Il ricercatore mandava l'ultimo messaggio il 25 gennaio, per poi sparire. Nove giorni dopo fu ritrovato morto. Ma la ricerca della verità non è ancora finita e il 20 febbraio prosegue il processo davanti alla Corte d'Assise di Roma

«Otto anni senza mio fratello. Una vita rubata. La tua, la mia, le nostre». È quello che scrive Irene Regeni su X per ricordare l'anniversario della scomparsa del fratello Giulio Regeni. Erano le 19.41 del 25 gennaio 2016 quando il giovane ricercatore friulano inviò il suo ultimo messaggio, poi di lui nessuna notizia. Fu trovato morto alla periferia del Cairo nove giorni più tardi, il 3 febbraio 2016. Sotto alle parole della sorella, gli hashtag che sostengono la battaglia per la ricerca di verità e giustizia diventati simbolo di una campagna durata quasi un decennio: #veritàpergiulioregeni e #giustiziapergiulioregeni, accompagnati da una serie di cuori gialli, il colore di Amnesty International che non ha mai fatto venire meno il proprio sostegno alla famiglia in questi anni.
 

Il Comune di Firenze oggi ha assecondato la mozione approvata all'unanimità dal Consiglio comunale per ricordare Regeni con l'installazione di una panchina, anch'essa gialla, nel Giardino delle Rose. «Giulio Regeni deve avere giustizia e il Comune di Firenze non si stanca di chiederla anche con iniziative simboliche come questa - ha dichiarato l'assessore Giorgio - qui, in uno dei luoghi più suggestivi di Firenze, il giardino sarà testimonianza dell'assurdità della sua morte e della richiesta, a nome della città, di risposte e verità. Guardando lo splendido panorama di Firenze seduti su questa panchina il pensiero potrà correre alla storia di Giulio e al coraggio dei suoi genitori, ispirando lo spettatore ai valori della dignità, della memoria e della giustizia». 

 

Amnesty e la famiglia di Regeni continuano intanto a chiedere verità  sulle circostanze del sequestro e dell'omicidio di Giulio, trovato morto vicino a una prigione dei servizi segreti al Cairo: Regeni era un dottorando dell'Università di Cambridge e si trovava in Egitto per una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Il suo cadavere al momento del ritrovamento presentava evidenti segni di tortura, al punto che la madre lo riconobbe «dalla punta del naso» e disse di aver visto nel volto martoriato del figlio «tutto il male del mondo».

 

Sulla pelle erano state incise, con oggetti affilati, alcune lettere dell'alfabeto. Queste evidenze hanno messo subito sotto accusa il regime di al-Sisi. Il 16 dicembre 2020 il Parlamento europeo aveva approvato a larga maggioranza una risoluzione in cui esortava le autorità egiziane a fornire gli indirizzi di residenza degli agenti dei servizi segreti accusati dell'omicidio, nei confronti dei quali le prove a disposizione dei magistrati italiani sarebbero «inequivocabili», affinché possa essere celebrato un giusto processo, e deplorava il tentativo delle autorità egiziane di fuorviare e ostacolare le indagini, e più in generale denunciava la «repressione» del regime egiziano, le sparizioni forzate, le torture, le «confessioni forzate» e le detenzioni che rientrerebbero in una strategia di «intimidazione delle organizzazioni che difendono i diritti umani».

 

La procura di Roma il 4 dicembre 2023 ha chiesto il rinvio al giudizio per i quattro agenti dei servizi egiziani accusati dell’omicidio. Un passo avanti nel procedimento, avvenuto grazie all’intervento della Corte Costituzionale. Con una sentenza emessa lo scorso settembre, i giudici hanno infatti stabilito che il processo vero e proprio sarebbe potuto cominciare anche in assenza degli imputati. Un’eccezione alla legge italiana, per cui i processi non possono partire senza la notifica degli atti agli imputati, divenuta necessaria a causa della mancata collaborazione dello stato di appartenenza dei quattro agenti. La prossima udienza si terrà il 20 febbraio 2024. «Otto anni fa su Giulio iniziava a compiersi 'tutto il male del mondo', da otto anni Giulio fa cose insieme a noi. Ora è finalmente tempo che tutti i nodi vengano al pettine», ha scritto su Facebook la pagina "Giulio siamo noi", proprio in riferimento all'imminente processo davanti alla Corte d'Assise di Roma.