L'iniziativa di Bologna ha scatenato le reazioni di tanti cittadini, subito cavalcate dalla Destra che intorno a questa misura ha deciso di combattere una delle sue battaglie ideologiche. Ma le associazioni difendono la bontà del provvedimento. E spiegano che anche all'estero all'inizio era stata accolta con scetticismo

Sette multe ad automobilisti e una decina a ciclisti: il bilancio del primo giorno di Bologna a 30 chilometri l’ora avrebbe dovuto far sorridere il partito delle quattro ruote. Ma questa piccola soddisfazione non è bastata a placare chi si oppone al limite di velocità deciso dal sindaco Matteo Lepore: un gruppo battagliero che si estende ben oltre i confini del capoluogo dell’Emilia-Romagna. 

 

A guidarlo il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini: dopo aver stroncato a parole le «misure vessatorie» bolognesi è passato ai fatti, promuovendo una direttiva «subito esecutiva» che ammette il limite solo nelle strade vicine a «luoghi sensibili». Impossibile quindi istituire quelle «città30» che, con modulazioni diverse, caratterizzano Bruxelles e Parigi, Amsterdam ed Edimburgo. E che in Italia erano già state adottate anche da sindaci di destra: dalla scelta parziale di Treviso al limite senza eccezioni di Olbia, prima città ad adottare questa misura nel 2021 grazie a un sindaco di Forza Italia, Settimo Nizzi. 

 

Tutti gli esperimenti confermano una diminuzione notevole di incidenti e inquinamento (rispettivamente meno 40 e meno 30 per cento circa) e un apprezzamento crescente da parte dei cittadini. «Nessuna città è tornata indietro», sottolineano le associazioni riunite nella sigla Bologna30: a Graz, prima a introdurre il limite nel 1986, «il gradimento iniziale tra gli automobilisti era inferiore al 29%; ha superato l’80% nel corso di pochi anni».

 

Dopo una fase sperimentale di sei mesi, dal 16 gennaio scorso, a Bologna il limite è diventato obbligatorio sul 70 per cento delle strade del centro. Le pattuglie incaricate dei controlli hanno “pizzicato”, oltre ad automobilisti con l’assicurazione scaduta o con il cellulare in mano, anche ciclisti che passavano col rosso o pedalavano sotto i portici. 

 

Il primo multato, il gioielliere Sergio Baldazzi, beccato a 39 chilometri l’ora, è salito agli onori delle cronache con esternazioni di solidarietà e una promessa di rimborso da parte di Giuseppe Cruciani, conduttore de “La Zanzara” su Radio24. Peccato che quella multa in realtà non fosse figlia del nuovo divieto: Baldazzi infatti è stato multato in via Azzurra, dove il limite di 30 all’ora era stato stabilito dopo un incidente mortale, con una donna uccisa sul marciapiede da un’auto che si era ribaltata dopo uno scontro.

 

La riforma bolognese va avanti malgrado mugugni e malumori, chat che segnalano i rilevatori di velocità, sondaggi online che bocciano il provvedimento con l’80 per cento dei voti (ma i votanti provengono da tutta Italia) e raccolte di firme: già più di 50 mila per quella organizzata dalla 22enne Guendalina Furini, studentessa che ogni giorno arriva a Bologna in auto da Monte San Pietro, a 30 chilometri giusti dal capoluogo. 

 

Il limite di velocità è diventato un nuovo capitolo della crociata identitaria dei politici di destra contro le leggi anti-inquinamento. A opporsi al piddino Lepore, eletto nel 2021 grazie a un programma elettorale che prometteva anche i 30 km orari, sono stati per primi i politici locali. Il capogruppo della Lega, Matteo Di Benedetto, ha sentenziato che «lo scopo principale di questo provvedimento insensato è fare cassa sulla pelle dei cittadini», il suo omologo di Fratelli d’Italia, Stefano Cavedagna, ha annunciato la raccolta di firme per un referendum, mentre il coordinatore di Forza Italia Angelo Scavone aveva presentato già a fine ottobre un ricorso straordinario al presidente della Repubblica. 

 

C’erano tutte le bandiere del centrodestra alla manifestazione “sudamericana” del 20 gennaio, con pentole, mestoli, fischietti e maschere del neopresidente argentino Javier Milei. Poi le stroncature si sono estese ai massimi livelli del governo, fino al vicepremier Antonio Tajani che ha parlato di una regola impossibile da mettere in pratica: tanto da giustificare preventivamente i trasgressori, visto che «il limite dei 30 chilometri non lo rispetterà nessuno».

 

La preoccupazione della destra è che Bologna faccia scuola: a partire da Milano, città natale del vicepremier Salvini. Del resto, «la rivoluzione parte da Bologna», ha previsto Quattroruote che di automobili se ne intende. A guardare con interesse all’esperimento bolognese è sicuramente il sindaco Giuseppe Sala, in una città che nell’ultimo anno, dopo una decina di incidenti mortali ai danni di ciclisti, si è guadagnata la fama di metropoli meno bike-friendly d’Italia. In passato la giunta aveva promesso il lancio di una «città30» già da gennaio 2024, ma ora, di fronte al vespaio provocato dalla decisione di Lepore, Sala prende tempo: «È impossibile replicare qui lo stesso modello. Stiamo studiando la formula giusta per Milano». 

 

A Bologna le obiezioni hanno toni catastrofisti: i tassisti paventano «tempi di percorrenza raddoppiati», molti prevedono un aumento degli incendi stradali («Sa quanto è difficile guidare con gli occhi incollati al tachimetro?»), una farmacia ipotizza problemi nella consegna dei farmaci urgenti. Il barbiere Dino Candela ha lanciato un invito alla serrata, decidendo una settimana di chiusura in nome dell’impossibilità di andare a soli 30 all’ora con la sua Harley Davidson. 

 

Viene da chiedersi come siano sopravvissuti finora gli abitanti delle città europee in cui i 30 km l’ora sono una realtà da anni. Ma si capisce perché, per evitare di annunciare una «città30» e di affrontare le immancabili proteste, all’estero qualcuno abbia trovato il modo di aggirare il problema. In Spagna i 30 all’ora sono obbligatori non solo in alcune città, ma in tutte le strade a senso unico: però poi bisogna fare rispettare il divieto, o imporlo a forza di rotatorie, dissuasori e cunette. 

 

Molti anni fa a Bordeaux hanno trovato una soluzione drastica: i marciapiedi delle strade che si volevano a «scorrimento lento» sono stati allargati fino a lasciare una corsia appena sufficiente al passaggio di un veicolo, in modo da ispirare in ogni guidatore un rallentamento istintivo. Il sindaco? Non era un verde o un progressista, ma un gollista di ferro, Jacques Chaban-Delmas, che governò Bordeaux per quasi cinquant’anni.