L'ultimo femminicidio è quello di Marisa Leo. Più di settanta donne uccise per mano di un uomo. Linda Laura Sabbadini: «È la cultura maschilista che genera il seme e che lascia sole le vittime. Un circolo vizioso intergenerazionale terribile. Che va spezzato»

Sono più di 70 le donne uccise dall’inizio dell’anno, storie impossibili da dimenticare che seguono quasi sempre lo stesso copione: l’assassino che è è il partner o un ex e una relazione che è già finita o a cui volevano mettere fine. L’ultimo femminicidio  accaduto vicino Marsala, in provincia di Trapani, lo dimostra. Marisa Leo, 39 anni, è stata uccisa con colpi di arma da fuoco dall’ex compagno che poi si è suicidato. Sui social la vittima si era esposta più volte contro la violenza di genere e nel 2020 aveva anche denunciato l’ex compagno per stalking senza però ottenere alcun aiuto.

Ne abbiamo parlato con Linda Laura Sabbadini, ex direttrice dell’Istat, pioniera europea delle statistiche per gli studi di genere e tra le protagoniste della 12esima edizione del Festival della Politica, in programma a Mestre fino al 10 settembre prossimo con il titolo “La globalizzazione dopo la globalizzazione”.

 

Come è possibile che accadano ancora episodi del genere?
«Perché la violenza contro le donne è l’espressione della volontà di possesso e di dominio dell’uomo sulla donna. È l’espressione di una simmetria che c’è nella divisione dei ruoli e di una cultura del possesso del corpo delle donne di cui non ci siamo ancora liberati. Questa cultura maschilista trova molte donne in difficoltà nel riuscire ad arginare la violenza, perché sono in piena solitudine».

 

 

Linda Laura Sabbadini

 

 

Perché la maggior parte delle donne che subisce una violenza non chiede aiuto?
«Per tantissimi motivi. Prima di tutto perché la violenza viene da chi ti sta più vicino, dalla persona che loro amano o che amavano. Nutrono sempre la speranza che il problema possa risolversi. Non chiedono poi aiuto perché sanno che se lo chiedono, se denunciano, non saranno affatto tutelate. Non chiedono aiuto perché se devono andare sotto processo, dovranno dimostrare di non essere state consenzienti e di aver subito veramente violenza. Il problema è che la violenza contro le donne è una violenza che ha in primis una caratteristica familiare molto forte. Sono principalmente i partner o gli ex che uccidono le donne, che le violentano, che fanno violenza fisica e psicologica. I centri anti-violenza che sono fatti da donne, anche appassionate che si dedicano ad aiutare le altre, sono troppo pochi e non ce la possono fare. Non sono neanche tanto conosciuti».

 

Quale potrebbe essere la soluzione secondo lei?
«O si investe seriamente su questa grandissima rete in modo che altre donne accompagnino altre donne nell’uscita dalla violenza oppure non ne usciremo. Ma in primis, bisogna investire sull’educazione».

 

I figli, laddove ci siano e assistano a quelle violenze, che reazioni avranno?
«Se sono presenti, i dati mondiali - e non solo quelli delle ricerche Istat - ci dicono che se sono maschi hanno una maggiore probabilità rispetto agli altri bambini di diventare a loro volta da adulti autori di violenza. Se sono femmine, c’è il rischio che diventino a loro volta vittime, perché introiettano quei modelli. Tutto ciò è terribile, perché abbiamo una violenza, quella di oggi, che già ha creato il seme della violenza di domani. Questo circolo vizioso di violenza intergenerazionale, va spezzato».

 

In che modo?
«Con un forte investimento in formazione. La scuola deve intervenire in modo deciso, perché la famiglia non basta, perché in molte famiglie la violenza continua purtroppo ad esserci».