Il Comune vuole demolire scuole che sono il simbolo del periodo d’oro dell’urbanistica pubblica. Per sostituirle con nuovi fabbricati in aree verdi. Ma l’elettorato di sinistra insorge

Nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino, cantava Lucio Dalla, ma oggi in questa città simbolo della sinistra italiana si sta perdendo un patrimonio inestimabile: l’urbanistica pubblica, il governo democratico del territorio, la partecipazione dei cittadini alle grandi scelte sull’edilizia e sulle infrastrutture. E la gente lo sa, l’hanno capito anche molti elettori che non ci volevano credere. Perciò nella capitale di tutte le anime, vecchie e nuove, del Pd si assiste al paradosso di un popolo di sinistra che, per disperazione, si mobilita contro la giunta comunale – che si auto-definisce «la più progressista d’Italia» – e che attacca la legge regionale che ha consegnato ai privati il potere di decidere dove, come e quanto costruire, in nome del profitto. Nell’Emilia rossa.

 

L’ultimo casus belli è il progetto di demolizione della scuola Besta. Uno degli istituti, come Guercino, Dozza, Volta e altri, che furono costruiti negli anni del miracolo urbanistico. Tra il 1973 e il 1981 la giunta Zangheri varò un piano imponente di edilizia pubblica, che portò a realizzare, tra l’altro, più di 150 scuole, tra asili, elementari e medie, tutte disegnate da ingegneri e architetti del Comune, guidati da Fioretta Gualdi, che studiavano il progetto con insegnanti, psicologi, pedagogisti e lo discutevano in riunioni aperte con i cittadini.

 

Sezione delle scuole Besta tratta dal progetto

 

La scuola media Besta è formata da due strutture, collegate da una palestra e circondate da un parco: ci sono 24 aule che possono ospitare fino a 300 alunni, con altri dieci spazi per biblioteche e laboratori di scienze, arte, informatica. Come gli altri istituti del piano Zangheri, è una struttura a moduli che si può ampliare o replicare in altri quartieri e che fu celebrata come «un modello all’avanguardia» nelle riviste di architettura. Le pareti sono mobili, gli spazi si possono adattare alle diverse esigenze scolastiche, ogni aula si può allargare verso l’interno (nella cosiddetta anti-aula) o verso l’esterno, aprendo le grandi vetrate affacciate sul parco.

 

L’estate scorsa, l’attuale giunta di Bologna guidata da Matteo Lepore ha deciso di abbattere questa scuola (e diverse altre) per sostituirla con una nuova costruzione nel parco. Il costo previsto è di 18 milioni di euro. La giustificazione è ecologica, ma anche di bilancio: rispettare i moderni standard di risparmio energetico, sfruttando i fondi europei del Pnrr. Contro la demolizione si sono però schierati vari comitati di cittadini, insegnanti, studenti, famiglie, associazioni ambientaliste, urbanisti e professori che spiegano di sentirsi traditi dall’amministrazione di sinistra. La protesta, in corso da mesi, ricorda la mobilitazione che nell’autunno del 2022 (quando L’Espresso pubblicò il primo articolo di denuncia) convinse la giunta a rinunciare all’abbattimento dell’asilo Roselle, altra struttura-modello. Un dietrofront che si è ripetuto per la scuola media Guercino: anche in questo caso il Comune ha finito per ristrutturare l’immobile esistente e ha speso meno di 3 milioni (un sesto del previsto).

 

L’amministrazione, però, insiste con l’operazione Besta e altri abbattimenti emblematici. Il parco intitolato a don Bosco, sostiene la giunta, verrebbe solo spostato, piantando nuovi alberi nell’area «liberata» dall’attuale edificio. Ma i comitati replicano che è certo solo «l’abbattimento di moltissimi alberi di alto fusto», mentre «la rigenerazione effettiva dei suoli impermeabilizzati richiede decine di anni». E intanto «si toglie al parco la sua funzione fondamentale di polmone verde per la popolazione». Un problema aggravato dalla «disastrosa collocazione della nuova linea rossa del tram accanto alla scuola».

 

«L’attacco al parco», denunciano i comitati, ha un impatto emotivo, ma solleva pure una questione di metodo democratico. Come in molti altri casi, la giunta viene accusata di gestire l’edilizia «in totale solitudine, con scelte calate dall’alto, senza consultare la cittadinanza e nemmeno i docenti, gli alunni, le famiglie». E non è il solo progetto che fa pensare a un intento più generale di liquidare l’eredità urbanistica delle giunte storiche. Un altro esempio è l’asilo nido Cavazzoni, disegnato negli anni ’70 dall’architetto Enzo Zacchiroli: una struttura di 800 metri quadrati, tuttora in perfetto stato, frequentata da 60 bimbi sotto i tre anni. Anche qui la giunta prevede di demolire per costruire un edificio più grande dentro il parco. La spesa prevista è di 4,6 milioni, ma per non perdere i fondi del Pnrr bisogna fare in fretta. Quindi niente consultazioni e addio «urbanistica partecipata». I comitati replicano che la migliore delle ristrutturazioni (a 2.400 euro al metro) «costerebbe la metà». Mentre il parco, secondo le carte del Comune, è un’area «non edificabile» in quanto «zona di protezione delle acque sotterranee» e «ricarica delle falde».

 

Schema funzionale di tutte le scuole modello di Bologna

 

Besta, Roselle, Guercino e le altre scuole difese dai cittadini sono frutti del buon governo di sindaci come Dozza e Zangheri, con assessori come Campos Venuti. Quando in Italia non esistevano ancora i piani regolatori, il Comune di Bologna è stato il primo a vincolare l’intero centro storico e a salvare dal cemento le colline. In compenso, allora la casa era considerata un diritto. E quelle giunte hanno realizzato decine di migliaia di alloggi pubblici, ceduti alle famiglie a prezzo politico, in quartieri popolari ben disegnati che oggi sono tra i più vivibili.

 

Il cambiamento, o tradimento, si vede da tante piccole cose. La tendenza è privatizzare, anche in centro. Si fatica a trovare fontanelle, panchine, servizi gratuiti. Le vie storiche sono distese di tavolini, gazebo, spazi per consumatori. Sui cittadini prevalgono i clienti. Il colmo è la privatizzazione delle piazze, realizzata con appositi «patti di collaborazione». Dietro la basilica di San Domenico c’è un’area pubblica, la piazzetta delle Absidi, che fu ridisegnata da Zacchiroli e poi abbandonata al degrado. Invece di ripulirla e curarla, il Comune l’ha data in concessione a una fondazione privata, che in cambio ha pagato tutti i lavori di recupero. All’ingresso, però, ora c’è una cancellata. Di giorno si potrebbe entrare, ma le sbarre non lo fanno capire: infatti, dentro non si vede nessuno. E dopo il tramonto, per almeno dodici ore, la piazza pubblica resta chiusa al pubblico, per la gioia dei ricchi benefattori che vi si affacciano. E non è un caso isolato.

 

Cancello che chiude la piazzetta pubblica di San Domenico

 

Anche sulle colline il verde non è più sacro. Il divieto totale di costruire, applicato per mezzo secolo, è diventato derogabile. Per verificarlo basta confrontare le foto aeree di molte proprietà: nel 2019 la collina era libera, nel 2022 spunta un cantiere, dal 2023 c’è una grande villa.

 

In periferia, le giunte storiche costruivano case pubbliche in quartieri modello. Oggi la «primavera urbanistica» di Bologna, come la chiama l’attuale amministrazione, passa dal distretto di Nordest, ma si è rovesciata. L’operazione Fico – Eataly è stata un fallimento: la Disneyland del cibo ha chiuso. Dovrebbe riaprire tra qualche mese con un nuovo nome e con prospettive migliori. Proprio qui, infatti, la giunta ha varato un piano che autorizza una società privata a costruire ben 2.500 alloggi. Mentre il Comune edificherà a proprie spese lo «stadio temporaneo» di calcio, in attesa del nuovo impianto privato del Bologna. La città rossa è diventata rossoblù.