Negli ultimi dieci anni l’industria del mare ha conosciuto un incremento del 20 per cento delle sue emissioni. L'obiettivo invece dovrebbe essere quello di azzerarle entro il 2050

Si parla sempre più spesso, inevitabilmente, di climate change. Siccità e alluvioni, ghiacciai che si sciolgono: ogni anno, ogni mese battiamo il record precedente di riscaldamento globale. E sembrano risuonare come un memento al vento le parole proferite dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres in apertura della Cop27: «Abbiamo una scelta. Patto di solidarietà climatica o suicidio collettivo». 

 

La ricerca di un accordo universale non potrà prescindere dalla chiamata in causa dell’humus primigenio della vita cellulare, il mare. E noi italiani abbiamo la fortuna e la responsabilità di specchiarci nel Mediterraneo, l’epico Mare Nostrum, la culla di civiltà e affari degli antichi greci e romani, degli etruschi, dei fenici e delle repubbliche marinare. Quando si parla di sostanze climalteranti, di emissioni fuori controllo di CO2 un ruolo strategico lo gioca, infatti, l’acqua, visto che gli oceani ricoprono oltre il 70% della superficie terrestre. Il trasporto marittimo traina l’economia della nostra Unione europea, con i suoi 1.200 (e più) porti commerciali e 70 mila km costieri: il 75% delle merci, nel Vecchio continente, viene spostato così. Più dell’80% degli scambi commerciali mondiali procede per vie liquide blu e tutto questo non può non avere contraccolpi sull’ambiente antropizzato, se non si corre ulteriormente ai ripari (e tralasciamo, in questa sede, le ripercussioni potenziali sulla flora e sulla fauna marina). 

 

Negli ultimi dieci anni l’industria del mare ha conosciuto un incremento del 20% delle sue emissioni di gas serra, stando alla stima dell’Unctad (la Conferenza internazionale del commercio e dello sviluppo delle Nazioni Unite). Il problema è che il grosso delle navi in circolazione viaggia a tutt’oggi sospinta dai combustibili fossili. Ma vedremo come non poco di positivo si stia muovendo. Concentrati sulla terraferma, ci siamo dimenticati dell’altra faccia della medaglia.

Il tempo stringe. Nel 2023 l’Organizzazione marittima internazionale (Imo) ha tratteggiato una nuova road map per provare a raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette globali del trasporto marittimo entro il 2050. Siglata a Londra l’estate scorsa, l’intesa è stata votata plebiscitariamente dai 172 Paesi dell’Imo, dopo le fumate nere degli anni precedenti. Resta l’obiettivo supremo della tabula rasa delle emissioni prima della metà del secolo, con l’adozione di combustibili alternativi da qui al 2030 e verifiche successive. Il documento recita che il tasso di CO2 sprigionato dal trasporto marittimo planetario dovrà attestarsi, nel 2030, ad almeno il 40% in meno del 2008. Sempre per questa data simbolica, l’impegno a ricorrere a tecnologie e fonti a emissioni zero (o quasi) dovrà toccare quantomeno il 5% (e un tendenziale 10%) dell’energia complessiva adoperata. Mentre nel 2040 l’abbattimento delle emissioni “by sea” dovrebbe oscillare in un range tra il 70 e l’80 per cento. Si spera che il picco sia vicino, per iniziare la discesa verticale. 

 

Il prossimo meeting plenario dell’Imo è previsto nell’autunno 2025, quando saranno prescritte misure specifiche che dovrebbero entrare a regime nel 2027. Dal canto suo, il G7 dei ministri dei trasporti si è impegnato a favorire la creazione di 14 corridoi di navigazione green. Anche in questa sede è stata ribadita la volontà di azzerare le emissioni del traffico mercantile in vista del punto di non ritorno del 2050, con mete di avvicinamento. Formulata inoltre la necessità di decarbonizzare, progressivamente, le operazioni portuali. La presidenza del Consiglio europeo e gli sherpa del Parlamento europeo hanno raggiunto invece un accordo provvisorio per aggiornare una direttiva che affrontava la vexata quaestio dell’inquinamento provocato dalle navi. Il fine è quello di scoraggiare l’imperversare degli scaricatori di sostanze nocive e illegali. Ogni anno vengono segnalati più di 2 mila incidenti in mare aperto. Gli Stati europei si prodigheranno per rafforzare le sanzioni al riguardo. 

 

Il trasporto intermodale e la cosiddetta navigazione a corto raggio (Short Sea Shipping), dove la nostra nazione è leader continentale e mediterranea, hanno aiutato a decongestionare il traffico su strada dei mezzi pesanti. Ma questo evidentemente non basta per ridurre drasticamente i valori dell’inquinamento. Molto perciò dipenderà, oltre che dall’ammodernamento in senso ecologico dei porti, dal decollo definitivo delle fonti di energia “altre” per le navi. Occorre una svolta, un’alleanza pubblico-privato per fuoriuscire dal piano inclinato del gasolio tradizionale. A maggior ragione adesso, che la pandemia e la guerra in Ucraina hanno portato il costo dei combustibili fossili alle stelle. 

 

Le avvisaglie non sono però scoraggianti. Secondo Port Infographics 2024, il report annuale congiunto di Srm (centro studi di Intesa SanPaolo) e Assoporti sulla portualità italiana, già allo stato attuale la metà del tonnellaggio navale in ordine nei cantieri è alimentato a combustibili più puliti. Il focus assicura che, entro il 2030, il 23% della flotta navale funzionerà con carburanti alternativi: il 40% delle navi ordinate nel 2023 è già a Gnl (gas naturale liquefatto), il 24% a metanolo. La nostra penisola, interamente circondata dal mare con la sua costa lunga più di 8 mila chilometri, veleggerebbe sulla via maestra della decarbonizzazione dello shipping. Altri dettagli: nei primi nove mesi del 2023, Il 37% dell’import export tricolore è stato veicolato solcando il mare (nel 2003 la percentuale era del 29%). La Cina e gli Stati Uniti si sono confermati i nostri partner principali, rispettivamente per le importazioni e le esportazioni marittime. È salito dello 0,6% il Ro-Ro (roll on-roll off), ossia il trasporto delle merci via nave attraverso l’imbarco dei tir e nello stesso periodo di riferimento si è impennato, nei nostri porti, il numero dei passeggeri (+16,4%) e delle crociere (+54,4%). È un momento d’oro per la relativa industria turistica, che polarizza decine di milioni di persone l’anno e si va destagionalizzando. Il settore sta facendo, insomma, le sue prove generali di decarbonizzazione, puntando specialmente sul sopraccitato Gnl.

 

Le mega-compagnie crocieristiche hanno già attrezzato diverse navi a propulsione integrata, con il gas naturale liquefatto chiamato a mitigare il loro contributo di anidride carbonica nell’atmosfera. Una mossa che potrebbe essere mutuata anche dai traghetti e dalle barche di dimensioni ridotte, ormai quasi all’avanguardia eco-tecnologica. «Nonostante la turbolenza dei prezzi, l'industria italiana del Gnl è riuscita a mantenere la sua posizione dominante in Europa nel 2023. Le imprese stanno continuando ad investire nello sviluppo di questo mercato» ha dichiarato Andrea Arzà, presidente di Assogasliquidi (Federchimica). 

 

Nei mesi inaugurali del 2024, il gas naturale liquefatto approdato in Italia a mezzo nave ha superato, per la prima volta, la quantità di materia prima che sopraggiungeva con i gasdotti. L’anno scorso le sue importazioni nette sono state di 16 miliardi di metri cubi. Questo pure perché è crollato il volume dei carichi di gas dalla Russia, rimpiazzati dal Gnl galleggiante statunitense, algerino e del Qatar, mentre entrano in azione rigassificatori come quello nel porto di Piombino e, dal 2025 al largo di Ravenna, la nave per la rigassificazione acquistata per 400 milioni di dollari da Snam, la società (controllata dal Tesoro) che gestisce la nostra rete di gasdotti. A vendergliela, l’orientale Bw Lng, la compagnia di trasporto di gas più importante del pianeta. 

 

Inseguiamo il sogno dell’indipendenza energetica, anche se il fabbisogno per usi classici è un po' diminuito ultimamente proprio a causa del riscaldamento climatico. Altro discorso è quello delle prospettive ambientali della navigazione. Qui il Gnl costituisce il primo e indispensabile passo, la chiave d’ingresso nell’era futura (e all’orizzonte si stagliano il Bio-Gnl e l’idrogeno, ancora meno impattanti). Cambiamo marcia, onda su onda, per non tradire lo spirito e la sostanza dell’Accordo di Parigi. Leviamo ogni àncora alla transizione verde e investiamo con convinzione e consapevolezza sulle autostrade del mare di nuova generazione, sempre più ecologiche, sempre più sostenibili. Perché un secondo Titanic non finirebbe sui libri di storia. «Il mare è il veicolo di un’esistenza soprannaturale e prodigiosa, è movimento e amore, è l’infinito vivente» scrisse Jules Verne.