La testimonianza
«Costringere una donna a viaggiare 300 chilometri per abortire: ecco come si cancella un diritto»
Sulla pagina Instagram di “Ivg, ho abortito e sto benissimo” arrivano i racconti di chi vorrebbe poter accedere all'interruzione di gravidanza ma si scontra con burocrazie, obiettori e ostacoli. Mentre il governo si preoccupa di far entrare le associazioni pro vita nei consultori
«Ti scrivo perché ho davvero bisogno di rassicurazioni. La settimana prossima affronterò la mia Ivg con metodo farmacologico. L’ospedale disponibile dista 84 km da me e ho timore che qualcosa possa andare storto. Ho fatto il test, sono andata in consultorio subito. Dopo il colloquio con la psicologa per il certificato, la dottoressa, obiettrice, mi ha detto di andare a Latina. Vorrei andare più vicino, ma gli altri ospedali non hanno disponibilità». Chi mi scrive sulla pagina Instagram di “Ivg, ho abortito e sto benissimo” è una ragazza che abita nel Lazio. Regione, sulla carta, più all’avanguardia nell’accesso all’aborto vista l’assunzione delle linee guida ministeriali del 2020 che prevedono la possibilità di somministrazione dell’aborto farmacologico nei consultori, ma che fuori da Roma racconta una realtà ben diversa.
A pochi giorni dal via libera definitivo all’emendamento al Pnrr, a prima firma di Lorenzo Malagola di Fratelli d’Italia, che prevede la possibilità per i consultori di avvalersi del coinvolgimento di associazioni «che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno della maternità», ricalcando dunque l’articolo 2 della legge 194/78, ci troveremo ad affrontare l’ingresso delle associazioni antiabortiste all’interno dei consultori, con tanto di prevedibili finanziamenti dalle Regioni come ha già dimostrato il Piemonte con il fondo “Vita nascente”. Uno schiaffo non solo alla sanità pubblica ridotta all’osso e cannibalizzata dai sistemi privatistici, ma soprattutto ai presidi consultoriali, nati come spazi laici e transfemministi, statalizzati dalla legge 405 del 1975 e ridotti oggi a essere l’ombra sbiadita di sé stessi: la presenza sui territori è esigua, il personale ridotto e le condizioni fatiscenti.Stamattina ho ricevuto una telefonata da una donna della provincia di Avellino che si è recata al presidio del suo paese per ottenere il certificato, ma è stata rimbalzata di qualche settimana perché l’unica ginecologa era assente. Alcune settimane, per l’accesso all’Ivg, rischiano di essere fatali, non solo compromettendo la possibilità di accedere alla pratica farmacologica, ma proprio all’aborto.
Cosa dirò, tra qualche mese, alla prossima donna che mi chiamerà perché non saprà dove sbattere la testa? Probabilmente che della ginecologa dovrà farne a meno, ma di non preoccuparsi perché potrà interfacciarsi con i volontari dei gruppi antiabortisti, laureati «all’università della vita», che magari le offriranno il pagamento di un paio di mesi per l’affitto se decide di proseguire la gravidanza, o le illustreranno controindicazioni fisiche e psicologiche smentite dall’Oms e dalle più grandi società scientifiche internazionali. «La difesa e la tutela della maternità», ancora una volta, diventano il cavallo di Troia per riuscire a penetrare sempre più nelle pieghe, un tempo personali, della libertà riproduttiva. Ci troviamo nuovamente a fare i conti con una rappresentazione ideologica e strumentale di un Paese in cui la politica è sempre più distante dalla vita delle donne. Esiste solo nella testa di chi ce la racconta, come la ministra per la Natalità Eugenia Roccella, quando ha candidamente dichiarato che «in Italia è più semplice abortire che partorire».
Lo andasse a raccontare alla ragazza che mi ha scritto e che percorrerà 336 km in pochi giorni per riuscire ad abortire. O a tutte le donne che quotidianamente si trovano ad affrontare delle vere e proprie corse a ostacoli per riuscire ad abortire e che si vedono continuamente silenziate da uno Stato e dalle Istituzioni che invece di aiutarle e sostenerle continuano a fingere che vada tutto bene. Siamo di fronte alle promesse fallite di uno Stato che ci ha attratte con il miraggio della garanzia dei diritti, per poi tradirci e venderci al miglior offerente, che siano le maggioranze di governo, amministrazioni regionali, presidi ospedalieri, insomma chiunque voglia, per utilità o per diletto, disporre della nostra libertà, e dunque dei termini della nostra riproduzione. E continueranno a farlo senza dircelo mai, mascherando le reali intenzioni sotto una coltre di rassicurante familismo. Perché i fascismi brillano per violenza e coercizione, mai per coraggio.
*Federica di Martino è psicologa e psicoterapeuta