Le selezioni per le assunzioni di ruolo seguono criteri scioccanti. Si viene giudicati idonei rispondendo a test burocratici e nozionistici. Ma non sono queste cose a fare un buon insegnante

Aspettate che succeda qualche caso di cronaca legato al mondo dei giovani (stupri, atti di bullismo o razzismo) e sentirete un coro unanime nell’opinione pubblica, il cui mantra è: dobbiamo «ricominciare» dalle scuole. Ricominciare che cosa? Casomai cominciare, ma anche lì… Se non si ha un’idea, quale inizio è mai pensabile?

 

Questa è la settimana in cui partono i tanto sbandierati (e al tempo stesso temuti) concorsi per le assunzioni di ruolo che daranno lavoro a circa ventimila persone. Tante, ma poche in un’economia in cui i precari sono dieci volte di più. Ma è soprattutto il modo in cui il concorso selezionerà gli «idonei» a essere scioccante. Per fare questo mestiere, almeno inizialmente, troverete colleghi ed esperti che vi parlano di «vocazione», di «buona volontà» come qualità necessarie alla formazione. Tecnicamente invece: nessun corso, nessuno studio obbligatorio, solo una laurea generica e tanti esami collezionati. Avete fatto il Dams e vi mancano gli esami per insegnare? Che problema c’è? Privati e università ve li venderanno volentieri a caro prezzo, rateizzabili comodamente purché pagati. Sono solo titoli!

 

Poi il resto delle competenze sono da acquisire sul campo, romanticamente, come dei missionari nei Paesi svantaggiati. Passerete anni a studiare da soli per districarvi nella psicologia dei ragazzi, anni di struggimenti, errori, attaccamenti. Poi arriva il giorno del concorso: l’esperienza e la vocazione non contano più niente (non sono nemmeno dei prerequisiti, chiunque non abbia mai insegnato può fare il concorso e vincerlo), necessitate solo di un nozionismo da quizzone. Domande a crocette, circa cinquanta, scritte in burocratichese come la denuncia più sgrammaticata compilata in un ufficio dimenticato della provincia più dimenticata. È vero, bisogna proprio «ricominciare dalla scuola». Come? Non è dato saperlo.