Accade oggi
Mimmo Lucano si candida alle Europee: «Voglio far vivere in tutta Europa il “villaggio globale” di Riace». Le notizie del giorno
La sospensione del generale Vannacci per la pubblicazione del libro. Gli alleati contro Macron sulle truppe in Ucraina. Biden vince in Michigan. Castelli attacca Salvini. I fatti da conoscere
Mimmo Lucano si presenta alle Europee: «Mi candido da indipendente con Avs»
«Ho deciso di accettare la candidatura da indipendente che mi è stata offerta da Alleanza Verdi Sinistra» per le elezioni europee. Così Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, intervistato dal Manifesto. «Una decisione che mi ha fatto molto riflettere. Abbiamo tenuto qui a Riace, anche sull'onda del dibattito ospitato dal Manifesto, due partecipate assemblee pubbliche con tutta la sinistra: da Unione popolare a SI fino a Michele Santoro. Io ho lavorato in questi mesi all'unità delle forze a sinistra del Pd. Una unione che prescindesse dal momento elettorale di giugno - ha aggiunto - Riace è stata in 20 anni, con la sua idea di sviluppo multietnico, di gestione pubblica dei beni comuni, di impegno costante per la pace e contro ogni guerra, un'isola utopica di tutta la sinistra. Il 29 ottobre quando abbiamo festeggiato in piazza la mia assoluzione c'era anche una rappresentante della segreteria nazionale del Pd (Marta Bonafoni, ndr). Ecco, io ho scelto di candidarmi alle Europee nel solco di questo 'villaggio globale' riacese, un luogo e una idea che non devono spegnersi. La destra ci ha provato a spegnerli. Il teorema immigrazione uguale repressione. I sardi e gli studenti manganellati dimostrano che l'arroganza del potere si può fermare noi a Riace l'abbiamo sconfitto. Abbiamo costruito un borgo multietnico, rispettando l'identità di questi luoghi. E l'abbiamo fatto insieme. Senza distinzioni di simboli o etichette. La fine della mia odissea giudiziaria mi ha ridato entusiasmo», ha spiegato.
Sospeso il generale Vannacci, 'compromesso prestigio Difesa'
Il generale Roberto Vannacci è stato sospeso dall'impiego per 11 mesi. È quanto si apprende da fonti legali in riferimento al procedimento disciplinare avviato nei mesi scorsi dal ministero della Difesa dopo la pubblicazione del libro "Il mondo al contrario". Nel provvedimento con cui il ministero della Difesa lo ha sospeso, secondo quanto rende noto il difensore, Giorgio Carta, si "stigmatizzano le circostanze della pubblicazione del libro 'Il mondo al contrario' che avrebbe asseritamente denotato 'carenza del senso di responsabilità' e determinato una "lesione al principio di neutralità/terzietà della Forza Armata", "compromettendo il prestigio e la reputazione dell'Amministrazione di appartenenza e ingenerando possibili effetti emulativi dirompenti e divisivi nell'ambito della compagine militare". Il difensore annuncia che sarà «presentato immediato ricorso al Tar Lazio, con richiesta di sospensiva, rivelandone il contrasto con il diritto alla libera manifestazione del pensiero garantito a tutti i cittadini, compresi i militari».
Biden vince in Michigan ma monta la protesta per Gaza
Donald Trump batte Nikki Haley, vince le primarie in Michigan e compie un nuovo passo verso la nomination. Vittoria anche per Joe Biden anche se il voto degli 'uncommitted', i non allineati, supera le aspettative degli organizzatori catturando circa il 15% dei voti. «È un grande successo per i pro-palestinesi del nostro paese e per il movimento anti-guerra», afferma Abbas Alaeih, il portavoce di Listen to Michigan, l'organizzazione che ha promosso il boicottaggio di Biden per il suo approccio alla guerra a Gaza. Per il presidente il voto degli uncommitted, rappresentati soprattutto dagli arabo-americani, è un segnale di preoccupazione guardando alle elezioni di novembre. Dalla campagna di Biden cercano di rassicurare mettendo in evidenza le debolezze di Trump che, nonostante le vittorie, dimostra di non riuscire a catturare almeno il 30-40% degli elettori repubblicani, quelli che in questi primi turni di primarie hanno votato per Haley. Una cifra non indifferente che potrebbe costargli la vittoria alla Casa Bianca e che, secondo gli osservatori, dovrebbe attirare l'attenzione del partito repubblicano.
Il Michigan è uno degli stati chiave nella corsa al 2024. Trump lo ha vinto nel 2016 superando di 11.000 voti Hillary Clinton. Nel 2020 è stato invece Biden a conquistarlo con un margine di solo il 2,78%. Pur di fronte alla nuova sconfitta Haley non arretra e ribadisce il suo impegno a restare in corsa almeno fino al Super Tuesday. «Siamo su una barca e possiamo affondare con lei e guardare il paese andare verso la sinistra socialista o possiamo prendere il gommone di salvataggio e andare in un'altra direzione», ha detto Haley usando una metafora nel corso di un'intervista a Cnn. Per l'ex ambasciatrice la strada si fa sempre più stretta per restare in corsa, ma la sua campagna continua a mostrarsi ottimista, convinta che i voti catturati da Haley sono la dimostrazione della spaccatura del partito repubblicano che, con Trump candidato, rischia di perdere a novembre anche di fronte a un Biden debole.
Lula: «Non ho mai usato la parola Olocausto contro Israele»
Il presidente brasiliano, Luis Inácio Lula da Silva, ha affermato di non aver pronunciato la parola "Olocausto" quando ha criticato le azioni di Israele nella guerra contro Hamas, paragonandole a quelle di Hitler nei confronti degli ebrei. Il leader progressista ha attribuito la polemica sulle sue dichiarazioni ad una "interpretazione" del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. «In primo luogo, non ho nemmeno usato la parola Olocausto. Olocausto è stata un'interpretazione del primo ministro israeliano, non mia» ha osservato Lula la notte scorsa durante un'intervista al programma 'É Notícia' di Rede TV. Il capo dello Stato ha poi riferito che già si aspettava che il governo israeliano avrebbe accolto male le sue parole, a causa delle posizioni politiche di Netanyahu. «Conosco storicamente quella persona da tempo, so cosa pensa ideologicamente», ha detto.
Gli alleati bocciano Macron sulle truppe in Ucraina
L'invio di truppe occidentali in Ucraina, almeno per il momento, resta un tabù. La fuga in avanti di Emmanuel Macron, che ha posto il tema al vertice di Parigi sugli aiuti a Kiev, è stata fermata sul nascere dagli Stati Uniti, dall'Ue e da diversi Stati membri, tra cui l'Italia e la Germania. Parigi ha poi corretto il tiro, chiarendo che i militari europei sul terreno non sarebbero "belligeranti", ma il Cremlino ha colto comunque l'occasione per mostrare i muscoli: nel nuovo scenario evocato dall'Eliseo un conflitto diretto con la Nato sarebbe "inevitabile". Comprensibilmente positivi, al contrario, i commenti di Kiev, dove l'apertura francese viene considerata "un buon segnale".
Dopo aver disertato la riunione del G7 presieduta da Giorgia Meloni a Kiev, Macron si è ripreso la scena riunendo a Parigi gli alleati (con Volodymyr Zelensky in collegamento) per rilanciare il sostegno all'Ucraina, al terzo anno di guerra. Il presidente francese ha annunciato la nascita di una coalizione per fornire missili e bombe di media e lunga gittata a Kiev, ma si è spinto anche oltre. Affermando che per «impedire la vittoria della Russia» non deve essere «più escluso» in futuro l'invio di soldati occidentali. Macron ha spiegato che «oggi non c'è consenso sulle truppe di terra in via ufficiale», come a voler dire che il tema sarebbe comunque oggetto di riflessione tra gli alleati, ma le prime reazioni sono apparse come una frenata. A partire dalla Casa Bianca. «Biden è stato chiaro sul fatto che gli Stati Uniti non invieranno soldati a combattere in Ucraina», ha dichiarato la portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, aggiungendo che il presidente ritiene che «per la vittoria» siano necessari gli aiuti a Kiev bloccati al Congresso.
Neanche la Nato ha piani in questa direzione, ha spiegato il segretario generale Jens Stoltenberg. Sul fronte Ue un portavoce della Commissione ha precisato che la questione «non è stata discussa». Perentorio invece è stato Olaf Scholz: «Ciò che è stato deciso tra noi fin dall'inizio continua ad essere valido per il futuro», vale a dire che «non ci saranno truppe sul terreno, né soldati inviati dagli Stati europei o dagli Stati della Nato sul suolo ucraino», ha assicurato il cancelliere tedesco. Una posizione riaffermata anche da Palazzo Chigi in una nota, in cui si è ricordato che «fin dall'aggressione russa di due anni fa vi è stata piena coesione di tutti gli Alleati nel supporto da offrire a Kiev». E «questo supporto - è stata la sottolineatura - non contempla la presenza sul territorio ucraino di truppe di Stati europei o Nato».
Sulla stessa linea la Spagna e i Paesi del blocco Visegrad, inclusa la Polonia, che non ha mai lesinato in aiuti militari a Kiev. Meno netta la posizione di Londra, che ha escluso soltanto l'invio di soldati "su vasta scala". I britannici finora si sarebbero limitati a mandare in Ucraina istruttori o consiglieri militari. La sostanziale bocciatura incassata dai partner europei (a cui si è aggiunto anche il Vaticano) ha spinto il governo francese a sviluppare meglio il ragionamento di Macron. L'eventuale futura presenza di truppe occidentali in Ucraina «non andrebbe oltre la soglia della belligeranza», ha spiegato il ministro degli Esteri Stéphane Séjourné, immaginando un impiego come in supporto agli ucraini per lo "sminamento", il settore "cyber" e la "produzione di armi in loco". L'Eliseo, in seguito, ha puntualizzato che lo stesso Macron «ha detto di volere evitare qualsiasi escalation». L'ipotesi di soldati occidentali sul terreno, come era prevedibile, ha provocato reazioni opposte tra Mosca e Kiev. Il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ha affermato che «in questo caso non dobbiamo parlare di probabilità, ma di inevitabilità» di un conflitto militare diretto tra la Nato e la Russia. Al contrario il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha parlato di «un buon segno». E pur riconoscendo che si tratta «solo una proposta di discussione», ha aggiunto che «la dichiarazione del presidente francese porta chiaramente il confronto ad un altro livello». Nel frattempo, Zelensky è volato a Riad per incontrare il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Tra i temi, la Formula di pace elaborata dagli ucraini e i prigionieri di guerra.
Roberto Castelli: «La parabola Salvini è finita al Nord militanti in subbuglio»
«La parabola di Salvini è finita». Lo ha detto in un'intervista a Repubblica l'ex ministro leghista Roberto Castelli. «La Lega sta vivendo la stessa parabola vissuta da Renzi e dai 5 Stelle - ha spiegato - siamo di fronte a un elettorato erratico che si innamora del leader che dovrebbe far diventare l’Italia come la Svizzera. Il 34 per cento delle scorse Europee era per Salvini, mica per la Lega. E adesso però Salvini si ritrova senza più un progetto. Noi della vecchia Lega con le stesse percentuali avevamo un progetto forte, il federalismo, lui non ha nulla, ha la stessa identità politica di Meloni, è un doppione senza prospettiva. Il progetto nazionalista è fallito». Secondo Castelli «sta venendo giù tutto, i militanti al Nord sono in subbuglio» e la Lega alle prossime europee non andrà oltre "il 7 percento". Quanto al futuro e alla possibilità che Luca Zaia si candidi a governare il partito «non so se ha questa voglia, di sicuro non adesso. Aspetterà il redde rationem, a nuove elezioni politiche», ha concluso Castelli.