Istruzione

Il governo Meloni taglia i fondi all'Università: dopo gli studenti anche i rettori bocciano il piano del Mur per il 2024

di Chiara Sgreccia   30 luglio 2024

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Viste le proteste, la ministra Bernini apre al confronto. Ma non aumenta gli investimenti a favore dell'istruzione terziaria

Il governo Meloni taglia i fondi all’università. Così si capisce leggendo la bozza del decreto con cui il ministero dell’Università e della Ricerca stabilisce come dev’essere ripartito il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) per il 2024. Cioè il fondo che rappresenta la maggior fonte di sovvenzioni per gli atenei statali e serve per coprire le spese istituzionali, tra cui i costi del personale e di funzionamento.

 

A denunciare subito il definanziamento – dai 9.204.808.794 euro del 2023 ai 9.031.544.606 di quest’anno – è stato il principale sindacato degli studenti, l’Unione degli universitari (Udu): «Un taglio di oltre 173 milioni di euro mette sotto forte pressione i bilanci delle istituzioni accademiche; basti pensare che sarebbero serviti almeno 500 milioni soltanto per recuperare l’inflazione del 2023. Invece il governo sceglie di andare nella direzione opposta e tagliare sull’istruzione terziaria. Mentre dichiara di voler aumentare le spese militari per raggiungere il 2 per cento del Pil», hanno scritto gli studenti in una nota pubblicata subito dopo avere visto la bozza del decreto che il Mur aveva inviato alla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), al Consiglio universitario nazionale (Cun) e al Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu) all’inizio di luglio.

 

«Se guardiamo nel dettaglio come sono state ripartite le risorse del Fondo di finanziamento ordinario, si capisce che i tagli peseranno ancora di più. Perché si concentrano soprattutto nella parte strutturale del Ffo, ossia quella delle risorse che le università possono utilizzare senza specifici vincoli: qui ci sono 300 milioni in meno», chiarisce Simone Agutoli dell’Udu a L’Espresso, preoccupato non solo che gli atenei possano rifarsi delle mancate entrate alzando le tasse agli studenti (visto che anche quei ricavi possono essere usati dalle università senza vincoli, cioè in base alle necessità specifiche di ogni struttura), ma anche del fatto che dai bilanci degli atenei possano scomparire le risorse necessarie alla tutela della salute mentale.

 

Nel Ffo del 2023, infatti, una voce indicava chiaramente la destinazione di una parte dei fondi all’attivazione o al potenziamento dei servizi per il benessere psicologico, operazione che la ministra Anna Maria Bernini aveva rivendicato con orgoglio dopo le battaglie portate avanti da studenti di università e scuole superiori dalla fine della pandemia di Covid. Mentre quest’anno la dicitura nella bozza del decreto è stata sostituta dall’intenzione di attivare o potenziare gli sportelli antiviolenza: «Un’iniziativa necessaria. Il problema è che erogare risorse spot, solo per un anno, senza pensare che questi servizi hanno bisogno di fondi per funzionare anche nel periodo successivo, è poco utile», puntualizza Agutoli.

 

Ma non c’è solo l’Udu a sostenere che i tagli mettono a rischio il futuro dell’università italiana. A bocciare il decreto sulla ripartizione dei finanziamenti per l’istruzione terziaria sono stati anche il Cnsu, organo consultivo del Mur che rappresenta gli studenti, l’Adi, associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia, e la Crui. 

 

Per la Conferenza dei rettori la bozza del decreto per la ripartizione del Ffo «presenta notevoli elementi di criticità che rischiano non solo di arrestare l’evoluzione del sistema universitario nazionale, ma di mettere a rischio la sopravvivenza stessa dell’università statale. Emerge la preoccupazione che un’intera generazione di ricercatrici e ricercatori non abbia prospettive», si legge nel documento redatto da 85 rettori che ha fatto saltare, poco prima dell’inizio, l’incontro previsto per il 18 luglio con Bernini.

 

Secondo i rettori, se il Ffo del 2023 fosse rimasto inalterato, a circa 9 miliardi e 2 milioni di euro, aggiungendo il finanziamento della crescita fisiologica dei salari e per i piani straordinari per le assunzioni previsti dalla leggi precedenti, quello del 2024 avrebbe dovuto essere di oltre 9 miliardi e 500 milioni euro. Perciò la riduzione di investimenti a favore dell’università supera sostanzialmente il mezzo miliardo. Per Bernini, invece, sono cifre infondate e allarmistiche che la Conferenza dei rettori ha scelto di divulgare mentre avrebbe potuto avviare un confronto di merito con la ministra e il suo staff. Visto che le università statali hanno ricevuto anche altre risorse, come «un finanziamento extra di quasi 6 miliardi di euro grazie al Pnrr», puntualizza Bernini.

 

La nota dei rettori per qualche giorno ha fatto scendere il gelo con il Mur. Rotto la settimana scorsa dalle dichiarazioni della Presidente Crui, Giovanna Iannantuoni,  che dopo aver parlato con Bernini, ha annunciato la programmazione di nuovo modello di finanziamento pubblico degli atenei che terrebbe conto degli adeguamenti Istat sugli stipendi, e «che svincolerebbe alcune voci del Ffo per rafforzare gli investimenti a favore degli studenti e dei giovani ricercatori». Possibilità ribadita anche dalla ministra dell’Università in una lettera inviata il 29 luglio alla Conferenza dei rettori: una parte dei fondi vincolati del Ffo potrebbe essere svincolata, così da essere utilizzata liberamente dalle singole università. Sulla base, però, delle indicazioni che i rettori dovranno fornire al Mur entro il prossimo 2 agosto. 

 

Si parla, quindi, intervento normativo ad hoc che darebbe una boccata d’aria ai bilanci delle università per il 2024. Ma che non comporta alcun aumento degli investimenti per l’istruzione terziaria già sottofinanziata rispetto al resto dei Paesi Ocse (l’Italia investe lo 0,9 per cento del Pil secondo i dati del report “Education at a Glance” sul 2019, contro una media dell’1,6 per cento). Mentre per il 2025 - chiarisce ancora Bernini nella lettera - sarebbe in programma una revisione completa della struttura del Fondo di finanziamento ordinario agli atenei, pensato 10 anni fa e quindi non più funzionale alle esigenze degli atenei.