Diritti delle donne
Vietato abortire nelle Marche: le donne costrette al pellegrinaggio e trattate "come pacchi"
Interrompere una gravidanza dopo la settima settimana è quasi impossibile. E mentre la Regione a guida Fratelli d'Italia non si adegua alle linee guida ministeriali, oltre l'11 per cento delle persone è costretta a viaggiare
Dodici settimane e sei giorni. Questo è il termine legale entro cui si può abortire in Italia. Ma non per tutte. Ed è a quel sesto e ultimo giorno che una donna arriva all’ospedale di San Benedetto del Tronto con un certificato per un’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) urgente. Ad Ascoli gliel’avevano negata e anche in altre strutture la risposta è stata sempre “no”. Come «fossero pacchi», le donne marchigiane sono costrette a viaggiare dentro e fuori Regione. Ed è un continuo schivare obiettori di coscienza, strutture senza personale medico e pro-vita. Di storie come questa nelle Marche, «potrei raccontarne tante», spiega Marte Manca, attivista transfemminista di pro-Choice Rica (Rete italiana contraccezione e aborto). Da anni infatti accompagna le donne in questo percorso a ostacoli. Circa due o tre a settimana. Un supporto umano e tecnico che fa da cerotto al progressivo smantellamento dei servizi per la salute riproduttiva delle donne.
Nelle Marche per le donne è quasi impossibile interrompere una gravidanza. Soprattutto dopo la settima settimana. E martedì sia fuori che dentro il palazzo della Regione, la speranza era quella di ricevere una risposta dopo l'ennesimo rinvio. Ad esporsi, è stato il gruppo del Pd con un’interrogazione a firma di Manuela Bora. La consigliera ha sollecitato la giunta riguardo l’inadempienza sulla procedura farmacologica per l’Ivg. Perché «nelle Marche viene ancora praticata sulla base di un protocollo “sperimentale” del 2016 e mai aggiornato».
Ma la risposta dell’assessore alla Sanità, Filippo Saltamartini (Lega), suona come «l’ennesima presa in giro», commenta Manca. Un gioco delle tre carte, «in cui ha fatto scarica barile sui dirigenti sanitari». L’ex del Popolo della Libertà ha infatti eluso la questione: «La circolare è auto-applicativa e non necessita atti di recepimento. Se non l’avessimo ritenuta legittima, l’avremmo impugnata. E ciò non è accaduto». Invitando anche i cittadini a denunciare nel caso in cui «trovino che qualcosa sia lesivo nei loro confronti».
Chiara Fonzi di Laiga - Libera associazione italiana ginecologi non obiettori per l’applicazione della 194 - commenta a L’Espresso: «La Regione, oggi come ieri, ha gli strumenti politici per favorire l’avanzamento delle Marche in tema di accesso dignitoso all’aborto. Chissà perché da anni le azioni non si concretizzano». E continua: «Oggi con l’adesione dei partiti di ultra destra ai manifesti dei movimenti antiabortisti non possiamo aspettarci miracoli. E forse - conclude - solo perché il tema è diventato attuale, Fermo ha ottenuto una ginecologa pro-scelta per la prima volta dal 1978, dopo anni da fuorilegge».
Ostacolare il diritto all’autodeterminazione delle donne non è cosa nuova in quei territori. E dall’insediamento di Francesco Acquaroli (Fratelli d’Italia) nel 2020, il modello Marche assomiglia sempre di più a quelle politiche anti-abortiste, che sono diretta emanazione del governo. E mentre al centro pastorale diocesano di Fano, l’Ordine dei medici organizza convegni dai titoli come "Vita nascente: aspetti teologici medici, etici e giuridici", la quota di Ivg farmacologiche in Regione è ferma al 20.7 per cento, contro una media nazionale del 47.3 per cento.
E non è solo questione di indisponibilità del metodo farmacologico. Nel 2023, su 66 consultori familiari meno della metà (27) hanno rilasciato le certificazioni Ivg. Eppure, in base alla legge 194, l’obiezione di coscienza non dovrebbe essere permessa in consultorio. Dai dati raccolti dalle associazioni del territorio, risulta che in sette sedi ci sia il 100 per cento di personale obiettore. E infatti, molte donne marchigiane (l'11.3 per cento) sono costrette a viaggiare fuori Regione: in Emilia-Romagna, Lazio e Abruzzo. Non solo. Quasi il 30 per cento delle persone ha la sua Ivg fuori dalla provincia di residenza.
E così abortire è diventato un lusso. Muoversi ha un costo, che non è solo economico: «Abbiamo creato una piccola cassa per indigenti, perché non sia solo il privilegio di alcune, ma un diritto di tutte», racconta Manca. E poi servono tempo e fortuna. Sì, si parla anche di fortuna. Perché come testimoniano molte delle storie delle donne marchigiane non sempre mettersi in viaggio conduce in luoghi "più sicuri". «Una ragazza non voleva fare il certificato per l’Ivg nel luogo di residenza. L’ha chiesto in un’altra provincia e loro si sono rifiutati». Questo certificato è un documento che attesta sia la gravidanza, sia la volontà della donna di accedere a un'interruzione volontaria di gravidanza. «Il tutto dopo un colloquio con il personale medico e gli accertamenti del caso».
«Mi preme fare un appello alla cittadinanza marchigiana tutta - conclude Chiara Fonzi - chi vota a sinistra, chi è della destra liberale, passando per le comunità religiose a favore del libero arbitrio: è evidente che finché i diritti non vengono pretesi dalle persone interessate, questi non caleranno dall’altro». E nelle Marche la lotta delle associazioni e della cittadinanza continua. Perché il tema dell'aborto non sia percepito come una moneta di compromesso, ma un’urgenza.