Il personaggio

Guglielmo Scilla: “Al Pride per essere noi stessi. Senza chiedere il permesso”

di Simone Alliva   9 giugno 2023

  • linkedintwitterfacebook

Willwoosh, youtuber da milioni di iscritti, si racconta a L’Espresso: «Sono stato un bambino molto solitario. Con il coming out ho ripreso in mano la mia vita»

Si definisce “un attivista gentile”, Guglielmo Scilla, in arte Willwoosh. YouTuber, attore, conduttore radiofonico. Negli ultimi anni costeggia i bordi delle vite degli altri, apre spazi, si mette in ascolto della sua community che conta più di un milione di iscritti: «Ho capito che la gente prima di tutto ha bisogno di essere ascoltata per essere vista». Esistiamo solo se ascoltati. Solo se sognati, diceva Danilo Dolci. Nell’era dei social, qualcosa in meno. Parla degli altri ma anche di sé. Della vita prima del suo coming out, della vita dopo.

Il suo podcast in coppia con l’avvocata e attivisti per i diritti umani Cathy La Torre, si chiama "Invertiti", ogni puntata declina la vita di personaggi Lgbt che hanno "invertito" la storia della comunità. Portando il mondo dove è oggi. Un bisogno, quello di riportare al centro della scena, la storia della comunità Lgbt: «Quando ero piccolo, già sugli otto anni, ero quel tipo di bambino che aveva dentro di sé una sorta di embrione di identità e orientamento, credo come molti bambini, una sessualità molto fluida nel mio caso ancora da formarsi. E quando scoprì da un libro di storia che l’omosessualità esisteva già nell’antica Grecia, la prima reazione fu: esistevano e si sono estinti, come i dinosauri. Non sapevo che esistessero gli omosessuali, peccato perché mi avrebbero salvato la vita».

Trovare una rappresentazione può salvare la vita, dice. Ritrovarsi con i corpi, riconoscersi è come ricevere una mano tesa, per resistere alla tentazione del buio, per stare ne mondo: «Un bambino che riesce a capire cosa prova e chi è, è un bambino salvo. Se invece non ha la possibilità di scoprire quelle che sono le alternative del mondo è un bambino perso, un bambino solo. Non riuscire a darsi delle risposte, soprattutto all’interno di una società come la nostra che stigmatizza le identità può essere un danno».

Ci si sente ai margini quando si è adolescenti e non si atteggia il corpo secondo i rituali della eterosessualità. Apparentemente si è come gli altri, ma di fatto non è così. Ci si sente “altro”, “strani” È come vetro sottilissimo che frena la spontaneità per evitare che gli altri si accorgano del “segreto”. «Sono stato un bambino molto solitario, estremamente socievole, ma ho sempre difeso moltissimo quello che permettevo persone di vedere rispetto a quello che sono. Nella vita succede: mostri alle persone qualcosa che è scollegato dalla tua intimità. Poi ho deciso di concedermi, ho deciso di abbattere quella separazione che era diventata pruriginosa e mi sono liberato».

Fare coming out di dire di sé, è questione di tempo e anche di misura, si capisce cammin facendo: la giusta misura, l'alchimia più difficile: «Con il mio coming out volevo riprendere in mano la mia vita. È stato difficile, vengono da una famiglia molto cristiana. E lavorativamente non è stato senza conseguenze, ci sono delle cose che sono venute meno. Una volta mi hanno detto che non ero più credibile nel ruolo di un etero, pazienza, che pena arrivare a 60 anni e dover recitare una parte che la società ti impone. È bello invece essere liberi e tutto si può costruire, io ero abbastanza forte da poterlo fare. Dentro questo percorso però ho lasciato dietro moltissimi amici che definivo “migliori”, quelli che sai che ci sono sempre, che pensi non ti tradirebbero mai e invece, molti tentavano di farmi outing. Spesso non ci rendiamo che quello che facciamo può avere un effetto domino sulle vite degli altri».

 

Podcast, video, spettacoli teatrali, l’ultimo scritto coppia con il duo artistico Karma B, “Uno show improvvisato con poco budger e conduttori dalla dubbia moralità”, sold out alla Pride Croisette delle Terme di Caracalla, a Roma. L’arte come forma di lotta e resistenza «Ma non sono un militante», specifica Scilla «forse un attivista gentile.Ci sono moltissime persone bravissime a fare attivismo di piazza, politico ma io lì non servo. Preferisco sussurrare nelle case delle persone. Entrare nella vita di chi in piazza non scenderà mai, raggiungerle e toccarle con qualcosa che in fondo riguarda tutti. Quello che ho capito da chi mi segue è che le persone hanno bisogno essere ascoltate. Con “Vita Buttata” è quello che cerco di fare, un passo di lato per lasciare spazio a chi ha bisogno» .

Sono tempi strani, dice: «Ci troviamo all’interno di una situazione politica in cui la destra ha polso ma prende le decisioni sbagliate la sinistra non riesce a essere incisiva. E a sostituire l’opposizione ci sono gli intellettuali. La destra ha ideali che aborro. Ma ho bisogno che la sinistra sia lungimirante. Ricordo che Giorgia Meloni da deputata diceva che ci sono problemi altri problemi oltre il ddl Zan, e poi? Siamo arrivati al Liceo Made in Italy. Ma la soglia di attenzione collettiva è labile, viviamo in un eterno presente, come i pesci rossi e ci lasciamo distrarre facilmente. Un mondo fatto di storie che durano 24 ore, dove anche le shitstorm terribili, si scatenano e consumano in un giorno, lasciando danni e poi via con altre polemiche. Abbiamo la seconda carica dello stato che colleziona memorabilie del Duce ma sembra che a nessuno interessi più. Inevitabilmente questo si riflette sui diritti. Prendiamo ad esempio al gestazione per altri: una provocazione. Noi ci caschiamo. Invece di aprire un dibattito serio, tendiamo a polarizzare tutto. Il fatto che questo governo vede il Pride come un attacco è qualcosa che racconta molto non solo della politica ma dell’intero Paese. Il Pride è una manifestazione che porta in strada la realtà. Non si tratta di decidere se esistono o no le famiglie arcobaleno, se esistono o no le persone Lgbt. Si tratta di garantire loro diritti e doveri. Anche per questo è importante riempire i Pride. Per ricordare che non abbiamo bisogno del permesso per ricordare quello che siamo».