Gli Istituti penali per minorenni sono, per la prima volta, sovraffollati. E l'impennata degli ingressi non è dovuta all’aumento dei reati, ma alla stretta repressiva del governo. Ma le storie romanzate della fiction che spopola tra i più giovani creano un falso mito

«Le storie romanzate di “Mare fuori”? Ma per favore! I ragazzi non sappiamo più dove metterli, il sistema della giustizia minorile non è attrezzato per gestire questi numeri». Dal Piemonte alla Sicilia è un grido di allarme che unisce Nord e Sud, un coro unanime che si alza da chiunque lavori negli Istituti penali per i minorenni (Ipm): una verità ben diversa da quella evocata dalla famosissima serie televisiva, ambientata idealmente nell’Ipm di Nisida (Napoli) e divenuta fenomeno cult tra i giovani.

 

In una realtà negletta come questa, in Italia pochissimi hanno lo sguardo lungo di Antigone, l’associazione che sin dal 1991 si occupa dei diritti dei detenuti e che affida in esclusiva a L’Espresso un dato recentissimo: al 15 febbraio 2024, i ragazzi dentro le carceri minorili erano ben 519. Un numero record che supera quello che la stessa Antigone aveva diffuso nel recente rapporto “Prospettive minori”. In cui aveva riscontrato un fenomeno nuovo e doloroso: per la prima volta anche i penitenziari minorili soffrono per il sovraffollamento, che finora era una poco invidiabile caratteristica delle carceri per adulti.

 

Si potrebbe pensare, quindi, che i giovani commettano più reati oggi che ieri, ma i dati sulla criminalità minorile raccontano di una tendenza che resta più o meno stabile. E allora a che cosa si deve quest’impennata? «Sono gli effetti del decreto Caivano», spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio sulle condizioni di detenzione di Antigone, a proposito del testo varato all’indomani dello stupro di gruppo del settembre scorso nella cittadina campana. L’analisi dell’Osservatorio è severa: «Con questo provvedimento il governo Meloni ha scelto la linea dura del “punire per educare”, rendendo molto più facile il ricorso al carcere», sacrificando così un modello basato sulla rieducazione e sul recupero «che è stato un vanto per il Paese a livello internazionale».

 

le finestre del carcere minorile “Cesare Beccaria” di Milano

 

E le conseguenze non si sono fatte attendere. «Gli Ipm scoppiano», racconta Giuseppe Chiodo, direttore del carcere per minori di Roma. Con effetti distruttivi sui giovani che delinquono «e che molto probabilmente torneranno a farlo, perché non conoscono alternative». A pagare il prezzo più alto è chi non ha attorno una rete sociale e familiare: «In altre parole i ragazzi delle periferie delle grandi città e gli stranieri, per lo più minori non accompagnati». Un contesto martoriato, nel quale nessuno pensa alle strutture, ormai inadeguate, non si potenziano gli organici e il personale fa fatica perché costretto sempre a rincorrere l’emergenza. Con l’unico rimedio che si ripete in molti, troppi settori fondamentali della vita pubblica italiana: sono i singoli, le associazioni di volontariato e le loro sinergie a mettere le toppe a un buco tutto istituzionale.

 

A gennaio 2024, secondo il rapporto “Prospettive minori” di Antigone, erano 500 i detenuti nei 17 Istituti penali per i minorenni italiani. A febbraio, come detto, già 519. Una cifra che non si toccava da un decennio e che viaggia in parallelo con l’aumento degli ingressi: circa 800 nel 2021, più di 1.100 due anni dopo. «Dall’entrata in vigore del decreto Caivano, poi, l’incremento ha subito una forte accelerazione», si legge nel rapporto. E non per un aumento della criminalità minorile, che, stando all’Istat e al ministero dell’Interno, è cresciuta rispetto al 2020 (anno del Covid) ma è uguale ai livelli del 2015. «La causa – continua il documento – è da ricercare nella scelta assunta dal governo come risposta ai fatti accaduti nel rione Parco Verde». Ovvero quella di stringere le maglie della giustizia minorile, estendendo l’applicazione della custodia cautelare in carcere, che viene disposta anche per i reati di più lieve entità e preferita a misure meno pesanti e a percorsi di recupero. A dirlo sono ancora i numeri di “Prospettive minori”: oggi più di due terzi dei ragazzi sono detenuti in attesa di giudizio e si registra un’impennata di presenze legate alla violazione della legge sugli stupefacenti, più del 37% in un solo anno. Tra i reati più frequenti, i furti. Non solo, nelle comunità sono ospitati poco meno del doppio dei giovani reclusi.

 

«Con il decreto Caivano – la dura conclusione di Antigone – la strada del “punire per educare” prevale sulla logica “educare è preferibile a punire” che l’Italia aveva scelto nel 1988», quando aveva adottato un procedimento penale specifico per minorenni, basato su recupero e rieducazione. «Un fiore all’occhiello a livello internazionale» che oggi rischia di essere smantellato con un «effetto devastante sulla vita del minore», dice don Domenico Cambareri, cappellano dell’Ipm di Bologna: «A me sembra che ci si stia arrendendo all’idea che ci siano giovani perdibili, mentre nessuno di loro lo è. Sono tutti una risorsa, solo che non lo sanno», aggiunge. Bisogna tenere a mente, infatti, che negli Ipm finiscono molto spesso ragazzi che hanno alle spalle un passato di violenze e che sono cresciuti di solito in un ambiente malavitoso, in cui è normale delinquere. E in cui è difficilissimo emanciparsi.

 

Per provare a cambiare questa mentalità servono tempo, spazio, strumenti, operatori qualificati. E percorsi. Un sistema che si basa solo sulla sanzione «abdica alla sua funzione educativa in favore di una contenitiva e genera quel fenomeno di sovraffollamento, che finora era stato una caratteristica del carcere per adulti», conclude il cappellano. E a pagarla sono i più vulnerabili: i giovani ai margini delle periferie e i migranti. Alla fine del 2023, tre ragazzi stranieri su quattro presenti negli Ipm erano in custodia cautelare: perlopiù minori non accompagnati che finiscono dentro – tendenzialmente al Nord Ovest – con disturbi psichici, problemi di dipendenze, storie di maltrattamenti. Sono i più difficili da trattare e allo stesso tempo, non avendo punti di riferimento, i più facili da trasferire continuamente nei momenti di criticità. Si sposta il “problema” da una parte all’altra anziché risolverlo con un’adeguata presa in carico.

 

«Noi cerchiamo di riempire di significato il tempo che passano qui – dice Giuseppe Carro, direttore dell’Ipm di Torino che ha dovuto mettere dei materassi a terra per ospitare tutti i detenuti – ma spesso non abbiamo modo di farlo e finiamo con l’essere una sorta di pronto soccorso educativo». Uno schema che, seppure con peculiarità diverse, si ripete lungo tutto lo Stivale, dove all’aumento dei numeri non è seguito un miglioramento delle strutture e un potenziamento del personale. A Quartucciu, in Sardegna, è arrivata da poco l’acqua calda e l’impianto elettrico non è a norma. A Milano si vive in perenne stato di ristrutturazione. Ad Airola, in provincia di Benevento, la direttrice Eleonora Cinqueaspetta con ansia i lavori necessari per rendere agibile una parte dell’Istituto chiusa per problemi agli impianti, «in nome della sicurezza di tutti», spiega. Qui infatti si sono registrati parecchi casi di aggressioni, autolesionismo e tentati suicidi «superati grazie allo sforzo enorme degli operatori». Perché questo accade oggi: se gli Ipm reggono è grazie all’impegno dei singoli e al prezioso lavoro del volontariato. Che nel welfare italiano è un costante balsamo alle mancanze istituzionali.

 

Crisi Come Opportunità è un’associazione che lavora con laboratori di rap e teatro. Il suo punto di forza è la presenza permanente nelle strutture, il che consente di stabilire una relazione con i ragazzi per farli riflettere su argomenti importanti e far conoscere loro percorsi diversi da quelli da cui provengono. Un approccio che a oggi ha portato alla produzione di una serie web, sette video musicali e tre spettacoli teatrali. “Amore Amaro” è l’ultima creazione dell’Ipm di Acireale: un pezzo corale in cui Natalia, Alex, Ami, Serena e gli altri cantano cos’è l’amore per loro. «L’amore per me è una cosa bella», la frase che apre il brano. La loro risposta, aperta e semplice, alle tremende violenze di Caivano.