Diritti negati
Il match Carini-Khelif diventato un caso politico, ci dice quanto poco sappiamo dell'intersessualità in Italia
Il mondo intersex non viene riconosciuto neanche dalla legge ma è un fenomeno di natura e riguarda l'1,9 per cento della popolazione. Spesso i bambini sono costretti a subire interventi chirurgici. Per la legge non esistono, ma il fenomeno riguarda lo 0,5 per cento della popolazione
C'è qualcosa in penombra nel turbinio del dibattito sullo scontro olimpionico tra l'algerina Imane Khelif e Angela Carini, match diventato politico prima che sportivo con l'abbandono della azzurra di fronte all'avversaria affetta da iperandrogenismo, ovvero da una eccessiva produzione di ormoni maschili.
Il bandolo di un filo che gli italiani, forse per la prima volta, iniziano a riannodare e che porta inevitabilmente alla scoperta di una realtà per troppo tempo tenuta sotto silenzio: l'intersessualità.
“Intersessuali”, è un termine che indica alcune condizioni alla nascita: un apparato riproduttivo e/o un’anatomia sessuale, e/o una situazione cromosomica che varia rispetto alle definizioni tradizionali di maschile e femminile. Si possono scoprire anche in età adulta. I segnali non sono tutti uguali. L’intersessualità ci mostra con evidenza che i generi sono frutto di una costruzione. Ed è una realtà del tutto biologica seppure venga spesso erroneamente confusa con il genere o con l’orientamento sessuale che sono, invece, dimensioni indipendenti. L’incidenza dell’intersessualità dei bambini sembra essere nel mondo pari all’1,9 per cento della popolazione, ma vi potrebbero essere persone che non sono state registrate come intersessuali, pur rientrando in questa parte di popolazione. Alcuni ricercatori affermano che almeno una persona su 100 ha qualche forma di "variazioni delle caratteristiche del sesso" (Variations of Sex Characteristics, VSC).
Fino a poco tempo fa la risposta quasi scontata era la «normalizzazione chirurgica», la scelta presa molto presto per uno o l’altro dei due sessi, con il rischio che non fosse azzeccata e che potrebbe poi rivelarsi in contrasto con l'identità di genere. Un’ampia relazione scientifica ha messo in luce le ricorrenze del fenomeno, l’ignoranza, e la soluzione adottata da molti di recente di non intervenire.
In Italia questa raccomandazione non viene seguita. I medici suggeriscono il silenzio, la linea italiana è non dire nulla alle persone interessate e lo stretto necessario ai familiari. Questi interventi che avvengono senza il consenso dell'operato a pochi mesi di vita non hanno alcuna ragione medica. Il rapporto "Diritto e intersessualità" dell'Istituto Superiore della Sanità spiega che l'ordinamento giuridico italiano non riconosce la specificità della condizione intersex, per cui occorre ricomporre il quadro delle tutele a partire dai diritti e dalle libertà previste nella Costituzione, dall’ordinamento dell’Unione Europea e dal diritto internazionale. Tuttavia la materia vede spesso la presenza di normative non vincolanti che difficilmente trovano applicazione nelle aule dei tribunali e che oltretutto sono poco conosciute dagli stessi professionisti legali chiamati ad applicarle (giudici e avvocati). Gli interventi comunque in linea con le raccomandazioni internazionali, sarebbero da rimandare fino al momento in cui la persona sarà in grado di partecipare attivamente al processo decisionale nel rispetto dei diritti umani. Diverse Istituzioni internazionali hanno più volte raccomandato ai singoli Stati di adottare le misure necessarie per tutelare i diritti umani dei minori intersex. Tuttavia ad oggi solo alcuni Stati proibiscono esplicitamente tali interventi sulle persone con VSC/DSD (v. Malta, Germania, Grecia, Portogallo). Quindi sul corpo delle persone intersex da anni tutto è lasciato alla preparazione del personale medico.
Nel 2013, il senatore Sergio Lo Giudice, del Partito democratico, aveva presentato una proposta di legge che, tra le altre cose, chiariva il principio dell’autodeterminazione e vietava gli interventi sui bambini intersessuali “tranne che vi siano pericolo di vita o esigenze attuali di salute fisica che escludano la possibilità di rinviare l’intervento”. La legge non è mai stata neanche discussa. il 2 settembre 2016 , invece, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha infatti ammonito l’Italia per le pratiche di mutilazioni genitali intersex (IGM, Intersex Genital Mutilations), chiedendoci di “garantire l’integrità fisica, l’autonomia e l’autodeterminazione ai bambini interessati“. In questa stessa direzione erano già andati l’OMS nel 2015, l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) e il Consiglio d’Europa.
Come scrive la giornalista scientifica di "Nature" Clair Ainsworth in "Sex redefined": "I biologi possono aver costruito una visione del sesso con molte più sfumature, ma la società è rimasta indietro". La natura, insomma, non è così binaria come vorrebbe lo sport o la società. Negli anni sessanta si scoprì che l’atleta polacca Ewa Kłobukowska aveva una rara condizione genetica – mosaicismo XX/XXY – che non le dava alcun vantaggio sulle altre atlete. Tuttavia le fu impedito di partecipare alle Olimpiadi e di praticare sport a livello professionistico. Durante le Olimpiadi di Berlino del 1936 circolò la voce che la velocista polacca Stella Walsh e la statunitense Helen Stephens – che avevano entrambe straordinarie capacità atletiche, muscoli “da maschio” e il viso spigoloso – fossero in realtà degli uomini. Stephens batté per un soffio Walsh sui 100 metri, stabilendo un nuovo record mondiale, e subito dopo fu pubblicamente accusata di essere un uomo. Le autorità olimpiche tedesche avevano esaminato i genitali di Stephens prima della gara e avevano decretato che era una donna. Quarant’anni dopo, a sorpresa, un’autopsia sul corpo di Walsh rivelò che aveva "genitali ambigui", era cioè una persona intersessuale socializzata come donna. Storie, queste, di geni, ormoni, genitali e gonadi che ritorna, si ripete ci mette ancora una volta di fronte all'invisibilizzazione delle persone intersessuali, cosa ci porta a considerarle altro da noi. Spesso nemiche, risultati di una cultura woke e non semplicemente di una natura che sfugge dai lacci che le vogliamo imporre.
«Avevo pensato di operarmi e non lo avrei detto a nessuno – racconta Ale, barba, occhi chiari, tratti del viso molto fini, un corpo con morbidezze femminili- poi ho accolto il mio modo di essere, anche grazie alla persona che mi sta accanto». Informazione, visibilità e buone relazioni sono ossigeno quando il pregiudizio fa il deserto intorno.