioni pro vita nei consultori e le finanza con un milione, che non costruisce politiche di contrasto al cambiamento climatico, che sostiene e patrocina iniziative di realtà che fanno dell'attacco alla 194 e all'autodeterminazione la propria bandiera, e che quotidianamente attacca le minoranze oppresse. Il patrocinio rappresenta una forma di adesione e riconoscimento (in questo caso) ad una manifestazione: crediamo che il Pride debba essere libero dall'apprezzamento di chi vorrebbe riportarci nel silenzio e nella paura».

 

«Nel nostro caso - spiega il presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli e portavoce Pride in programma a Roma, Mario Colamarino - Zingaretti ha sempre dato patrocinio a parata Pride. Abbiamo con la Regione da anni un tavolo aperto su tanti fronti: progetti per la salute per la prevenzione dell’Hiv e temi che riguardano il contrasto all’omotransfobia. Questa volta abbiamo pensato di continuare, credevamo che fosse possibile. Solo dopo la chiamata all’ordine di Pro-Vita ci è arrivata una pec che chiedeva il ritiro del patrocinio. Un segnale che quel tavolo aperto da anni con la comunità potrebbe chiudersi. Un pasticcio. I fondamentalisti cattolici chiamano, loro rispondo».

 

Un tentativo di sondare il terreno da parte della comunità Lgbt romana e la porta sbattuta in faccia dalla nuova giunta di destra. In un’intervista concessa la Stampa, il presidente della Regione Francesco Rocca afferma che avrebbe dato l’ok al patrocinio a patto di «evitare di associare il logo della Regione ad aspetti che potessero ledere la sensibilità morale di altri cittadini».

 

È il riemergere di un confine sottile tra la morale e il moralismo, segno ulteriore di una restaurazione puritana: «Non hanno neanche letto il programma politico», sospira Colamarino. Il programma politico, quello che fatto subito inalberare i fondamentalisti cattolici, presenta la richiesta di «una legge che introduca e disciplini anche in Italia una gestazione per altri (GPA) etica e solidale, che si basi sul pieno rispetto di tutte le persone coinvolte».

 

Centosessanta battute su 22 mila parole che affondano le radici nelle battaglie storiche della comunità arcobaleno: contro la patologizzazione delle persone trans/intersex, per il riconoscimento dei figli delle coppie omogenitoriali, una riforma del diritto di famiglia, l’adozione per le coppie dello stesso sesso, il rispetto e la dignità delle persone sex workers, diritti delle donne in tema di autodeterminazione dei propri corpi (aborto, gestazione per altri, sex work) e desideri e per la totale parità in tema di diritti lavorativi e salariale, il diritto ai mezzi di prevenzione primaria e secondaria per contrastare il virus dell’hiv, la libera circolazione delle persone, il rispetto dei diritti delle persone con disabilità. Il contrasto alle terapie riparative che ancora oggi pretendono di voler curare le persone Lgbt, considerate come malate e spinte così al suicidio. E ancora ambiente, welfare, uguaglianza. Richieste comuni a tutti i cittadini, respinte all’ingresso.

 

Poco importa, commentano dal Coordinamento del Roma Pride. «Chi chiude le porte non vede la luce di una generazione nuova che illumina la direzione da prendere. Partirà da Roma il 10 giugno ci porterà in un mondo nuovo».