Un corpo in rivolta. Stanco, senza fiato, dolorante, fragile. Un corpo che non ne vuole sapere di tornare a funzionare come prima dell’infezione. Questo è il lascito del Covid-19 per milioni di persone che non vogliono smettere di sperare che prima o poi torneranno a stare bene. Da quando hanno contratto il virus le loro giornate si sono fatte sempre più lunghe, le attività quotidiane sempre più difficoltose. Andare al lavoro, studiare, occuparsi della casa o della famiglia, vedere gli amici, rilassarsi, alzarsi dal letto la mattina o dormire la sera. Tutto è reso impegnativo, o impossibile, dal Long Covid.
Per capire cosa sia il Long Covid – definito come la permanenza dei sintomi, non spiegabile per altre ragioni, dopo dodici settimane dall’infezione da Covid-19 – non aiuta pensare a una malattia che si può curare o i cui sintomi si possono alleviare. È più utile pensare a una disabilità: cioè a una limitazione delle possibilità che un corpo sano può offrire normalmente. La quantità di energia disponibile, mentale e fisica, si riduce, di colpo o progressivamente.
Molte persone affette da Long Covid possono apparire in perfetta salute per qualche ora al giorno, al costo di passare le restanti ore a riposarsi. Questo non vale solo per azioni come camminare, stare in piedi, lavorare. Per alcuni anche mangiare è pressoché impossibile. È la storia di Stefano Bortolotti, 27 anni, di Bologna, che da tempo ha dovuto interrompere gli studi di ingegneria. A lui il Long Covid, oltre ai sintomi più comuni come stanchezza cronica e insufficienze respiratorie, ha dato una grave difficoltà a deglutire. Da più di un anno assume solo cibi liquidi e talvolta, soprattutto la sera, ha bisogno di coricarsi per qualche minuto, prima di riuscire a bere qualcosa senza il rischio di soffocare. «Almeno ho perso peso», ironizza. Stefano ricorda il Covid-19, contratto nel marzo del 2022, come simile a una forte influenza con febbre e tosse per una decina di giorni, di certo niente di abbastanza grave da fare presagire danni a lungo termine tanto invalidanti. Immaginava che in una situazione simile si sarebbero trovati solo quelli che avevano avuto la sfortuna di trascorrere, a causa della malattia, settimane o mesi in terapia intensiva tra la vita e la morte.

Come è successo a Carolina Pendolino, 56 anni, di Cremona, che viene ricoverata e portata in Rianimazione a marzo del 2020 e torna a casa solo a estate inoltrata. Per lei i sintomi del Long Covid, tra cui una diagnosticata fibromialgia, sono comparsi nel corso dei mesi e si sono sommati ai danni inferti dalla violenza dell’infezione.
Fin dall’inizio sono stati in molti a chiedersi perché i loro sintomi non passassero più, nonostante il fatto che il Covid-19 non li avesse colpiti in modo particolarmente grave. Una di loro è Morena Colombi, 63 anni, di Truccazzano (Milano), che il Covid lo ha contratto a febbraio del 2020. Dopo qualche giorno in ospedale, dietro una maschera a ossigeno, torna a casa per concludere la sua quarantena. Le settimane però passano, diventano mesi e lei non migliora. Vede tutti intorno a sé riprendere le forze dopo l’infezione, mentre lei si ritrova ogni giorno costretta in un corpo che non sembra più quello di prima. Ai sintomi iniziali – dolori muscolari, affanno persistente e fatica costante – se ne aggiungono di nuovi: eruzioni cutanee, vertigini, annebbiamento mentale e difficoltà di concentrazione.

Verso la metà del 2020 decide di aprire un gruppo su Facebook per scoprire se qualcuno si trovi in una situazione simile alla sua. Oggi il gruppo conta più di quarantamila iscritti ed è ancora un luogo importante dove le persone affette da Long Covid possono condividere le loro esperienze per aiutarsi a vicenda. E spinta dal successo dell’iniziativa social, il 26 gennaio 2023 Morena fonda l’Associazione Italiana Long Covid (Ailc) proprio allo scopo di promuovere la consapevolezza sulla malattia e di contribuire agli studi clinici. La visibilità ottenuta non è stata quella sperata, almeno non ancora, ma di certo l’associazione ha subito attirato attenzioni impreviste.
Lo racconta Laura Pellizza, 63 anni, di Romanengo (Cremona), affetta da Long Covid dall’aprile del 2020 e membro fondatore di Ailc, che si è vista recapitare minacce personali e precise da qualcuno che sembrava sapere dove vivesse. L’accusa fatta all’associazione era quella di «seminare il panico tra la gente» diffondendo «notizie false». A Morena qualcuno ha lasciato delle mascherine, apparentemente usate, nella cassetta della posta. Chi soffre di Long Covid deve spesso sopportare anche questo, lo stigma del malato immaginario. Non solo nella forma di intimidazioni gravi e assurde, fortunatamente rare, ma più spesso nelle conversazioni quotidiane in famiglia, sul lavoro o con gli amici, ai quali è difficile dover spiegare ogni volta perché non si accetta un invito a cena o a uscire la sera, sapendo di poter passare per quelli «sempre stanchi». Non che manchi, di tanto in tanto, la tentazione di prendere una doppia dose di antidolorifici e di andare a ballare come se niente fosse, fino a notte fonda, godendosi ogni minuto di una libertà provvisoria quanto l’effetto di un farmaco. È una libertà con un prezzo da pagare al risveglio, il giorno seguente, con doppie dosi di fatica e dolore, ma una libertà alla quale chi può, fosse anche solo una volta all’anno, non vuole rinunciare.

A oggi, per il Long Covid non esiste una cura, solo trattamenti sintomatici. D’altronde è una cosa nuova, alla ricerca scientifica serve tempo e questo le persone che ne soffrono lo sanno fin troppo bene. Ma ad aggravare la loro situazione, assieme a molte altre condizioni delle quali solo ultimamente si è cominciato a parlare, come fibromialgia e sindrome da affaticamento cronico, è pure il fatto che per il Long Covid non è neppure disponibile un test diagnostico. Per di più, anche i singoli esami ai quali le persone affette da Long Covid si sottopongono danno talvolta esito negativo, o al limite ambiguo, lasciandole prive di qualcosa da esibire come prova misurabile della loro condizione, di una certificazione che le autorizzi a dirsi malate. Senza che qualcuno attribuisca quello di cui soffrono a mera invenzione, ad autosuggestione o a fenomeni di origine psicosomatica.
E le spese per le cure, dato che non esiste al momento alcuna esenzione disponibile, sono sempre a carico dei pazienti; i quali, dopo anni, vedono ammontare a migliaia di euro le somme sborsate per terapie che non sempre funzionano.
A quasi un anno dalla sua fine decretata dall’Organizzazione mondiale della Sanità, oltre ai morti e a chi ne ha derivato difficoltà economiche, la pandemia ha lasciato sul campo una nuova sindrome chiamata per ora, in mancanza di migliori definizioni, Long Covid. E a chi ne soffre, in assenza di risposte adeguate, sembra quasi venga richiesto di farsene una ragione. In fondo, c’è sempre chi sta peggio.