I dati

Piccoli schiavi italiani: un quindicenne su cinque lavora (malpagato)

di Chiara Putignano   12 giugno 2024

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Nella Giornata mondiale contro il lavoro minorile emergono numeri drammatici. Oltre 300 mila tra i 7 e i 15 anni hanno avuto almeno un'esperienza. Secondo l'Unicef sono 78.530 tra i 15 e i 17 anni. E per Save The Children, nella maggior parte dei casi, a spingerli è la necessità di avere dei soldi per sé e di aiutare i genitori

«Ho iniziato a lavorare per la prima volta quando avevo 12 o 13 anni». «Io a 14 anni in un minimarket». In Italia nel 2023, oltre 300 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni hanno avuto almeno un'esperienza di lavoro. Alcune delle loro storie e i dati riguardo l'impiego di giovanissimi lavoratori sono stati raccolti nello studio “Non è un gioco”, riproposto da Save The Children in occasione della giornata Giornata mondiale contro il lavoro minorile, che cade ogni 12 giugno. Per l’occasione anche l’Unicef ha pubblicato il suo secondo report statistico, che mette in luce rischi, infortuni e sicurezza dei luoghi di lavoro per i più piccoli. 

 

Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, nel 2023 sono 78.530 i lavoratori minorenni tra i 15 e i 17 anni. Si tratta di circa il 4.5 per cento della popolazione totale dei minorenni in quella fascia d’età. Un numero che segna un aumento rispetto agli anni precedenti. Erano 69.601 del 2022 e 51.845 del 2021. Le quattro regioni con la percentuale più alta di minorenni occupati sono: Trentino-Alto Adige (nelle provincie autonome di Bolzano e Trento), Valle D’Aosta, Abruzzo e Marche. Gli stipendi sono bassissimi. Il reddito medio settimanale stimato per i lavoratori di sesso maschile oscilla dai 297 euro nel 2018 ai 320 euro nel 2022. Le giovanissime lavoratrici prendono anche meno. Dai 235 ai 259 euro. 

 

A livello nazionale, le denunce di infortunio presentate all’Inail relative ai lavoratori entro i 19 anni - sempre tra 2018 e 2022 - sono 338.323. Oltre 200 mila sono minori con meno di 14 anni e 120 mila nella fascia 15-19. Le denunce di infortunio mortale sono state 83. E quasi il 53 per cento di questi casi si è registrato in quattro regioni: Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte. Come sottolineato dal docente in sociologia dell’Università degli Studi di Salerno, Francesco De Caro, durante la presentazione del report: «I dati sono di chi lavora legalmente o ha un riconoscimento dell'attività lavorativa». 

 

Ed è proprio basandosi sui dati più recenti che l’Unicef denuncia che «l’aumento dei lavoratori minorenni è evidente non solo rispetto alla fase pandemica, ma anche in confronto all’anno 2019». La presidente italiana del Fondo, Carmela Pace, sottolinea l’importanza di «osservare con attenzione il lavoro minorile, perché rappresenta una spia dello stato di salute della nostra società e del benessere e del futuro dei giovani nel nostro Paese». 

 

I motivi che spingono i più giovani a lavorare in età precoce sono descritti invece nel report di Save The Children. Su 58mila adolescenti sottoposti all’indagine, il 56.3 per cento ha risposto che è per «avere dei soldi per sé». Mentre il 32.6 per cento vuole «offrire un aiuto materiale ai genitori». Un dato interessante è che il 38.5 per cento dei ragazzi sostiene «di lavorare per il piacere di farlo». I settori in cui è più diffuso il lavoro minorile in Italia sono la ristorazione, la vendita al dettaglio, ma anche attività in campagna e in cantiere. Ultimamente emergono anche diverse forme di lavoro online, come la realizzazione di contenuti per le piattaforme social o la rivendita di scarpe o telefoni. 

 

La legge italiana stabilisce che gli adolescenti possano lavorare compiuti i 16 anni, avendo assolto l’obbligo scolastico. Ma è realmente così? Nella fascia 14-15 anni circa uno su quindici ha già lavorato prima di raggiungere l'età legale. E quasi uno su tre sostiene di lavorare anche durante i giorni di scuola. Di questi il 4.9 per cento salta le lezioni proprio per andare a lavoro. Nonostante la maggior parte (il 70 per cento) delle ragazze e dei ragazzi che lavorano o hanno lavorato, lo abbiano fatto in periodi di vacanza o in giorni festivi, frequenza e intensità sono impegnative. Più della metà lo fa tutti i giorni, mentre uno su due lavora più di quattro ore al giorno.