Salute
L'Ozempic, il farmaco contro l'obesità, ha conquistato l'Italia. Ma lo stigma sulla patologia è il problema più grande
Il medicinale è una possibile occasione terapeutica per una categoria di pazienti lontana dal clamore mediatico. Ma nel nostro Paese manca ancora un completo riconoscimento politico ed economico della malattia
Che le riviste negli Stati Uniti dedichino la copertina a un farmaco non è una novità: era già accaduto al Prozac, che nel 1990 era finito in prima pagina su Newsweek. Un anno fa è toccato all’Ozempic, rappresentato per il New York Magazine con una forchetta che tiene sui rebbi una siringa. L’Ozempic è un farmaco da iniettare sotto la pelle, indicato per il diabete di tipo due, ma a farlo ascendere a fenomeno culturale negli Stati Uniti è stato il suo utilizzo per la perdita di peso, anche e soprattutto da parte di chi non ha problemi clinici, incluse alcune celebrità. Esiste pure una versione a dosaggio più elevato dello stesso principio attivo, approvata per il trattamento dell’obesità: il nome commerciale è Wegovy e forse lo assocerete al miliardario Elon Musk, che ha pubblicamente dichiarato di farne uso.
Positivo o negativo che sia, il rumore sollevato ha accompagnato una impennata nella domanda, non solo oltreoceano. In Europa la casa farmaceutica danese produttrice di Ozempic e Wagovy, la Novo Nordisk, a settembre è diventata la società più preziosa in borsa del nostro Continente, battendo il colosso del lusso LVMH. In Italia già la scorsa primavera l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che ha approvato l’Ozempic, ne segnalava una carenza sugli scaffali. Domanda più alta dell’offerta, o comunque più di quanto la Novo Nordisk riesca a metterne a disposizione in questo momento, nonostante da noi il consumo da parte di chi vuole dimagrire ma non ha problemi clinici sia un fenomeno raro.
Il fatto che i nomi di questi prodotti siano associati a storie di vanità come quella di Musk, non esclude che il loro arrivo sul mercato costituisca una possibile occasione terapeutica per una categoria di pazienti lontana dal clamore mediatico, come quella di coloro che convivono con l’obesità e con lo stigma a essa associata. «L’obesità è una malattia, non un vezzo, un costume disordinato che dipende dalla volontà del paziente; richiede un trattamento ed è cronica», rimarca Silvio Buscemi, professore ordinario di Nutrizione Clinica all’Università di Palermo e presidente della Sio, Società italiana dell’obesità. Buscemi spiega che da tempo lui e i suoi colleghi attendevano una svolta nel trattamento farmacologico dell’obesità. I farmaci non sono l’unica strada, anzi. In Italia sono utilizzati in misura minore rispetto ad altri approcci, come la modifica dello stile di vita o in certi casi la chirurgia. Eppure per alcune tipologie di pazienti i farmaci a base di semaglutide e simili - negli Stati Uniti di recente è stato approvato per l’obesità il tirzepatide, con il nome commerciale di Zepbound, prodotto dalla Eli Lilly - possono rappresentare una alternativa migliore rispetto alle medicine avute a disposizione finora. «Avremo veramente la possibilità di trattare questa patologia in modo molto efficace, - dice Buscemi - specialmente in quelle persone che non hanno avuto benefici o risultati concreti dal trattamento convenzionale fino ad oggi».
In Italia, secondo l’Istituto superiore di sanità, quattro adulti su dieci hanno problemi di sovrappeso o obesità; nel dettaglio, tre di sovrappeso e uno di obesità. Iris Zani, presidente della onlus Amici Obesi, racconta che la comunità di pazienti sta accogliendo piuttosto bene l’arrivo di nuovi farmaci. «Le società scientifiche - dice Zani - affermano che in un futuro i risultati saranno se non alla pari addirittura superiori rispetto a quelli della chirurgia bariatrica. Capirai bene che un paziente è ben contento di poter assumere un farmaco invece di sottoporsi a un trattamento chirurgico». Ma il problema principale, che il farmaco sia nuovo o vecchio, resta ed è l’accessibilità per tutti ai trattamenti.
In Italia manca ancora un completo riconoscimento politico ed economico della malattia. Nel 2019 il Parlamento ha approvato all’unanimità una mozione che riconosce l’obesità come malattia cronica. Iris Zani con la sua onlus sta, però, lavorando per chiedere l’approvazione di un progetto di legge sul tema, attualmente in esame alla Camera. La speranza è che la legittimazione giuridica porti a dei progressi sulla rimborsabilità. Secondo Silvio Buscemi, bisognerà almeno garantirli a coloro per i quali sono la migliore opzione disponibile. «Non vogliamo che tutti i pazienti con obesità si curino col farmaco - sottolinea il medico -, quello che si vuole è poter dare questa terapia a chi non riesce a curarsi in altro modo». Al momento tutti i farmaci per l’obesità non sono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale; e il costo di Wegovy, per esempio, si aggira sui 300 euro al mese. La diversa possibilità di accesso alle cure sulla base delle possibilità economiche si somma a un problema specifico italiano che ritroviamo anche in questo caso: il divario tra Nord e Sud. Buscemi fa presente che ci sono almeno dieci punti percentuali di differenza tra le due aree: «Al Sud abbiamo molta più obesità che al Nord».
L’affermazione di Ozempic, Wegovy e simili anche come fenomeno di costume, almeno all’estero, potrà avere degli esiti incerti sulla nostra idea del corpo e di come dovrebbe essere. Da noi, intanto, lo stigma sull’obesità è ancora diffuso a tutte le età e nelle diverse aree della vita. Iris Zani racconta che, tra le altre cose, le persone con obesità sono a volte discriminate a lavoro, con promozioni non arrivate oppure mansioni non assegnate. Il motivo, spesso, è che ancora oggi si crede che chi deve fare i conti con l’obesità non abbia una patologia ma «se la cerchi questa condizione e non faccia nulla per migliorarla».